Se c’è un capo rappresentativo di certi tipi di lifestyle, al contempo working class e dandy, quello è il bandana.
Facendo una surfata negli schiumosi close out di internet digitando bandana, vi imbatterete in primis in vacui siti fashion che definiscono il bandana: foulard di seta stampato con varie fantasie. Altri ne fanno risalire le origini agli antichi romani – perché non agli extraterrestri? Altri ancora lo fanno indossare a George Washington…
Insomma, qualsiasi fazzoletto, più o meno decorato, dei bei tempi andati, viene identificato come il Neanderthal del bandana.

Che George Washington indossasse un bandana sulla parrucca risulta difficile da credere. Sicuro lo indossavano i suoi schiavi, che si spezzavano la schiena a raccogliere il cotone nelle sue piantagioni e le sue mommies alla maniera della Aunt Jemima dei famosi pancakes.
Già il bandana non è w.a.s.p., non è upperclass, non è midclass, bensì è working class. É un indumento da outcast, dropout, underdog, mojados, ciolos. Emigrati clandestini dal Mexico&nuvole. Hobos in fuga dalla carestia su vagoni merci di memoria Woody Guthriana e Steinbeckiana… e, per questo, sarà sempre più figo di un’ascot da lord che gioca a golf o di un foulard da sciura che gioca a Bridge.
Il capo della nazione Apache, Geronimo, acerrimo nemico di G. Washington e dei suoi discendenti, si cingeva la fronte con un bandana rosso e i pirati, non da meno, avevano nel loro outfit un bandana.

Il bandana, nel 1921, diventa un vessillo di rivolta per i lavoratori delle miniere di carbone del West Virginia in sciopero.
Il bandana raccoglie la chioma di Rosie The Riveter, la lavoratrice instancabile che della fabbrica di munizioni durante la Seconda Guerra Mondiale. Lei, divenuta icona dell’emancipazione lavorativa ed economica delle donne con lo slogan: «We can do it». Rosie The Riveter è presa dalla italoamericana Rosina Bonavita.
La Kellogg’s, durante la rivoluzione industriale, per promuovere i suoi cereali, consumati dalla working class, che di certo non iniziava la giornata con una continental breakfast, regalava bandana loggate nelle confezioni.
Il bandana è espressione della cultura popolare. Lo si vede nella sua più dirompente espressione che è la musica Pop.
Bruce Springsteen, che incarna e canta la working class, è identificabile per il suo bandana quanto per la sua Telecaster. Così il suo sodale Little Steven, anche lui virgulto della working class italoamericana, come del resto la prima Madonna. Bon Jovi, anch’esso figlio del Garden State e di oriundi USA, come un certificato di origine usa il bandana.
Oltre alla sua connotazione di orgoglio, di appartenenza di classe, il bandana ne ha un’altra: la ribellione. La manifestazione di disagio come possiamo vedere quando a indossarla è Tupac Shakur, o se preferite 2Pac, e altri rapper.
Nella cultura Rap, Hip-Hop arriva a identificare le diverse gang di gangsta rapper come nel caso dei Blood e dei Cripps di L.A.
Tra Niggaz e Cholos della So-Cal il bandana è un capo che identifica oltre la classe sociale anche l’appartenenza del quartiere e della gang. Identica situazione la riscontriamo in ambito punk, hardcore, straight edge, trash metal e metal. Sulla costa, infatti, lo vediamo sulla fronte dei Suicidal Tendences, Anthrax e dei cantori dei white trash Guns N’ Roses. Siccome l’Hardcore e il Trash Metal sono parte della scena skate e surf, anche qui il bandana è di casa.
D’altronde lo era già anche ad Hollywood tra i registi e gli attori meno maneggiabili e più problematici, sin dai tempi di Buster Keaton fino a quelli di Sam Peckinpah, Warren Oates e Steve McQueen, per dirne alcuni e rimanere in ambito #WorkingClassDandy.
Spostandoci in Central-Cal, per la precisione a Frisco, tra la comunità omosessuale di fine anni ’70 era diffusa l’usanza di lasciar uscire dalle tasche dei jeans Levi’s 501 un bandana. Se fuoriusciva da un lato si era single, dall’altro si era occupati. Questo era segnale di identificazione dei membri della comunità gay.
Non lontano da Frisco c’è San Bernardino dove gli Hell’s Angels hanno la loro sede storica. Anche tra i diversi MC si è solito distinguersi, oltre che per le patch sui jacket, per i diversi colori o nodi.
Torniamo in Italia. In Italia il bandana si diffonde nei primi anni ’80 in ambito H.C. e skate. Anche fuori da questo ambito ha, però, i suoi fan, tra i quali il compianto Pirata Marco Pantani, che lo usava come copricapo.
Dall’Italia e dall’Europa inizia, sotto forma di rivisitazione, l’appropriazione culturale del bandana e il suo spostamento verso l’alto quando viene rimaneggiato dai luxury brand.
Come dire che il bandana è troppo working class e a buon mercato per essere vendibile ai nuovi ricchi. Quindi lo si rielabora con un appeal lezioso e lo si propone a una cifra insultante. Così, finalmente, diventa un accessorio fruibile dal nuovo lord, che sostituisce l’ascot con il bandana da 400€ al Golf Club e dalla nuova sciura che, finalmente, si può liberare del foulard e sfoggiare il bandana luxury con le amiche del Bridge.

Un po’ come Silvio Berlusconi che, dopo il trapianto di capelli, è diventato definitivamente un’icona pop con il bandana in testa… oltre ad avermi fatto ridere come non mai. Ancora una volta il fashion, a corto di idee, saccheggia a manbassa la strada.
All that’s folks!