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Fabio Pozzo: un gentiluomo di lungo corso

Fabio Pozzo è un gentiluomo di lungo corso. É nato a Recco. A sedici anni si è iscritto all’Istituto Nautico di Trieste passando dalla costa ovest alla costa est. Da lì in poi ha solcato i mari – lui dice più come zavorra – con ogni barca, perfino Luna Rossa. Contestualmente si occupava di cronaca e poi di economia per La Stampa e anche di mare ad ampio respiro, ideando e curando il Canale Mare del sito della testata.

Di storie da raccontare, Fabio Pozzo, ne ha tante e le racconta nei suoi libri (PREMI QUI) e nei suoi articoli (PREMI QUI).

La sua passione per il mare non è limitata al solo aspetto della nautica e della vela, settori principali del canale; è una passione che non discrimina il surf

Fabio Pozzo, sono rimasto piacevolmente stupito dalla tua recensione di Surf – Un mercoledì da leoni 40 anni dopo su La Stampa. Per anni, infatti, il mondo del surf e della nautica sono stati separati, sia a livello di spazio liquido che fisico. Nel senso che il surf è una cultura costiera, mentre la nautica è una cultura di mare aperto. Non corre buon sangue. Ci vuoi raccontare la tua opinione sul surf e se lo hai mai praticato?

Fabio Pozzo: «Il Canale Mare de La Stampa, in verità, segue un po’ tutto ciò che è mare, col taglio di un giornale generalista, dunque non specializzato. La vela e la nautica sono i settori principali, ma cerco di raccontare anche altro blu. E mi piace anche leggere e segnalare libri che trattano argomenti legati in qualche modo al mare. Quello che hai scritto con Lavizzari me lo sono divorato. Anche perché quel film ha segnato tutti noi. A Recco, dove più o meno tutti nuotavamo e giocavamo a pallanuoto, andavamo a prendere le onde – era un rudimentale body-surfing – sentendoci chi Matt, chi Jack, chi Leroy. E qualcuno si era poi spinto anche sino a Biarritz sognando l’onda perfetta. Quindi, il surf l’ho anche un po’ sognato. Ma era al contempo qualcosa di molto lontano, da California appunto. Diciamo che ho perso l’onda al momento giusto. Ci ho riprovato di recente, perché ho una figlia che lo pratica e che mi ha fatto rivivere il sogno. Magari ci riprovo, come il mio commercialista, con la longboard».


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L’Italia è un istmo nel Mediterraneo e, per secoli, ha avuto una grande vocazione marittima, che poi si è persa fino a trasformare un popolo di navigatori in travet agostani con borsa frigo. Cosa é andato storto a un certo punto? 

Fabio Pozzo: «Una vocazione marittima e marinara, ma solo in alcune zone della Penisola e per necessità – lavoro, scambi, flotta militare, pirateria, esplorazioni, espansione. Gente che, salvo eccezioni, appena ha potuto è poi tornata a terra. Dimenticando quello che è stata, magari perché aveva fatto vita grama a bordo.

Il risultato è che non si è consolidata una cultura del mare così forte da poter influenzare la politica, il costume e la storia del Paese. Oggi in Italia il mare è poco conosciuto, capito. vissuto». 

La recente riscoperta del mare d’inverno sembra coincidere con la diffusione del surf in Italia. Anche il ripulire le coste è un’attività recente, svolta da associazioni di surfer come Son of the Ocean (PREMI QUI). Pensi che sia una coincidenza o una presunzione di categoria?

Fabio Pozzo: «Penso che il surf stia promuovendo una nuova stagione per tanti centri costieri ed è bello arrivare d’inverno a Varazze, Levanto, Bogliasco, Recco giusto per parlare della Liguria e vedere tanti ragazzi attraversare la strada in muta e la tavola sottobraccio. Mette allegria.

Quanto all’anima ambientalista dei surfer e delle loro varie associazioni, non penso alla coincidenza o alla presunzione, ma al rispetto che chi surfa ha per il mare. La salvaguardia, la protezione, la pulizia dei luoghi vengono di conseguenza».

Non essendo potuto venire alla presentazione del tuo libro tenutasi giovedì 9 giugno 2022 alla Centrale dell’acqua, a Milano, ho tenuto per ultimo questa domanda. Vuoi parlarci del tuo ultimo lavoro Big Mama, La madre di tutte le onde (PREMI QUI) sul big wave rider che ha surfato una montagna franante di oltre 35 metri a Nazaré? Cosa ti ha spinto a scriverlo? 

Fabio Pozzo: «L’amore per le belle storie. Ho telefonato a Hugo Vau dopo quell’impresa, nel 2018, per intervistarlo. Poi, sono andato a trovarlo a Nazarè perché volevo vedere quelle onde e capire perché proprio lì sono così grandi. Sono uscito in mare con lui, ho scoperto il mondo dei big wave surfer e del tow-in surfing, un’arena fatta di avventura e coraggio, e ne sono rimasto affascinato.

Se ci metti anche che Hugo ha aspettato per sette anni l’onda della vita e che quell’onda poi è arrivata e lui l’ha surfata; che Big Mama è stata ritenuta non misurabile e che per questo è diventa leggendaria; che Hugo parla di quella montagna d’acqua come un dono dell’Oceano che gli ha cambiato la vita; non la trovi una bella storia da raccontare? E così ho fatto insieme con il protagonista».

Come Matt Johnson di Big Wednesday, che in tutto il film non ha mai un proprio surfboard, hai dichiarato di non possedere una barca. Come mai?

Fabio Pozzo: «Seguo il consiglio di chi mi ha detto che è più comodo andare su quelle degli altri».

Una curiosità personale, da appassionato anche di fumetti: ti piace il gentiluomo di fortuna Corto Maltese?

Fabio Pozzo: «Mi piacciono le atmosfere che evoca, i viaggi oltremare, l’avventura».