Mezzo secolo fa è uscito un film americano che ha cambiato per sempre il cinema: The Godfather (1972). Il Padrino è stato un fulmine in una bottiglia, capitalizzando ottime recensioni e diventando il film con il maggior incasso della storia.
Il Padrino è un melodramma poliziesco di tre ore, dai toni cupi. É pieno di violenza, abusi domestici e si sviluppa attorno a un freddo personaggio centrale, che ha conquistato il pubblico a frotte.
La sua violenza è vigorosa e brutale. Nell’adattare il romanzo di Mario Puzo, Francis Ford Coppola ci offre un ritratto di una mascolinità prepotente, in overdrive. È ancora considerato uno dei più grandi film mai realizzati. É responsabile delle leggendarie carriere di Al Pacino, Robert Duvall e James Caan. Ha rivitalizzato la popolarità del genere gangster. Successo che, naturalmente, ha spinto gli altrettanto amati sequel, come altri registi e altri film di genere.
Con un’uscita cinematografica in 4K per celebrare il suo 50° compleanno, Il Padrino è diventato ancora più bello. Consigliamo di prendersi il tempo, quest’estate, per rivedere tutta la saga.
STREAM FILM – IL PADRINO
La trama del Padrino, così com’è, ha appena bisogno di essere descritta. Vito Corleone (un magnetico Marlon Brando, N.d.R.) è il patriarca di una potente mafia familiare di New York. Ha tre figli: Sonny (Caan), Fredo (John Cazele) e Michael (Pacino), il figlio più giovane, che è appena tornato dalla seconda guerra mondiale da eroe. Robert Duvall è Tom Hagen, il figlio adottivo e avvocato di Vito.
La madre dei ragazzi, interpretata da Morgana King, è una figura paffuta e anonima, sullo sfondo, una persona calorosa e premurosa. Si ha la sensazione che sia venerata dai suoi figli, come lo sono quasi sempre le madri italiane, eppure a malapena si rivolgono a lei. Tutti gli occhi sono puntati sul padre, sempre.
Vito è il loro Re Sole, la figura di cui bramano l’approvazione e l’affetto, una luce sfolgorante che può crearli o distruggerli. Una volta che Vito sarà uscito dall’azione, spetterà ai suoi figli guidare l’organizzazione, lanciando Michael, inizialmente resistente, in una spirale discendente di violenza, bugie e castrazione emotiva.
La trama è in gran parte irrilevante, in quanto Il Padrino è, soprattutto, un puzzle dei suoi personaggi. Funziona dove altri film di gangster come Quei bravi ragazzi e Casino non sono riusciti: evocare compassione per i suoi personaggi criminali.
Vito si mostra ampiamente rispettato e temuto, ma è anche confortante ed eloquente. Non giura mai, né perde il controllo. Ci viene presentato mentre gioca con un gatto, evocando la sua capacità emotiva sintonizzante. Come padre di famiglia ama sua moglie e i suoi figli e muore per un attacco di cuore giocando con un nipote.
Nei panni di Vito Corleone, Brando è una figura imponente e illeggibile, rappresentata in ombre che lo proteggono, grazie alla famosa fotografia di Gordon Willis.
Spesso leggiamo gli attori attraverso i loro occhi, ma il Corleone di Brando non ci concede questo lusso. I suoi occhi sono raramente visibili, le sue orbite sono come grotte in miniatura, grotte vellutate che custodiscono tutti i misteri che preferisce non condividere. La sua dizione volutamente confusa è così frequentemente imitata che è facile dimenticare quanto fosse strano e originale nel 1972.
Brando rende imponente anche la giocosità di Corleone. Nei panni dell’anziano e affettuoso nonno insegue il suo adorato nipote, il figlio di Michael, intorno a una macchia di piante di pomodoro, con una buccia d’arancia infilata in bocca per simulare il sorriso di un gorilla. È tutto un gioco, ma all’inizio il bambino è terrorizzato. Corleone è così abituato all’intimidazione come stile di vita che la leggerezza è al di là di lui, anche quando cerca di mostrare affetto.
Non c’è da stupirsi che i suoi figli siano così desiderosi di compiacerlo. Tutti tranne Michael sembrano terrorizzati dalla possibilità di non compiacerlo. Sonny è la testa calda, il donnaiolo, quello che ha bisogno di più freno.
Caan interpreta Sonny nei panni del figlio esibizionista, quello con la miccia più corta, quello che si sta sforzando di accontentare suo padre ma non è all’altezza. Quello che prova per suo padre potrebbe non essere affetto; tra tutti i membri della famiglia, è il più vicino a sua sorella Connie, forse perché non deve cercare la sua approvazione.
Vito Corleone esprime affetto per Sonny solo dopo la sua morte. Il suo dolore si manifesta nel modo in cui ordina al becchino di rendere presentabile alla madre del ragazzo il corpo pieno di proiettili del figlio. Il sottotesto è che riesce a malapena a convincersi a guardarlo.
Il triangolo padre-figlio più straziante è quello tra Vito, Michael e Fredo, e si svolge in una sezione del film resa con delicatezza.
Dopo che Vito è stato finalmente portato a casa per continuare il lungo recupero dopo il suo tentato omicidio, Tom lo informa su tutto ciò che è successo mentre era privo di sensi. Vito riesce a malapena a parlare, ma lo vediamo pronunciare le parole: «Dov’è Michael?». Quando Tom spiega che è stato Michael a portare a termine l’omicidio del barone della droga Sollozzo (Al Lettieri) e del poliziotto disonesto McCloskey (Sterling Haden), il volto di Vito si rannuvola per l’angoscia. Lo possiamo vedere anche in quegli occhi impossibili da leggere. Saluta i suoi figli, ma non perché voglia riposare. Quest’uomo orgoglioso vuole essere lasciato solo con qualunque cosa stia provando; forse non sa nemmeno che è disperazione.
La fragilità di Fredo, anche se cerca di dimostrare di essere duro o intelligente come chiunque altro nella sua famiglia, è proprio sulla faccia di John Cazale. Fredo cerca di tenere il passo. SI può dire, però, che abbia difficoltà a seguire anche solo la traiettoria di una frase. Ingenuo e poco intelligente, non esiste un modo in cui possa riabilitarsi agli occhi del padre e quindi è per lui quasi invisibile. Una verità descritta in un momento fugace ma penetrante.
Mentre Vito giace a letto, Fredo lascia il resto della sua famiglia, a una chiassosa cena domenicale, e torna di nascosto nella stanza di suo padre. Si siede in una posizione distante e osserva con attenzione, con protezione, un uomo che non lo vede nemmeno. Questo è solo un piccolo momento in un film pieno di grandi cose, ma la sua tristezza penetra nelle ossa.
Vito Corleone esige il rispetto di tutti, figli compresi. È un uomo da temere, ma l’amore che trattiene è l’arma più schietta e dannosa di tutte.
Il Tom di Duvall è il consigliere di Vito. Ha tutto sotto controllo ogni minuto. La sua efficienza può sembrare semplice, ma capisci che la sua vita ruota attorno all’attraversare ogni difficoltà e puntare ogni obiettivo per il suo capo e padre surrogato. In parte per eterna gratitudine ma principalmente per senso del dovere. Il loro legame è di affettuosa praticità, ma è forte come il ferro, come vediamo quando Michael forza una certa distanza tra Tom e gli affari di famiglia.
Ogni personaggio de Il Padrino è abitato dall’attore. Duvall, in particolare, è la spina dorsale del film.
Offre una performance discreta rispetto ad altre, che cresce con simpatia ad ogni visione. Uno dei migliori segmenti del film verrebbe tagliato se fosse realizzato oggi: la sequenza Tom Hagen va a Hollywood. Qui Tom viene mandato a Los Angeles per parlare con un produttore, accompagnato da lente dissolvenze e un totale senso di rilassamento, che culmina nell’emozionante scoperta di una testa di cavallo mozzata. La scena non ha alcun impatto sul resto del film e Tom non cambia come personaggio da questo episodio, eppure è semplicemente magnifica.
Vito vuole che Michael sia la guida dell’azienda di famiglia. Desidera sfruttare il suo status di eroe di guerra per diventare senatore o politico e attuare un cambiamento legale positivo.
Michael è l’unico Corleone che potrebbe dare alla famiglia una certa rispettabilità convenzionale. Al di là di questo, è chiaramente il preferito di Vito, e il legame tra i due è reciproco. Nonostante la sua avversione per l’azienda di famiglia, Michael interviene subito dopo che suo padre è quasi stato ucciso. La sequenza del caffè, in cui alla fine elimina Sollozzo e McCloskey, rappresenta uno dei punti di svolta più strazianti per un personaggio del cinema di fine Novecento. Segna anche il momento in cui arriva Al Pacino, al suo terzo ruolo cinematografico.
Se nel 1972 Brando era uno dei più grandi attori cinematografici viventi, la performance di Pacino ne Il Padrino lo mostra sgattaiolare in avanti per prendere l’oro.
Brando è superbo, ma Pacino cresce esponenzialmente nella sua scia. I suoi occhi sono profondi e vacui, pensano costantemente dietro a quello sguardo immobilizzato. Quando scatta, sembra molto più avvincente delle violente esplosioni di Sonny. Si teme sempre il carattere dell’uomo paziente. Michael sprofonda nel mondo criminale, manipolando e uccidendo con estrema naturalezza. Quando fa la guardia a un ospedale, le sue mani sono ferme e funzionali, giustapposte alle mani tremanti dell’uomo accanto a lui. Michael non è estraneo alla violenza; il suo tempo in Europa lo ha formato per essere Don Corleone più di tutti i suoi fratelli.
Il Michael che incontriamo nella prima parte de Il Padrino dà l’impressione di essere coscienzioso e di principi. É troppo bravo per il lavoro sporco della famiglia e tutti, incluso suo padre, sembrano saperlo.
Sembra anche emotivamente vulnerabile, o almeno aperto a costruire una vita onesta e tranquilla con Kay. Il Michael che preme il grilletto in quel caffè è il vero Michael, e la genialità di Pacino sta nella fluidità di quel capovolgimento. Quando Michael porta a termine quell’assassinio, la sua mascella è stata rotta da McCloskey, che ovviamente non se la caverà. Di conseguenza, la sua dizione assomiglia a quella del padre, con le stesse cadenze da boccone in bocca.
Per un maggiore realismo, Pacino aveva la mascella fissa mentre interpretava queste scene, anche se probabilmente avrebbe potuto ottenere un effetto simile semplicemente recitando. L’apertura nei morbidi occhi marroni di Michael è scomparsa, sostituita da un calcolo perpetuo. Sta diventando suo padre davanti ai nostri occhi. Chissà se, nel profondo del suo cuore, Vito non abbia nutrito nemmeno una volta il desiderio di un tipo di vita diverso, più semplice e felice. Quell’impulso vicario vide il suo ultimo guizzo in Michael.
The Godfather (1972) potrebbe sicuramente essere un film più breve. Attraverso la lente di un produttore moderno ci sarebbe molto da tagliare.
Vito avrebbe un ruolo più breve, la sequenza siciliana sarebbe tagliata e Fredo non esisterebbe. Anche la colonna sonora dolorosamente bella di Nino Rota è fuori dal mondo per un film di gangster convenzionale e sarebbe stata sostituita da un jukebox degli anni ’50. Questi, però, sono tutti aspetti imprescindibili per i temi del film. Attraverso la Sicilia vediamo Michael, con il viso livido, che rispetta l’esilio come un marchio necessario: ripercorrere le orme del padre prima di diventare Don Corleone. In Fredo si vive un dramma più fraterno, per aumentare il senso di famiglia. La musica è elegiaca e travolgente, convertendo la pellicola da dramma familiare a epico.
Il Padrino è un classico che resiste perché si adatta ai tempi e ha un messaggio immortale.
Le sue opinioni sulla famiglia, il legame tra il capitalismo, la violenza, la nascita dell’America e la mitizzazione dell’immigrazione sono sempre temi ben accetti. Francis Ford Coppola, insieme all’oscura estetica di Gordon Willis, ha realizzato un film viscerale ed essenziale.
Il Padrino inizia e finisce con stanze chiuse. L’ironia è che questo è il film di gangster più accessibile mai realizzato.
In occasione del 50° anniversario del film Il Padrino, la leggendaria villa della famiglia Corleone a Staten Island (New York) è ora disponibile su Airbnb (PREMI QUI).
Sebbene gli interni non siano stati usati per le riprese, la parte esterna della casa è apparsa in diverse scene del film. Costruita nel 1930, la villa ha una superficie di oltre 1.000 metri quadrati e dispone di cinque camere e sette bagni, oltre a una grande piscina di acqua salata, una taverna con pub, una sala giochi e una palestra, ideali per trascorrere le giornate estive in compagnia.

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