Ieri sera si sono svolte le premiazioni per il Pallone d’Oro e del Gran Galà del Calcio italiano. Il Ballon d’Or, in francese, noto in precedenza anche come Calciatore europeo dell’anno, è un premio calcistico istituito nel 1956 dalla rivista sportiva francese France Football. Fino al 1994 veniva assegnato annualmente al giocatore europeo che più si è distinto nella stagione sportiva. Oggi, invece, il vincitore può essere di una qualsiasi nazionalità e di una squadra qualsiasi di un qualsiasi campionato del mondo.
L’importante è che il vincitore del Pallone d’Oro vada a genio ai vertici del calcio e che giochi in una delle principali squadre europee. Possibilmente che abbia anche peso politico in quel determinato periodo storico.
Così, dal 2008 in avanti, lo hanno sempre vinto Lionel Messi o Cristiano Ronaldo. Pazienza se nel 2013 la Champions League fu vinta dal Bayern Monaco dello straripante Franck Ribery, in finale contro il Dortmund. Il Pallone d’Oro fu lo stesso assegnato a CR7. Pazienza se, nel 2020, a meritarlo fosse Robert Lewandoski, vincitore sempre con il Bayern Monaco della Champions League e cannoniere impressionante da stagioni e stagioni. Il Bayern Monaco non sta simpatico, questo lo avevamo capito. Ha una proprietà solida, a componente popolare, senza sceicchi o simili, e non fa follie sul mercato. Il contrario dell’idea di calcio del popolo che ha la UEFA, insomma.
L’anno del Covid non si è assegnato il Pallone d’Oro e l’anno dopo andava dato a Messi, anche se nel PSG non è pervenuto. Ha vinto la Copa America, che prima di lui veniva considerata come un trofeo estivo. Luka Modric non si poteva non premiare nel 2018. Finalista in Russia (si può ancora scrivere?) con la Croazia; vincitore di 3 Champions League consecutive con il Real Madrid. Ci han provato in tutti i modi, ma non hanno potuto che darlo a lui quell’anno.
Ecco che, con Messi e Ronaldo fuori dai giochi, alla tenera età di 34 anni, dopo 5 Coppe dei Campioni con oltre 400 gol all’attivo solo in camiseta blanca, Karim Benzema ha vinto il Pallone d’Oro.
Non potevano che assegnarlo a lui, a furor di popolo, altrimenti si sarebbero risparmiati volentieri di premiare un giocatore del Real Madrid, tanto odiato dai vertici UEFA per essere il portabandiera della Superlega. Il Clud di Florentino, nemico giurato di Aleksander. Felici i francesi, ovviamente, che sono tornati a premiare un loro calciatore dal 1998, anno di Zidane Campione del Mondo.
Sì, perché non ci dimentichiamo che il Pallone d’Oro è il premio assegnato da una rivista francese che si intitola Francia Calcio, scelto da una giuria composta da giornalisti di tutto il mondo, scelti in base a un criterio totalmente privato e che dovrebbe seguire, in teoria, il prestigio della firma. L’Italia, oggi, è rappresentata da Paolo Condò. Senza nulla togliere al nostro porta bandiera, non so quanti anni siano trascorsi dall’ultima cosa sensata che ho letto o gli ho sentito dire in televisione. Basta vedere come prendono le sue affermazioni gli altri ospiti di Sky, Fabio Capello su tutti. So che questo non piacerà a molti suoi fan, cui rivolgo una domanda: perché siete suoi fan?
Chiedo senza malizia, davvero, proprio non capisco. Non ricordo nulla che lo distingua particolarmente da molti altri della storia. L’intervista ad Ancelotti, che tanto va di moda ultimamente, se non fosse stato per Carletto, sarebbe stata soporifera e piuttosto banale nei contenuti richiesti dalle domande. Si è vantato di aver azzeccato il vincitore e il secondo classificato: Sadio Mané. Wow! Nostradamus!
Se questo è il livello del giudice di uno dei primi campionati al mondo, immagino come possa funzionare il resto delle scelte per il Pallone d’Oro.
Basta leggere le classifiche, ogni anno, per rendersi conto che, se mai il Pallone d’Oro abbia avuto un reale valore, oggi non conta nulla. Conta per chi lo vince, perché corona un sogno che ha qualsiasi bambino al mondo. Sono felicissimo per Benzema, calciatore che adoro e che ha preso ancor più punti nel mio cuore presentandosi alla premiazione vestito come Tupac, suo idolo, nel 1996.
Mi domando come possano essere al 14esimo posto Leão e al 17esimo posto Vlahovic. Per aver fatto qualche buona partita, il primo a fine stagione, il secondo a inizio stagione. Entrambi in Europa sono ancora poca cosa e il primo fatica addirittura a trovare posto in Nazionale, mentre il secondo gioca nella Serbia dove il più decisivo resta ancora Mitrović. Volete dire che nel mondo non ci sono calciatori che, nel proprio campionato nazionale, abbiano fatto meglio di loro?
Haaland è al 10imo posto, sopravanzato da, appunto, Sadio Mané – calciatore eccezionale ma avete presente il norvegese? – da un Lewandoski che non ha passato certo la sua miglior stagione, così come Mbappé. Davanti a lui addirittura Courtois. Portiere eccezionale, peccato che prima delle ultime giornate di Champions League non fosse esattamente ben visto per il rendimento della stagione.
- Karim Benzema (Real Madrid)
- Sadio Mané (Liverpool/Bayern Monaco)
- Kevin De Bruyne (Manchester City)
- Robert Lewandowski (Bayern Monaco/Barcellona)
- Mohamed Salah (Liverpool)
- Kylian Mbappé (PSG)
- Thibaut Courtois (Real Madrid)
- Vinicius Jr. (Real Madrid)
- Luka Modric (Real Madrid)
- Erling Haaland (Dortmund/Manchester City)
Non sono 10 giocatori che non possono stare lì, anzi. Non è una classifica assurda, ma ha ancora senso? Ha ancora senso un premio di questo tipo e così strutturato? Nei primi 25 posti non c’è un calciatore che non militi in uno dei principali campionati europei, in uno dei Club più chiacchierati. Eppure tantissimi calciatori, ogni anno, escono da campionati semi-sconosciuti, vedi Khvicha Kvaratskhelia, per fare un nome che va di moda oggi. Quando esce un giocatore nuovo sembra sempre comparire dal nulla: ma chi deve votare il migliore al mondo e mette in classifica calciatori che han fatto bene nel proprio campionato, a patto che sia tra i primi 5 o 6, non dovrebbe valutare tutto e tutti? Non c’è mai un calciatore che ha fatto bene nella Libertadores o in Africa… eppure il premio, dal 1994, è mondiale.
Il calcio oggi viaggia a una velocità incredibile e se il livello di attenzione è lo stesso che mostra Paolo Condò da qualche anno, non mi stupisce che la classifica del Pallone d’Oro sembri la top 11 delle fasi finali di Champions League, tranne quando Messi vince la Copa America.
Ho un rapporto personale con il Gran Galà del Calcio. Nel 2018/2019, quando ero direttore di Sport Tribune e Soccer Illustrated, realizzammo, con la redazione, tutte le grafiche per la diretta Tv e un numero speciale che distribuimmo per l’occasione.
Conosco bene l’organizzazione e so la serietà estrema che c’è dietro al Galà. Un premio, tra l’altro, assegnato dagli addetti ai lavori. I premi non sono discutibili, sono stati assegnati ai migliori, non c’era molta scelta in effetti. Plebiscito Milan. Il premio più prestigioso, quello di Miglior calciatore dell’anno, è andato a Leão, anche se non sono totalmente d’accordo è un premio corretto. Ci sta meno dare il premio di Miglior Giovane di Serie B a Federico Gatti, che di anni ne ha 24. A 24 anni sei un calciatore nel pieno della maturità, non un giovane.
Del resto abbiamo un CT della Nazionale che, ai microfoni di Sky, ha tessuto le lodi del calcio italiano affermando che Atalanta-Milan sia stata una partita dai ritmi simili alla Premier League.
Qualcuno gli dica che non andiamo al Mondiale dal 2006 e che le squadre italiane faticano a tenere il ritmo di chiunque affrontano fuori dai confini, altroché Premier League. La sensazione che mi ha dato il Gran Galà del Calcio ieri sera è stata più quella di un momento per cantarsela e suonarsela da soli, tra amici di vecchia data, senza che effettivamente ci sia un motivo per continuare a far suonare l’orchestra mentre il Titanic sta affondando. É sembrato più un mega-spot al calcio italiano che il Galà del Calcio italiano.
Sì, perché al netto della pessima memoria di Igli Tare in materia storia della Lazio e del calcio italiano, il dirigente albanese ha ragione quando dichiara che:
Stiamo guidando una Ferrari che prima o poi si schianterà. Nel calcio si inventano competizioni inutili come la Conference League, che chiamo competizione dei perdenti, o l’Europa League, che non hanno alcun valore per gli introiti che producono. Inventiamo competizioni in più, anche la Nations League con i nazionali e i calciatori che diventano robot. Giochiamo ogni due giorni e mezzo ormai e i calciatori non riescono a recuperare, non è umano. Per generare più introiti, generiamo più problemi. Il calcio ha preso la strada sbagliata. Oggi il calcio è una professione molto veloce. Cosa manca? Dei dirigenti aziendalisti, per il fatto che la durata dei contratti varia troppo. Prendete me, sono uno dei dirigenti più anziani in attività in Serie A, questo è il mio quindicesimo anno alla Lazio. Ho la fortuna di lavorare con una società con una gestione virtuosa. Oggi ci sono società, anche di prima fascia, come Juve, Roma, Milan, Inter, che tecnicamente sono fallite ma vengono tenute in vita dal fatto che il sistema ne ha bisogno. È molto importante avere nella società una gestione di lungo termine con progetti importanti per vedere il bene della società.
Un sistema che ha permesso alla Salernitana di giocare in Serie A contro le regole, falsando un intero campionato. A questo aspetto nessuno ha dato il premio ieri sera?
Ha ragione Igli Tare, nel calcio italiano non ce n’é uno pulito, compresa la sua Lazio. Tanto la colpa é sempre del vicino e l’importante è continuare a far suonare l’orchestra, qualsiasi cosa succeda. Se il Pallone d’Oro così non ha più alcun senso, attribuito dall’élite per la sola élite, ne avrebbero i premi dati al calcio nazionale, avessimo ancora un calcio italiano.