Per anni, sono stato convinto che il titolo fosse Sun City o Surf City… per quanto mi lanciassi in ricerche in rete non riuscivo a trovarne traccia: Summer City! Finalmente l’ho trovato, cazzo!
Ci sono film che non sono proprio dei capolavori. Hanno, però, qualcosa per la quale li ricordi a distanza di anni. In genere sono quei film che hai visto quando eri molto giovane. Magari ti dimentichi il titolo; magari non sai chi fosse il regista… perché uno può anche godersi quei film senza sapere chi è il regista e fregandosene di chi siano gli attori. Ognuno ha un film che ricorda di avere visto e di cui ricorda, anche solo vagamente, il plot e qualche frame, qualche particolare insignificante.
Ogni tanto gli affiora nei ricordi, improvvisamente, come una bolla di melma che sale sulla superficie di uno stagno, un giorno afoso di luglio. Anche a me è capitata questa sensazione. É simile a un déjà vu. Mentre stavo aspettando le onde sulla line up, durante quei giorni estivi in cui il wind swell manda poco o nulla; durante una scaduta di poca consistenza, mentre assicuravo il mio surfboard sulla capotte della mia surf mobile, mi tornava continuamente in mente: Summer City – Un’estate di fuoco (1977).
Summer City – Un’estate di fuoco
Summer City – Un’estate di fuoco è un mediocre film australiano di cui non puoi certo parlare con un cinefilo senza fare la figura del pirla… anche solo per rintracciare il titolo che non ricordi. Sto parlando di un film australiano del 1977, per la regia Christopher Fraser, che dopo questo film è sparito come rapito dagli alieni. La produzione é di Phillip Avalon che, invece, di film ne ha fatti e prodotti sia prima che dopo. Ha una carriera discreta, senza picchi né abissi ed è conosciuto soprattutto in Australia.
Summer City segna il debutto di Mel Gibson, anche se non spicca assolutamente.
STREAM FILM – SUMMER CITY
Gli altri due attori sono John Jarrat, che qualcuno ricorderà come protagonista di un film slasher, Wolf Creek (2005) uno dei tanti, passabili epigoni di Texas Chainsaw Massacre (LEGGI QUI) e Steve Bisley, che recita ne The Great Gatsby (2013).
Messo in chiaro che questo film è tutt’altro che memorabile, l’ho sempre tenuto a memoria con il curioso acronimo stampigliato sul retro della vecchia Holden dei protagonisti:
N.R.N.R.H.
Mi sono imbattuto in questo oscuro film noleggiando una VHS alla Videoteque di Melegnano nel 1987. Quando cercavo tutto sul surf ma non trovavo mai niente. Il VHS si trovava con altri VHS, stranamente, in offerta, a poco. A dirla tutta il VHS è durato poco. Erano proprio poche copie.

Non ho più mollato il surf e il surf non ha più mollato me. Pian piano il surf ha iniziato a diffondersi e, progressivamente. Tutti i video e i film a riguardo sono tornati disponibili in VHS, poi in DVD, oggi nei vari formati digitali, come YouTube.
Nel 2018 io e il Tommaso Lavizzari siamo stati invitati a Siracusa per presentare il nostro libro Surf. Un mercoledì da leoni 40 anni dopo (il libro è esaurito, ma stiamo preparando la nuova edizione per i 45 anni, N.d.R.), da Luigi Amato, docente di Estetica del Cinema. É anche lui un surfer di lunga data e, chiacchierando con lui, è risaltato fuori Summer City – Un’ estate di fuoco. Anche lui ne aveva un ricordo vago. Meno vago del mio, visto che si ricordava il titolo esatto.

Per anni, sono stato convinto che il titolo fosse Sun City o Surf City… per quanto mi lanciassi in ricerche in rete non riuscivo a trovarne traccia: Summer City! Finalmente l’ho trovato, cazzo!
Oh, insomma è proprio un bel film trascurato ingiustamente, altroché! Sembra il solito film sui passaggi d’età e sicuramente lo è, per l’età dei protagonisti. É collocabile nel filone di Big Wednesday (1978) perché c’è di mezzo il surf, ma il capolavoro di John Milius è a sé stante. Non appartiene ad alcun filone e, comunque, più che di similitudini si può parlare di suggestioni.

Il film comincia con un flash-back ed è la storia, ambientata nei 60s di tre amici che, finita la scuola, partono per le vacanze. A zonzo per l’Australia su una vecchia station wagon Holden loro e i loro surfboard. É un’Australia rurale e provinciale, bigotta e perbenista e a tratti cupa.
Se Un mercoledi da leoni è un film epico e triste Summer City è un film cupo, per nulla epico e crudo.
Non vi è nulla di epico in questo film. I tre protagonisti non sono surfer famosi, non surfano benissimo e non sono inseriti in una scena di surfer. Le onde non sono nemmeno un granché: diciamocelo. Le scene di surf di questo film mi sono rimaste impresse per decenni perché surfano dignitosamente, senza infamia e senza lode. Sono ben lontani dal Matt Johnson che incarna Lance Carson e dal Jack Barlow che invece incarna Kem Aaberg nel film di Milius.
Le riprese delle scene di surf non sono particolarmente accurate. Forse per motivi di budget, più probabilmente perché il surf non è che un elemento indispensabile ai fini della storia. ll surf in Australia in quegli anni, infatti, era più comune che negli USA, essendo la popolazione australiana concentrata sul perimetro della costa.
Anche nei momenti in cui gli amici surfano si avverte una certa cupezza. La cupezza non molla un attimo in questo film.

Sebbene di giorno ci sia sempre il sole e di notte il cielo sia stellato, la cupezza insinua l’atmosfera e volge al malinconico. Se nel film di John Milius vi è una ampio arco narrativo, qua è molto limitato. Forse è anche più breve di una vacanza estiva. Se in Big Wednesday ci sono cambi epocali, svolte di vita, segni di invincibili rese che portano all’arrivo della maturità, in Summer City c’è un cupo presagio di incombente tragedia; ineluttabilmente preannunciate da quelle lettere sul retro della Holden: N.R.N.R.H.
N.R.N.H.
Ho scoperto essere l’acronimo che cela le parole No Roots No Roads Home, acronimo che era molto in voga tra i surfer aussie di quegli anni. Tradotto vuole dire: niente radici né strada per casa. Una dichiarazione di intenti per se e un monito per gli altri. Lasciarsi tutto alle spalle dell’Australia bigotta e conservatrice, isolata dal mondo nel suo benessere fatto di parsimonia agricola e quotidianità vacua, alla ricerca di avventure e senza vincoli; di nuovi spot, di party e di ragazze da sedurre e abbandonare .
%204%20leads%20milkbar%20001_display.jpg?w=720&ssl=1)
La spaccatura generazionale non è raccontata esplicitamente ma la si nota nelle figure degli adulti pressoché assenti, lontani alieni; come se vivessero in mondi paralleli. Qua non c’è un complice Bear, né una tollerante e colta Sig.ra Barlow.
Quando i due mondi si incrociano e vanno in collisione, il film si conclude in una tragedia tanto repentina quanto annunciata per tutto il film. Con la fine del flashback finisce anche il film.
La locandina del film è davvero brutta e non invoglia affatto alla visione. A me è piaciuta molto la colonna sonora r’n’r low profile, fatta da canzoni di ottime e misconosciute band, per lo più australiane. The Deltones, che non hanno nulla a che vedere con i Del Tones che accompagnavano Dick Dale, The Joy Boys, The Atlantics; Phil Avalon, il produttore del film; Glenn Cardler’s Ratbags ed altri…

In quanto a Mel Gibson questo è forse l’unico film, insieme a Interceptor (1979), che non è riuscito a rovinare, recitando poco. Forse per questo non compare nella sua filmografia ufficiale.
Mi spiace che Fraser abbia girato solo questo film e non abbia riscontrato il successo che avrebbe meritato visto che è meglio della maggior parte della paccottiglia di film che propongono le varie piattaforme contemporanee.