Venerdì 4 Novembre. Ore 7:00. La sveglia dell’IPhone suona imperterrita anche oggi. La voglia di buttare il telefono è sempre tanta, ma anche oggi la mente scende a patti con il cuore e mi alzo dal letto. Ancora mezzo assonnato, guardo i messaggi che ho lasciato senza risposta. Tra questi, attira la mia attenzione quello di Laura di appena un minuto prima. Il corpo del messaggio è semplice: è la gif del gypsy kid dancig can’t be bothered. Ah già, oggi è IL giorno. Il giorno del C2C.
Con questo semplice aneddoto personale, spero di aver trasmesso ciò che il Club To Club (C2C) genera nel popolo torinese, in particolare per questa edizione ventennale.
Dopo un paio di anni svoltosi sotto forma di spin-off con il nome CØC a causa delle limitazioni per la pandemia, la rassegna di musica avant-pop è tornata prepotentemente alla carica per questa edizione del 2022. Il pubblico ha risposto presente mandando sold-out praticamente tutti e quattro i giorni del festival.
Merito sicuramente anche di una card di tutto rispetto. Come ogni edizione, il C2C ospita nei suoi giorni praticamente tutte le diramazioni della musica elettronica. Per fare un esempio, ne è una dimostrazione aver avuto la possibilità di ascoltare l’elettronica sperimentale di Arca, il mix esplosivo di dancehall e grime di Pa Salieu, l’urban/latin pop di YEИDRY o il nu-jazz dei Nu Genea. Il tutto si è svolto poi in location di tutto rispetto. Le storiche OGR nel cuore di Torino e la casa-base del C2C, ovvero il Lingotto Fiere.
C2C – GIORNO 1
La metro è occupata in ogni vagone dai partecipanti ed io mi sento un po’ come Mufasa nella fatidica scena durante la corsa degli gnu. Non nascondo però che ero un po’ emozionato nell’uscire dalla fermata Lingotto per il tanto atteso ritorno nel complesso che ospita normalmente il C2C.

Arrivo di fretta all’ingresso del main stage, dove da poco ha iniziato Caribou con la sua band. Parte un intro che fa già pensare bene. Non dovrà passare più di tanto per sentire il crescendo di un sample vocale che suona familiare e che ripete una sola parola… è fatta, è Sun.
Sarò di parte, ma fidatevi, per quanto condizionato, l’esibizione live di questo pezzo storico dell’artista canadese ha avuto un’intensità epica, con un drop finale davvero da brividi. Non sono mancati ovviamente i brani più noti, come You and I o Never Come Back del suo ultimo album Suddenly o il suo ultimo singolo You can do it del 2021. Spazio anche a brani estratti da Our Love, primo su tutti Can’t Do Without You.
Insomma, synth, basso, chitarra, batteria elettronica e voce hanno creato, insieme a tutti gli elementi visivi e scenografici del palco, un momento di isolamento collettivo.
Immergersi nel proprio immaginario grazie alla musica. Grazie Daniel, trasmettere al contempo positività e malinconia con l’elettronica è sicuramente roba per pochi.

Sento di dover passare però all’altro stage, ovvero lo Stone Island Sound Stage del C2C. Come da programma, è il turno del venerabile maestro Jeff Mills.
Il guru made in USA della tecno ha praticamente influenzato la sua musica con qualsiasi genere. Classica, unendosi alla Orchestra Sinfonica di Porto in cui si ispirava alle storiche composizioni di Gustav Holst riguardo i pianeti. Afrobeat, in combutta con il batterista Tony Allen . Recentemente ha iniziato a mischiare tecno, jazz e samba insieme ai Zanza 22. Una sfera musicale che copre così tanti generi sfocia in un live tra i migliori della rassegna. Sguardo inamovibile tra cdj, mixer e la sua immancabile tr-909 e, in contrapposizione alla sua invidiabile compostezza, bassi che fanno letteralmente tremare i muri del complesso.
Non c’è niente da fare, in qualsiasi card Mills compaia, sarà sicuramente uno di quelli che uscirà con il premio Fight of the night come nella UFC.
Dopo un’ora e mezza di performance, si corre al Main Stage perché ha già iniziato uno degl. ospiti fissi del festival: Jamie xx. La copertina del suo storico album di esordio, In colour, rende subito l’idea di cosa ci si aspetta di ascoltare: uno stile che comprende all’interno di sé tante sfaccettature come l’indie elettronica, garage e dubstep. Rispetto al quel momento della sua carriera, però, l’artista londinese sta attraversando una fase dove le sue tracce sono più aggressive e dal ritmo serrato.
Ne è una prova l’ultimo prodotto Let’s do it again dove campiona Bobby Barnes (dopo averla sentita live, ancora non è uscita dalla mia testa dopo tre giorni) o Kill Dem dai suoni caraibici.
La sua apertura, con il dj davanti all’inseparabile disco-ball, consiste in un intro di poco più di un minuto accompagnato da un effetto scenografico che ricorda i raggi di un sole al cui centro compare proprio Jamie.
Parte il drop di Girl. Mixa subito altri due brani nel giro di un minuto, e lo fa da Dio. Il pubblico impazzisce, visivamente vedere una folla così presa è sempre un’emozione forte. Le luci sul palco gli fanno da cornice puntando sulla consolle in modo da formare delle x. Tocco di classe quando il producer dei The XX decide di far esplodere la platea suonando l’epica Transformation di Tim Deluxe. Continuando a impadronirsi della notte, Jamie xx ci ha ricordato perché figura sempre con i caratteri più grandi nei manifesti delle line-up.

Decido di rimanere su questo palco attirato dalla curiosità di ascoltare il duo rivelazioni dell’ultimo paio di anni. Avendo avuto l’approvazione di artisti del calibro di Four Tet e Ben Ufo, i Two Shell sono arrivati sulla Terra come una meteora sulla scena dance mondiale.
Il loro ultimo EP, Icons, attinge dai serbatoi della jungle, techno e garage per formare delle produzioni che spesso includono anche dei sample vocali semi-oscurati. L’anonimato che li contraddistingue fa sì che svolgano il proprio set davanti a un telo bianco. Una scelta che a me sinceramente non ha fatto proprio impazzire, in quanto quest’ultimo copriva la parte visual del live, da sempre uno dei punti forti di questo tipo di concerti. Nonostante questo disappunto, il talento c’è e si vede.
Riesco a godermi gli ultimi momenti di Kode9 dal palchetto posto dietro al fonico dello Stone Island stage del C2C e devo dire: posto niente male sia per ascolto che per gli occhi.
L’artista scozzese ha saputo trasmettere una carica enorme attraverso la sperimentazione che c’è nella sua elettronica e che quasi definirei progressive. In ogni caso è stato la conferma del ruolo centrale che i britannici hanno nel genere e dal valore che gli hanno apportato fin dai suoi albori, tra uk garage, dub e breakbeat.
Per curiosità, esco da questo stage e seguo i laser verdi che mi portano di nuovo allo stage sponsorizzato da Stone Island. Qui è in corsa la performance dell’ultimo artista: Bill Kouligas. Fondatore e direttore artistico della piattaforma ed etichetta PAN, il producer offre un concerto degno della sua reputazione: un set prevalentemente psy/trance più che techno, studiato attentamente per fondersi alla perfezione con l’aspetto visual della performance. Tutto ciò porta le persone che mi circondano a ballare freneticamente e senza sosta. Spazio anche per la nostalgia anni ’90 quando dalla casse risuonano un remix di Lose my breath delle Destiny’s Child e, non molto dopo, White flag di Dido. Mi lascio trasportare anche io fino a quando non scoccano le 4:30. É il momento di tornare a casa e ricaricare le pile per il giorno dopo.
C2C – Giorno 2
Stessa storia, stesso posto, stessa metro. Fortunatamente, riesco ad arrivare un po’ prima rispetto al giorno precedente. Appena in tempo per sentire l’ultima parte del live di Deena Abdelwahed. Di stanza in quel di Tolosa, l’artista tunisina utilizza ormai da molti anni la sua musica come veicolo per diffondere ciò in cui crede. L’EP Khonnar è un testamento per affermarsi come cittadina del mondo, lontano da quelle idee di barriere tra i popoli frutto di pensieri retrogradi. Il messaggio su cui si fonda l’idea di Abdelwahed prende le forme di musica club/dance a cui, ovviamente, aggiunge le influenze della musica del suo paese natio e ipnotici sample vocali.

Decido di fermarmi a questo stage in attesa dello spettacolo degli artisti più attesi di questa edizione: i Nu Genea.
Quest’anno il duo di Napoli ha sfondato le porte della musica italiana, rimanendo per tanto tempo nella classifica dei brani Spotify più ascoltati del mese. Penso che siamo tutti d’accordo se dico che non ci sia stato un solo giorno d’estate in cui non vedevamo una storia Instagram senza che ci fosse Tienatè o Marechià come brano scelto. Per questa edizione, il loro ultimo lavoro, ovvero Bar Mediterraneo, è stato sviscerato in maniera approfondita nelle quasi quattro ore di set in cui la coppia si è esibita sul palco.
Ovviamente, non sono mancati i rimandi al passato con i brani provenienti da Nuova Napoli. Soprattutto hanno mantenuto ciò che li contraddistinti in questi anni: la ricerca di brani della musica partenopea andati ormai (quasi) dimenticati, riscoperti, donati di una nuova vita musicale e riportati al grande pubblico. A questi, sono stati aggiunti anche brani della cultura urban USA, donando nuova linfa vitale ai loro set. Per chi, come me, ha avuto la possibilità di vederli molte volte dal vivo, penso sia rimasto soddisfatto nello scoprire questo nuovo lato del gruppo di Napoli.

Nonostante l’affetto che mi lega ai Nu Genea, li devo abbandonare perché al Main Stage del C2C hanno già iniziato gli artisti che più stavo aspettando: i Bicep.
Il capannone è completamente avvolto dal fumo e, in lontananza, si intravedono i nord-irlandesi, uno di fronte all’altro, completamente immersi nel loro set e con le mani che vanno veloci sulle console. In stile Aragorn mentre attraversa la Montagna infestata, mi dirigo sotto cassa per apprezzare al meglio lo show. Garage, house, breakbeat, Chicago house, Detroit techno ed Italo-disco. Questi sono solo alcuni degli elementi attorno a cui si costruisce l’io dei Bicep e del loro ultimo lavoro, Isles.
Non si può fare a meno di rimanere ammaliati e suggestionati dal loro live, con la testa che si muove a tempo, le gambe che vanno in maniera incontrollata, il gioco sapiente di luci/buio e le ipnotizzanti visual. Pure emozione nel sentire il loro brano più famoso, Glue, arrangiata dal vivo in una forma infinita. A quest’ultima, seguirà la mia traccia preferita suonata live, Apricot, è quella che basta per eleggerli a miglior performance dell’edizione. Dovrebbero sicuramente entrare nella vostra lista dei “can’t miss” se suonano nelle vostre zone.

Si rimane in questa stanza anche per la chiusura. Sì, perché la curiosità di sentire per la prima volta Romy dal vivo è tanta.
La chitarrista e vocalista dei The XX ha finalmente intrapreso il suo progetto parallelo solista facendo uscire il singolo di debutto, Lifetime, durante la pandemia. Con così pochi pezzi all’attivo ma tanto musica alle spalle, l’interesse di vederla live era alta. La struttura del suo live è stata semplice ma intelligente: si è partiti con i suoi singoli, rilasciati o meno (menzione d’onore per “Be So Strong” in collaborazione con uno dei miei preferiti del momento, Fred Again…), per poi partire con un viaggio nostalgico nelle hit anni ’90/2000, attraverso tracce come “L’amour toujours” o “Believe” di Cher. Ottima prova da parte dell’artista UK.

Di seguito, una mia personale opinione su ciò che ha funzionato o meno durante la rassegna:
W’s
- L’ambiente spazioso del Lingotto. Ha permesso a tutti di godersi il festival come meglio desiderassero. Sotto cassa o all’inizio del padiglione, il soundsystem faceva arrivare i brani in maniera potente e chiara. In più, nonostante fosse sold out, non ho intravisto particolari problemi nei luoghi comuni.
- Lo dico di nuovo? I giochi di luce ed i visual. Ciliegina sulla torta che contribuivano ad innalzare il livello degli show.
- Banalmente, il palinsesto. Una selezione eterogenea che spaziava in qualsiasi ambito della musica “avant-pop”, che ha permesso di soddisfare il palato di ognuno dei presenti.
- L’utilizzo di bicchieri riutilizzabili, perché è stato bello non vedere montagne di bicchieri di plastica buttati a terra.
- Lo staff, dagli operatori sul palco a quelli sparsi per tutto il complesso.
- Un’organizzazione impeccabile: vero che siamo nel 2022 ma, soprattutto nel Bel Paese, non è mai così scontato l’utilizzo del digitale nella progettazione di un evento (e non solo). L’app del C2C è stata studiata in ogni dettaglio: dalla facile ricarica dei wristebands, a tutte le info possibili sugli eventi, fino ad arrivare al riaccredito sul proprio conto degli eventuali token inutilizzati. DICE ci ha messo sicuramente il suo, grazie alla sua piattaforma (e ai controlli rapidissimi) le code all’ingresso sono state quasi inesistenti anche negli orari di punta;
- Gli sponsor, almeno quelli principali e cioè – oltre DICE e RedBull per il beverage che definirei sponsor tecnici – Juventus e Stone Island. I due marchi hanno trasmesso identità e voglia di rispecchiare il proprio brand nell’ambiente elettronico e nello spirito avant-pop dell’evento, attraverso i propri loghi e i proprio visual comparsi sui ledwall durante tutta la durata delle due serate.
L’s
- Continua la mia personale battaglia nei confronti dei prezzi ai festival. Tralasciando il costo dei cocktail (11 euro), continuo a pensare che l’acqua a due euro sia un po’ troppo. Sbaglierò?! Amen.
- Forse avrei rivisto alcuni orari delle performance. Per esempio, credo che artisti come gli Autechre avrebbero potuto suonare più tardi rispetto all’orario effettivo della scaletta.
Due serate che possono solo definirsi magiche. Tutto frutto e merito dell’organizzazione: dallo sfruttare in maniera sapiente gli spazi del Lingotto, una card di tutto rispetto ed un incredibile lavoro svolto dallo staff di Anonima Luci per l’illuminazione ed i giochi hanno contribuito a questo incantesimo di nome Club To Club.
Un vero peccato non essere potuto presente agli show di tutti gli altri artisti sia nelle serate di venerdì e sabato che nelle altre due. Speriamo di rifarci al più presto, magari alla prossima edizione che è stata già annunciata. Preparatevi che dal 2 al 5 Novembre 2023 il Lingotto Fiere sarà pronto nuovamente per accogliervi al ritmo dei potenti bassi del C2C.