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Arte in una domanda: l’importanza del retro delle cose

Questo è il primo appuntamento di questa mia rubrica Arte in una domanda. Cercherò di raccontare l’arte attraverso una sola domanda, che rivolgerò, di volta in volta, ai vari personaggi che incontrerò. Oggi voglio condividere con voi l’importanza del retro delle cose.


Stavo bevendo un caffè con la mia amica Victoria, con cui le conversazioni banali sono bandite per natura. Con le sue parole, lei ha il potere di emozionare. Ci sono persone che nutrono amore e passione per il proprio lavoro e lo trasmettono in modo così intenso che non le si immagina in altri mondi se non in quello che hanno scelto.

Victoria Frenández è una di queste. Si occupa di arte. Lavora alla Nuova Galleria Morone (PREMI QUI) di via Nerino a Milano. Ha inaugurato il mese scorso una mostra intitolata Oro & Blu.

Oro & Blu sono due colori da sempre importanti nella storia dell’arte. L’oro rappresenta il potere e la luce; mentre il blu la purificazione, l’infinito ed il silenzio.

La mostra vede la partecipazione di colonne portanti dell’arte – Man Ray, Maria Lai, Lucio Fontana, Yves Klein, sono alcuni nomi – e artisti contemporanei più giovani come Domenico Grenci, Eltjon Valle, Elizabeth Aro per citarne qualcuno.

Mostra è stata prorogata fino al 27 Maggio 2022 (PREMI QUI)

Ci siamo messe a discorrere sull’importanza del retro delle opere d’arte.

Victoria mi ha svelato che è fondamentale poterne ammirare il rovescio, su quel lato infatti si possono capire moltissime cose. Com’è stata fatta l’opera o se è una buona opera, ad esempio. Come per i ricami:

Una brava ricamatrice riconosce a colpo d’occhio un ricamo fatto a regola d’arte. Il fronte deve essere infatti quasi identico al retro, non ci devono essere nodi e fili che si sovrappongono, tutto deve essere pulito ed ordinato.

Come il retro delle opere di Lucio Fontana.

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Cara Victoria, mi racconti del retro di quella piccola tela con quel blu tanto particolare?

Nella storia dell’arte, in particolare nei dipinti, il retro delle opere non é mai stato un aspetto banale. Il retro é la carta d’identità dell’opera. Ci racconta tante cose. Si trovano tantissime informazioni, come la firma dell’artista, per verificare la sua autenticità; il tipo di tela e telaio, che permettono di posizionare cronologicamente l’opera solo analizzando il legno o la tela utilizzata. Sul retro si appongono anche le etichette delle mostre alle quali, eventualmente, ha partecipato. Costituisce il pedigree dell’opera.

Il caso dei Concetti spaziali/Attese di Lucio Fontana é ancora più significativo. Il retro svela la magia dell’opera d’arte.

Le garze nere che ricoprono, da dietro, le lacerazioni sulla tela, osservate con attenzione sembrano sprofondare nel buio più totale. Ci fanno capire che questi lavori evitano le classificazioni tradizionali di pittura o scultura. Rappresentano il tentativo di trovare un’altra via.

Il titolo Attese allude al carattere metafisico di sospensione spazio temporale e ammirare il retro di quest’opera significa immergersi nel processo creativo di Lucio Fontana; di cui si apprezza la non casualità dei tagli.

Nell’arco di dieci anni, dal 1958 al 1968, Fontana realizzò circa 1.500 tagli. La realizzazione di un taglio sulla tela comprendeva una sfida tecnica.

Era necessario intuire come incidere la tela senza ridurre la tensione. In modo che la porzione tagliata non si dischiudesse eccessivamente rovinando l’opera in maniera irrimediabile, a causa delle deformazioni che avrebbe subito.

Fontana non lasciò scritti su come eseguiva i tagli. Per le sue opere sceglieva sempre tele di lino belga e utilizzava un taglierino Stanley, molto affilato. Il taglio era realizzato prima che la tela fosse asciutta, una superficie troppo secca avrebbe contratto la tela creando problemi al taglio. Una volta eseguito il taglio, Fontana applicava sul retro delle strisce di garza nera (la chiamava teletta, N.d.R.) in modo che non si vedesse il muro dietro al dipinto. Venivano fatte aderire con colla Vinavil spalmata dietro i due lembi del taglio, e avevano soprattutto una funzione statica. Rinforzavano, infatti, la struttura dell’opera (la garza blocca la deformazione dei bordi del taglio, N.d.R.). Il nero della teletta aveva anche una funzione concettuale e come lui stesso scrive:

[I tagli sono] soprattutto un’espressione filosofica, un atto di fede nell’infinito, un’affermazione di spiritualità. Quando io mi siedo davanti a uno dei miei tagli, a contemplarlo, provo all’improvviso una grande distensione dello spirito, mi sento un uomo liberato dalla schiavitù della materia, un uomo che appartiene alla vastità del presente e del futuro.

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Ultimato il processo, Fontana firmava il retro. Era invece raro che datasse le opere, probabilmente questa caratteristica era dovuta al fatto che i suoi Concetti spaziali dovevano collocarsi al di fuori del tempo.

Lucio Fontana e Yves Klein si conobbero a Milano, nel 1957, alla Galleria Apollinaire, in occasione di una mostra di Klein.

Fontana fu tra i primi ad acquistare uno dei monocromi del giovane artista francese. Facendo nascere così un’amicizia, uno scambio di idee, di lettere; di visite reciproche nei rispettivi studi. Erano due artisti innamorati dell’infinito. Due esploratori dello spazio e delle forme. Entrambi svilupparono riflessioni sullo spazio e su un’arte da non intendere come rappresentazione. Come spiegava Fontana stesso:

Yves Klein rappresentava lo spirito nuovo. Diverso da me che cerco uno spazio altro. Lui era per l’infinito.

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Possiamo immaginare di addentrarci in una fessura di un quadro di Fontana. Immergerci in questo spazio, dove:

C’è un aldilà immaginario, un aldilà puro senza al di qua. Prima non c’è nulla, poi un nulla profondo, poi una profondità blu.

Bachelard