Alessandro Dini

Alessandro Dini, il surf italiano e il tesoro nascosto

Alessandro Dini rappresenta, meglio di chiunque altro, il surf in Italia. Ne è considerato il padre. Certamente ne è uno dei pionieri e la memoria storica. É di Viareggio, dove ha iniziato a surfare alla fine degli anni Settanta, stimolato dal celeberrimo film Un mercoledì da leoni (Big Wednesday, 1978). Nell’arco di trent’anni ha svolto ogni tipo di attività relativa al surf. É stato foto-reporter nel circuito professionistico mondiale. Fondatore della prima rivista italiana di surf e della Federazione Italiana Surf, della quale è stato eletto presidente all’unanimità dei voti. É anche consulente per molte aziende del settore. Ha diretto per circa un decennio la divisione marketing di una delle più prestigiose aziende della surf-industry. Oggi è formatore di Istruttori Surf in Italia per conto della I.S.A. (International Surfing Association) e scrive romanzi ambientati nel mondo del surf.

Qui trovate un’intervista esclusiva realizzata dall suo habitat naturale per RIS8Lifestyle. Vi consigliamo di vederla, però, dopo aver letto tutto l’articolo. C’è un vero e proprio tesoro da scoprire…


ALESSANDRO DINI INTERVISTATO DA FRANCESCO FIORENTINO X RIS8LIFESTYLE


Un aspetto stucchevole dei media italiani è la tendenza a raccontare quello che succede fuori dall’Italia, trascurando quello che succede nel nostro paese. É una prassi comoda per una serie di motivi. Le notizie sono esotiche. É ormai una consuetudine e, come tale, è diffusa e consolidata. I fruitori sono considerati degli imbecilli. Spulciando tra il materiale estero si possono assemblare, in poco tempo, articoli che non urtano nessuno.

Fanno eccezione gli argomenti cucina e moda. Si sa, infatti, che la vulgata vuole l’Italia un paese di cuochi e di sarti. A ben vedere, anche qua si propina ciarpame a palate. Per quel che riguarda la cucina si parla, per lo più, di carbonare e pizze; circa la moda non si esce dalla patriottica mitopoiesi delle case di moda più consolidate. Se si parla di basket, rugby o anche calcio si va a finire alla NBA, al calcio inglese, al rugby neozelandese per andare sul sicuro.

Mi rendo conto che anch’io quando scrivo di surf ho la tendenza a percorrere lo stesso sentiero. Lo percorro consapevolmente. Non lo faccio per pigrizia o perché consideri i lettori degli imbecilli. Lo faccio perché, per ora, mi è servito per creare il contesto in cui inserirli e dare un’idea del surf-mondo. Mi serve per contestualizzare. Quando scrivo di surf non ho nessuna velleità di pontificare ma non do per scontato che tutti siano esperti  dell’argomento. Faccio del mio meglio per cercare di interessare anche chi il surf non lo pratica o lo pratica da poco.

Questa premessa, che sta diventando prolissa, serve a introdurre la storia del surf italiano. Penso che valga la pena di essere raccontata.

Non per amor patrio, ma perché sono convinto che ci sia da andarne fieri. Per altro è una storia non semplice da narrare. Si corre il rischio, infatti, di suscitare polemiche ed incorrere in malumori. Qualche rischio va corso prima o poi. É una storia che non si può ignorare perché è una storia D.O.C., Denominazione di Origine Controllata.  

Ho avuto l’onore di partecipare un pochino anch’io a questa storia, sebbene inconsapevolmente. Sì, perché quando si è giovani si è fortunatamente inconsapevoli e incoscienti, per lo più… ma non tutti lo sono.

Il mio amico Alessandro Dini si è sempre distinto per consapevolezza e idee chiare. Ne ho avuto ulteriore prova durante il secondo lockdown.

Mi sono recato a trovarlo a Viareggio, in un marzo ventoso, piovoso e con strade deserte, a causa della chiusura globale. Sembrava più che altro di essere a Provincetown nel Massachusetts.

Il periodo dei due lockdown è stato un alternarsi di paura, noia e segregazione. Oltre guardare film horror, bere litri di alcolici e tirare a canestro in cortile ho avuto tempo per riflettere sul surf. Non potendo praticarlo ne ho approfittato per parlarne via zoom con amici che sentivo di rado, tra cui il Daniele Paolucci di Passamonti Editore, che da anni cura un progetto di testimonianze sul surf italiano, e l’Alessandro Dini, appunto, che ha un archivio impressionante di materiale sul surf italiano. 

Il primo problema del surf italiano sono le sue origini. Essendo nato quasi contemporaneamente in diversi punti della penisola, infatti, ha diverse narrazioni.

I vari gruppi si ignoravano. Non potevano conoscersi, quindi le narrazioni sono spesso in contrasto tra loro. In molti hanno cercato di raccontarlo a modo proprio, con film, documentari e qualche libro. Ogni opera che usciva, però, suscitava polemiche e dissapori. Alimentava rancori che si credevano sopiti, ma in realtà erano in agguato come uno scorpion fish sotto la sabbia.

Dietro ogni opera c’erano buone intenzioni, ma le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Sopratutto, dietro la tastiera o la telecamera, c’erano persone sicuramente molto professionali, che sanno il fatto loro, ma che avevano una conoscenza parziale dell’argomento. Surfavano da poco tempo, non surfavano proprio o non abitavano in Italia da molti anni. Quindi, nella ricerca delle testimonianze necessarie allo storytelling, in mancanza di un archivio ben fornito, lasciavano briglia sciolta agli intervistati, senza un plot vero e proprio da seguire, senza un contraddittorio.

Alessandro Dini è stato colui che ha creato la prima Associazione nazionale di surfer in italia e l’ha trasformata in Federazione. Ha creato il primo magazine di surf nazionale. Ha realizzato le scuole di surf federali. É stato il referente di grosse realtà di surf in Italia. Ha organizzato contest. É amico di surf-legend e ha accumulato una mole di materiale imponente, degna di un museo.

Dell’imponenza della sua collezione ho avuto la prova  trascorrendo 3 giornate in una stanza insieme ad Alessandro Dini. Siamo stati dietro un proiettore video, un proiettore di diapositive e circondato da pareti di scatole colme di riviste, documenti, fotografie, ecc. ecc.

Anche se tutto è stato fotografato e digitalizzato, possiede anche la documentazione originale. Sono stati  giorni di sandwich, caffè, acqua minerale e block notes per prendere appunti necessari a mettere le basi per il progetto che Alessandro Dini ha in mente da qualche anno:

Realizzare un docu-film montando tutto il suo materiale e raccogliendone altro in giro per l’Italia.

La visione di tutto quel materiale mi ha rapito e mi sono offerto di dare una mano in qualsiasi modo potesse essere utile. Perché sono più che convinto che il surf italiano abbia uno storytelling avvincente e lineare, che sembra uscito da un saggio di Vernant. È una storia di entusiasmo, colpi di scesa, vette, abissi e riscosse, sia a livello collettivo che a livello individuale. É una bellissima storia che va narrata, affinché possa continuare a essere percorsa dagli young guns

La storia del surf italiano è piena di episodi emozionanti. É anche buffa e, a volte, drammatica. Ricca di tematiche sociali e individuali attuali, perché molto avanti per quegli anni. Terrorismo, gender, droga, morte, amore, malaffare, risse, ripicche, ecc. ecc. Non manca nulla, soprattutto nel baule dei ricordi di Alessandro Dini.

Per esempio, una cosa che ho trovato incredibile è che, per certi versi, i primi ad avere creduto nella possibilità di surfare in Italia, in anni in cui il surf era snobbato, sono state delle autentiche e conclamate surf legend che venivano in Italia con una certa regolarità. Ok, lo sapevo, ma non ci avevo mai fatto caso veramente. Non avevo mai focalizzato veramente.  Ho proposto il titolo Surf D.O.C. in quanto il materiale è sicuramente di Origine Controllata e include tutto e tutti. 

Infatti, la storia del surf, che ha tra i pionieri il Clan Fracas di Bogliasco, si è sviluppata lungo entrambe le coste; nelle isole e in tante piccole comunità inconsapevoli le une delle altre. Si erano create come fosse per necessità, un’urgenza. Perfino tra i valley, i milanesi, come me ed i miei amici c’era questa urgenza.

É in quegli albori che Alessandro Dini e amici si sono guadagnati il ruolo che è di Edward, il più grande uomo scimmia del pleistocene di Roy Lewis: hanno tirato fuori il surf dal pleistocene e lo hanno portato in pari… e, in certi casi, anche più in là.

Adesso che il surf è diffuso è il momento di raccontarlo e non di raccontarcelo. É il momento di tramandarlo e innaffiarne le radici. C’è  bisogno di qualcosa in più di qualche ripresa in slow motion in pellicola Super8 con relativa seppiata in post produzione; di riprese di schitarrate intorno al falò, tramonti filtrati in un calice di vino o clip testosteronici da integratori alimentari. 

É ora di montare la storia del surf italiano digitalizzando tutto il materiale che Alessandro Dini ha raccolto e che potrà raccogliere. Contestualizzarla. Portarla fino a oggi, con un’ottica avvincente e sincera, integrata da interviste attuali e alle surf legend bigger than life che hanno creduto nel nostro surf quando nessuno ci credeva.

Il materiale c’è, la storia c’è, la disponibilità c’è. Se qualche produttore o qualche casa di produzione fosse interessata: ask to Alessandro Dini.