Se passate da Santa Monica, nel sud dell’assolata California, ricordatevi di onorare Nick Gabaldón. In ogni caso, se ci passerete il 23 febbraio, ci penserà direttamente la comunità dei surfer, e non solo, a ricordarvi chi era Nicolas Rolando Gabaldón.
In Italia, questo nome non è noto, ma è molto importante per la storia del surf e per l’emancipazione degli afro-americani. Questo, in effetti, è motivo di grande orgoglio per noi surfer.
Nick Gabaldón
Nick Gabaldón nasce il 23 febbraio 1927 a Los Angeles. Essere figlio di madre afro-americana e papà ispanico, in quegli anni, non garantiva il massimo degli agi. In California, infatti, esisteva la segregazione, proprio come in Alabama. Come dice lo Straniero Surfista: «Gli uomini fanno la differenza!».

Nick era uno dei 50 studenti afroamericani che frequentavano la Santa Monica High School. Prese a surfare intorno ai 14 anni, sull’unica spiaggia consentita ai colored: una porzione di circa 60 metri delimitata da una corda. Nick Gabaldón era dannatamente bravo a surfare e, sebbene non ci sia nulla da dire, le onde di Santa Monica andavano strette al nostro Nick, cosi, talvolta, si faceva 12 miglia remando sdraiato sul suo surfboard fino a Bu (Malibù). Prima di avere una propria automobile cominciarono ad accompagnarlo gli amici bianchi come Greg Noll, Bob Simmons, Rick Grigg, Mickey Munoz e Matt Kivlin.
Nicolas Rolando Gabaldon ci ha lasciati all’età di 24 anni, mentre faceva una manovra pericolosissima, che consiste nel surfare tra i pali dei Pier. Questo tipo di acrobazia è da decenni vietatissima. É chiamata Shooting the Pier o Pier Ride. Era il 1951 e, quattro anni dopo, Rose Parks si rifiutava di cedere il posto a un bianco su un autoubus a Montgomery, in Alabama.

É difficile sfuggire ai condizionamenti sociali che spesso si seguono per abitudine, convenzione o quieto vivere, ma sembra che nell’ambiente del surf, una volta almeno, le consuetudini fossero una cosa da evitare, essendo i surfisti evitati a loro volta per consuetudine. Ricordatevi di Nick!
P.S.
Sei giorni prima della sua morte aveva scritto per la rivista letteraria del college una poesia intitolata Vite perdute il cui tema era la possenza del mare che portava l’uomo, per quanto indomito, a perire; parlava de Il segno di una resa invincibile, per evocare Andrea Pazienza.