I miei genitori non hanno fatto mai mancare, a me e mia sorella, l’ombrellone con lettino, sdraio e gabina (i milanesi dicevano così). Penso che, per la loro generazione, fosse una questione di decoro familiare. Mia mamma ci teneva moltissimo e mio papà lo considerava un dovere da capofamiglia. A me, la cosa non è che piacesse tantissimo. Pur essendo piccolo, infatti, avevo capito che ricreava, in spiaggia, a centinaia di chilometri da casa, una dinamica borghesissima, da vicini di casa, da villetta, da condominio. C’erano i vicini da salutare, da non disturbare e poi da commentare quando se n’erano andati. Questo prima che conoscessi il surf.
Se si andava in Riviera adriatica, sulla costa ligure o in Versilia, non si sfuggiva ai lidi, ai bagni, agli stabilimenti balneari insomma. Più crescevo e più sta cosa degli stabilimenti balneari mi stava sul cazzo, pardon, sul gozzo. Poi è arrivato il surf.
La mia avversione verso sdraio-lettino-ombrellone è mutata in odio puro e in compassione. La gabina iniziava a perdere colpi un po’ ovunque. Serviva per cambiarsi e per alloggiare i giochi da spiaggia della prole, ma visto che poi di prole se n’é procreata sempre meno…
Con il surf, piano piano, impari ad adattarti ad una vita non comoda. Più vai avanti e più sfrondi il superfluo dall’essenziale. É a quel punto che diventi un surfer.
A quel punto vedi le cose con occhi diversi. Ti basta un giaciglio sufficientemente comodo per riposarti, cibo per nutrirti, un mezzo efficiente con il carburante per spostarti. Tutto diventa finalizzato al surf e il resto diventa relativo.
Così inizi a odiare quella specie di circo che delimita con gazebo, tucul, cocktail bar, ristoranti, le coste della nostra italiaccia. Li odi, soprattutto, se ti limitano/ostacolano arbitrariamente l’accesso alla battigia in accordo con municipalità avide e straccione e ad una Capitaneria di Porto genuflessa ai politicanti rivieraschi. Si, perché l’accesso alle proprietà demaniali è un diritto. Così come lo è utilizzare la battigia. Queste due cose non le sanno tutti ma le sanno tutti i surfer.
Così inizi a compatire quei parvenu che si assiepano in quei privée da discoteca materializzati in spiaggia per affermare uno status sociale.
Così avviene la gentrificazione delle coste italiane che sposta l’Italia nello spazio temporale di Nick Gabaldon (PREMI QUI); di una California in cui vi era la segregazione razziale nelle spiagge.
La situazione è la medesima. La selezione non avviene in base all’etnia ma alla disponibilità economica, con il risultato che chi dispone di poco si trova costretto ed ammassato in striminzite spiagge libere, che sono situate nei posti più negletti dei litorali, stritolati tra Bagni Sirenetta e Billionaire.
Spiagge libere che sono lasciate senza manutenzione e pulizia da parte delle amministrazioni comunali rivierasche.
Nessuna amministrazione comunale riverasca italiana si salva. Si distinguono, in qualsiasi parte del litorale siano, per essere avide, cieche e pronte al lucro immediato. Anche quelle che si trovano ad avere spiagge ampie, ancora libere e con un ecosistema decente vengono vendute per dei mega concerti paesani di un berciante deficiente attempato vestito da pirata.
Questa è la situa delle coste italiane. No future. Abbiamo parlato di loro, ma noi del surf?
Noi surfer, ormai, non solo abbiamo imparato a distinguere l’essenziale dal superfluo, addirittura l’essenziale ci è diventato necessario. Per cui, da un decennio buono, abbiamo abbandonato l’Italia con le sue baracconate costiere, per preferirgli qualsiasi altro posto con onde garantite e spazi a perdita d’occhio. Senza sovrastrutture cialtrone, ma con capillari strutture di sicurezza quali posti di soccorso e associazioni nazionali di guardaspiaggia formati e attrezzati.
Poi, quando l’autunno arriva e galoppa verso l’inverno e le swell si fanno serie e portano onde di scaduta in serie, coi con i nostri surfboard sottobraccio ci riappropriamo di ciò che è nostro. Quello è il nostro momento e oltrepassiamo stabilimenti balneari in letargo che ricordano i relitti delle discoteche anni ’80 che costellano la S.S. 415 Paullese.
That’s all folks.