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Supercoppa: balsamo per l’Inter, Milan travolto

L’Inter vince abbastanza agevolmente la finale della Supercoppa italiana. Una finale attesissima da tutto il mondo calcistico italiano e dalle due milanesi che, nella mediocrità del calcio nostrano e della stagione in corso, hanno attribuito a questo trofeo un’importanza straordinaria. Nel senso che va oltre il valore ordinario che dovrebbe avere questa competizione per Milan e Inter.

La Supercoppa è un trofeo importante come ogni trofeo ufficiale. Un tempo, però, Milan e Inter competevano per ben altri traguardi, oggi dà un senso alla stagione già a gennaio.

Era una partita carica di significati per le due milanesi, purtroppo. Sì, purtroppo per chi ha visto queste due nobili rendere Milano la città più importante e titolata del calcio. Unica ad avere due squadre di cotanto blasone pallonaro, checché ne dica Lele Adani a proposito di Rosario. Milano è la capitale del calcio, almeno finché dura, ma prima di eguagliare una città con due squadre così titolate, passerà ancora qualche tempo. Il Real da solo non può bastare a Madrid.

Passerà qualche tempo ancora, ma accadrà. Qualcuno supererà Milano e l’Italia anche calcisticamente. La strada è segnata. Sono d’accordo con quanto affermato ieri da Andrea Agnelli a proposito del sistema calcistico, che verrà fagocitato dalla Premier League, che ha capito che il calcio è ormai un’industria e non più solo un gioco.

La superfinale ha mostrato tutti i limiti del calcio italiano. Questa è la verità.

É stata una partita oggettivamente brutta, tra due squadre piuttosto scarse nel complesso. Spiace per i duri e puri che, tronfi di un ego smisurato, dopo aver annunciato di boicottare il Mondiale non vedendo neanche una partita – come se questo interessasse a qualcuno – hanno prontamente postato foto al seguito di Milan e Inter in quel di Riad. Arabia Saudita. Non esattamente un paese più rispettoso dei diritti umani rispetto al Qatar.

É piuttosto triste che il calcio italiano abbia la necessità di spostare, ormai da anni, le proprie superfinali all’estero per raccattare qualche spiccio. Questo è stato detto e ridetto, ma se lo spettacolo proposto è questo, non durerà ancora molto la domiciliazione araba della Serie A. Investiranno in altro, un po’ come tutti noi, addetti ai lavori, tifosi e appassionati. Prima o poi la corda si spezzerà, è inevitabile.

Parliamo di un calcio bolso, anche se Arrigo Sacchi vede sprazzi di calcio europeo ovunque. Non sono bastati i danni che ha fatto sul campo, sono ormai più di 30 anni che lo si ascolta come un oracolo esprimere concetti di pura fantasia.

Un calcio italiano che si rende sempre più ridicolo travestendosi da Premier League, invece che trovare la propria strada nel rifare tutto e tornare a fare calcio. Proprio domenica sera Alessandro Del Piero ha ripreso esattamente il concetto che avevo descritto qui su RIS8 qualche settimana fa (LEGGI QUI), usando a pretesto il possibile passaggio di Enzo Fernandez al Chelsea.

Tornando alla Supercoppa tra Milan e Inter, è la rappresentazione di tutto questo.

L’Inter vince il suo quarto trofeo domestico dell’era Zhang, ma in Europa festeggia come un traguardo gli Ottavi di Champions League. Vende calciatori che poi riporta a casa, entrando in un loop malsano, sia dal punto di vista dei conti che da quello tecnico. Sembrava aver capito che i calciatori vanno venduti al momento giusto per far cassa e crescere, invece ecco il ritorno del cavallo Lukaku, ieri ancora fermo ai box. La Supercoppa è il brodino che scalda dal -10 in campionato e rinvigorisce per provare la rincorsa. La Coppa Italia potrebbe essere il contentino per il fine stagione, mentre l’impresa del girone di Champions potrebbe anche prolungarsi contro un Porto molto difficile ma non irresistibile.

Il Milan, invece, viene travolto dalla Beneamata. Il Diavolo non riesce a sollevare la Supercoppa. Quella che, prima del miracoloso Scudetto 2022, era stata l’ultimo trofeo in casa rossonera. Dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia è il secondo traguardo fallito dalla banda di Pioli. Restano un campionato, in cui credere ancora, e il tentativo dell’impresa in Champions contro un Tottenham difficile ma non irresistibile, visto che Antonio Conte ci sta mettendo del proprio, in negativo. Il Milan, a differenza dell’Inter, non ha capito quando è giusto vendere i calciatori. Tende a innamorarsene e a perderli a zero quando ormai la passione è finita. Ha intrapreso una brillante linea verde che, in quanto tale, non sempre offre sufficienti garanzie.

Soprattutto, prima di dare stabilità servono anni e c’è chi è già avanti in questo percorso. Così, ecco che la creatura di Maldini-Massara-Moncada è costretta a giocare quasi 60 partite con 13-14 calciatori, neanche tutti sempre affidabili e spesso infortunati. Non tenderei, quindi, a dare troppe colpe a Tatarusanu, che ieri è stato uno dei pochi a salvarsi, forse l’unico, o a Pioli. La squadra è quella che è, sia tecnicamente che, soprattutto, mentalmente. Pioli era riuscito a costruire un piccolo miracolo, facendo apparire come geni i suoi dirigenti: riuscirà a ripararlo anche senza pezzi di ricambio?

Purtroppo questo non sembra un incidente di percorso e le facce dei milanisti, sia dentro che fuori dal campo, non nascondono le preoccupazioni iniziate all’87esimo di Milan-Roma. É vero, è stato solo un pareggio quella sera, ma sembra che, durante gli ultimi 10 giorni, si sia rotto qualcosa nella pancia di Milanello e lo zio Jerry non si vede e non si sente dalle notti del Tricolore…

Articolo di Tommaso Lavizzari