surf

Surf: una civiltà sempre più in declino

In Italia il surf è arrivato tardi, tardissimo. In buona parte, il merito va al film di John Milius, Un mercoledi da leoni (Big Wednesday, 1978). Prima, per gli gli italiani, il surf era il sailboarding. In italia veniva chiamato windsurf, poi abbreviato in surf fino a sovrapporsi con IL SURF. Un’operazione di mistificazione ad opera di 30enni geometri, dentisti e bancari, che giravano su van VW ascoltando i Beach Boys. Si dirigevano in posti fastidiosamente ventosi, per lo più, lacustri, come il lago di Lecco o il lago di Garda.


STREAM SURF FILM


Gente con disponibilità economica, visto che praticare quella sorta di vela fatta in piedi con tutti gli annessi e connessi (tavola, pinne, albero, piede d’albero, vele varie, stecche, trapezi, ecc. ecc.) costa più che comprarsi un Laser (barchetta a vela, N.d.R.). Erano soggetti con poca dignità a disposizione visto che cercavano di creare una mitopoiesi loro sulla mitologia del surf. A loro, però, non è mai appartenuta, assolutamente. Erano anche sufficientemente ignoranti, altrimenti avrebbero creato la suddetta mitopoiesi sulle radici della vela e derivati, invece di tentare un’astrusa talea con il surf.

Poi arrivò il surf, quando i 70’s finivano e iniziavano gli 80’s. Arrivò per merito di giovani pionieri senza mezzi e senza esperienza ma con tanta passione.

Scherniti e additati come deficienti o delinquenti o tutt’e due. I primi surfer erano davvero degli underdog, dei beachrat, che in spiaggia andavano quando gli altri non andavano. Fino a pochi anni fa, in spiaggia gli italiani andavano solo a luglio e agosto; già andarci a giugno o settembre era una cosa da essere visti come poveri o tisici. I surfisti erano ben determinati e incuranti dei giudizi .

Nessuno faceva proselitismo, ci si contava e ci si aiutava. Piano, piano il numero di surfer cresceva. Era visibile il fenomeno, al punto che nacque il ridicolo termine di surf da onda per distinguerlo da quella mistificazione che era il il sailboarding; diventato windsurf per poi usurpare il nome di surf.

Dopo qualche anno le cose si sono capovolte. Se prima si diceva: «Fai surf o surf da onda?», ci modificò in: «Fai surf o windsurf?». Oggi, quasi nessuno sa più cosa sia il windsurf. Tutti fanno surf. Tutti vogliono fare il surf. Oggi il surf è cool per tutti e quindi non è più cool. Oggi, probabilmente, nessuno dei pionieri del surf italiano inizierebbe a fare surf. Io no di sicuro.

Trovo che il surf sia la cosa più bella del mondo che uno possa fare nella vita. Ritengo di essere stato fortunatissimo ad avere iniziato a surfare, non tra i primissimi ma alla fine della prima ondata dei primi pionieri. Non era una questione di merito alla fine, ma di culo e di tenacia. Essere tra gli ultimi della prima ondata dei primi surfer mi ha permesso di apprendere regole, principi e cultura da chi veniva poco prima e capire che il surf non era uno sport ma era una cultura con i propri valori e in un’ultima analisi si, era anche uno sport. 

Tra i valori c’era il rispetto e l’amicizia, la condivisione e il fare dannatamente sul serio senza prendersi ridicolmente troppo sul serio. Poi ho imparato anche il rispetto per l’ambiente e ad apprezzare la solitudine e la compagnia, a correre rischi e correre in soccorso. A mia volta ho cercato di trasmettere queste cose. Non è poco per uno sport come il surf. Che è, fondamentalmente, da individualisti, disagiati, arroganti, lavativi e attaccabrighe; perché in effetti lo eravamo, ma con quelli fuori dal surf. Anche tra noi i rapporti non erano sempre idilliaci ma assenti da rancori.


IL CLUB DEL LIBRO – SURFPLAY (PREMI QUI)


Mentre il surf italiano nasceva e cresceva tra spiagge invernali desolate senza soldi, con pochi mezzi e previsioni meteo da aruspici, era comunque parte del surf planetario; che era in piena bronze age e surfava tra la cultura, business e il costume.

Non c’erano mai stati così tanti surfer e nemmeno si erano visti tanti talenti surfistici prima. Mentre si assisteva alla rinascita del longboard, all’esplosione del bodyboard, lo shortboard evolveva sempre di più e si inventava il surf moderno. Lo skateboard e lo snowboard influenzavano il surf e ne venivano influenzati. Era una famiglia. Una nazione di cui ci si sentiva parte.

La crescita del surf a livello planetario è proseguita fino ad oggi ma a guardare al presente qualcosa è andato storto.

Quando? Nel primo decennio degli 00 il surf è diventato sempre più accessibile grazie a internet. Le previsioni satellitari sono precise e comunicate in tempo reale. Reperire surfboard e mute diventa sempre più semplice. É una pacchia. Arrivano i social network, a completare il quadro, e il surf entra in piena plastic age. Qui cominciano i guai seri, dudes and betties!

Sempre più persone si sono avvicinate al surf e, per quanto la cultura del surf sia recente, viene tramandata nelle spiagge e nei surf shop oralmente. I surfshop erano importanti. Erano la Sinagoga dei surfer e il gestore era il Rabbi che ti spiegava la Torah. Si raccontavano e organizzavano surfari. Ti consigliavano surfboard e mute adatte a te. Si cementavano amicizie che sfociavano in club se non clan.

Così, bighellonando con una lattina di birra in mano in attesa della swell o della scaduta. Era tempo in prestito sfruttato al meglio. I negozi erano aperti da persone poco più grandi dei clienti che, come i clienti, erano surfer motivati più dalla passione per il surf che degli affari. Spesso, se c’era una bella scaduta, i surfshop erano chiusi. I proprietari li trovavi in acqua con i clienti, mentre fuori, davanti al negozio, si assembrava una fila di potenziali clienti.

Va da sé che molte di quelle sinagoghe non sono sopravvissute fino ad oggi perché, per lo più, il surf e il business convivono se trovano un certo equilibrio.

Nella prima decade degli anni 00 si assiste anche alla riscoperta del mare fuori stagione. Sempre più gente frequenta le spiagge nei mesi invernali, nei week end e nei giorni infrasettimanali. Emergono surfisti nazionali sempre più competitivi a livello internazionale grazie anche a internet e ai voli low cost.

Fino qui è tutto ok. Parallelamente, a livello internazionale, il surf è rappresentato dalla ASP. Non sono più gli 80’s o i 90’s ma non mancano le surf-legend che incarnano la surfing civilization. Il surf è ancora il surf-mondo con i suoi surf-hero, con i suoi disagi, le sue rule, la sua cultura e i surfer non devono ancora compiacere chi è estraneo dal surf. 

Il surf attrae sempre più gente ma i surfer non sono ancora una attrazione. 


SURFING IN ITALY


Nel 2010 tutto inizia ad andare storto. Cessa la ASP e muore per overdose Andy Irons, antagonista agonistico e culturale di Kelly Slater. Sembrerò esagerato, ma non sono il solo a ritenere Kelly Slater e la WSL dannosi il surf-mondo quanto il Cristianesimo lo è stato per le civiltà antiche. Spero di non risultare blasfemo e gratuitamente provocatorio. É solo un esempio forte di scontro tra due civilizzazioni culturali. Tra due civilizzazioni culturali: una ha il sopravvento e l’altra perde. Se non perde l’identità si annacqua e, al limite, conserva il ricordo della propria identità. Va così.

La ASP, seppur criticabile, era stata fondata dal bronzed aussie Ian Cairns ed era fatta da surfer per i surfer, seppure pro-surfer e prevalentemente aussie. Il surf professionistico è sempre stato una risorsa economica per l’Australia. Presto cambiò di proprietà, diventando WSL. Arrivarono i manager non surfer e il business tout court prese il soppravvento. La priorità diventò la ricerca di nuovi mercati, il business dei wave garden, i diritti  ecc. ecc.

Con la morte per overdose di Andy Irons il campo fu lasciato interamente a Slater.

Slater è fortissimo, vince tutto, vince sempre, vince ovunque. É un atleta completo e totale ed è anche un abilissimo business man che guadagna quattrini a palate. Non eccede  e non ha vizi. Si allena, va a letto presto e quando non surfainveste soldi e gioca a golf.

Per chi inizia a surfare King Kelly è il top. É l’imprinting culturale, come per la mia generazione Curren, Occhilupo; per la generazione dopo Irons e Machado… 

Allo stesso tempo Kelly Slater è il Buffalo Bill del Wild West Show che è diventata la WSL. Guidata da manager e tycoon milionari, il cui unico scopo è espandere il business e conquistare spazi vitali per il business a Oriente. Gli investimenti consistono in un luccicante greenwashing & surfwashing. In sostanza sono strutture ambientalmente impattanti come i wave garden; sono reality e serie tv; sponsorizzazioni con aziende automobilistiche (Great Wall; lottizzazioni di lusso; accordi per produrre boiate di complementi di arredo con aziende che nulla hanno a che vedere con il surf.

Accordi con il Grande Fratello di Mark Zuckerberg per portare il surf nel metaversohey bro, diventa un dude surfando con Lanny Kay nel metaverso!– e chissà quale altra distopia…

Erik ‘Elo’ Logan, capo supremo di WSL ha dichiarato che ci sono in target 380.000.000 milioni di potenziali futuri surfer nel mondo. A oggi sono 35.000.000 e tutte line up sono affollate come New Delhi in un giorno di festa. 

La cosa non è presa bene dai surf-mondo anzi è vissuta malissimo. Negli USA sopratutto! In Australia, Sud Africa, Francia, Spagna e in tutti i paesi dove c’è una storica e consolidata cultura del surf la WSL è sempre più vista come il fumo negli occhi e Kelly Slater è visto come un alieno non benevolo. Le polemiche sono all’ordine del giorno su magazine e social.

In Italia no. In Italia, dal 2010 a oggi, sono stati immessi sulle line up migliaia di bagnanti senza alcuna  preparazione. Senza alcun criterio. Senza alcuna remora.

Persone frastornate dai media che propongono il surf con la pubblicità di un Van che costa come un monolocale in centro a Milano. Bombardate da brand che propongono abbigliamento da surfer, i cui proprietari non sanno infilare una pinna in un finbox. Rincretinite da aziende automobilistiche. Per tacere dei corsi di yoga collegati al surf, nonché delle motociclette, delle bevande energetiche, dei venditori di pokè. Voli low cost in surf house con tour operator completi di surf party e surf school un tot al chilo per mandrie umane.

Cosa possono fare queste persone ipnotizzate dall’ormai onnipresente surf usato come specchietto per le allodole? La fine delle allodole!

Se sono boomer si  precipitano presso i nuovi pseudo negozi di surf gestiti da vecch* marpion* più o meno boomer che, per lo più, vendono monopattini, surf-skateboard, abbigliamento da turista a Formentera e in surf non ci sono mai andati. Deridevano chi, tra i primi, ci andava. Però conoscono Kelly Slater e seguono la WSL e gli articoletti sulla Gazza on line. Ci portano i figli inebetiti in questi negozi. Se sono ragazzi si affidano alla giungla di internet che sono abituati a surfare.

Nessuno tramanda più nulla a nessuno e se la surfing civilization lotta per non soccombere nei posti dove è radicata, in Italia soffoca e viene spazzata via.

Orde di CEO, startupper, dentisti, commercialisti, agenti immobiliari, cocchi di mamma e papà, resi tonici dal padel e dal pilates si riversano sulle spiagge con Harley Davidson, van VW California Coach con sopra tanto di mountain bike, agghindati secondo la moda del momento. Rimpinzati di pokè e idratati da centrifugati si riversano sulle coste italiane ormai anche fuori stagione, pronti ad infesciare le line up dopo avere fatto il saluto al sole.

Probabilmente è mancato, a un certo punto, un passaggio di consegne generazionale. Forse non è stato possibile farlo per la troppa gente immessa quotidianamente sulle line up. Non si è riusciti a farsi sentire nel frastuono dei media; forse non si è addirittura tentato o voluto; perché le prime generazioni si sono cullate nell’oblio dei loro ricordi piuttosto che surfare i close out foamy del quotidiano.

Probabilmente a chi inizia non interessa nemmeno perché vede il surf come uno sport e basta.

Non vorrei essere pessimista ma faccio mio il motto di Reacher, il personaggio dei romanzi di Lee Child: «Spera in meglio ma preparati al peggio» o, come dice il leggendario personaggio che ogni tanto qualcuno afferma di avere incontrato negli spot più disparati, lo Straniero Surfista:

Il surf è una attrazione destinata a ripetersi nei secoli tra gli uomini. Tra questi ci saranno dei surfer, gli altri resteranno uomini.