Macca, non Paul McCartney ma Bob McTavish, non è proprio una delle persone più simpa che ci siano nel surf-mondo. É supponente, non curante e presuntuoso. Non è amato. Come alla fine non lo sono stati, per lungo tempo, i bronzed aussie. Entrati sconvolgendo irrimediabilmente lo status quo so-cal e hawaiian del surf.
Gli australiani sono stati un po’ i vandali a Roma. Hanno posto fine al dominio Californiano. Hanno irritato – e non poco gli hawaiiani (guardatevi il film o leggete il libro Bustin down the door per farvi una idea). Non hanno avuto molto rispetto quando si sono imposti a San Diego nel 1966 ,cambiando per sempre il surf-mondo:
«Bye bye Dora, bye bye Yater», disse Nat Young arrivato i California. «Siete fermi con i surfboard», disse Bob McTavish… tipo i Sex Pistols nel loro gig al Long horn in Texas. Per tacere di quando Wayne ‘Rabbit’ Bartholomew disse: «Sono qui alle Hawaii a insegnare come si surfa».
Per riassumere gli artefici della aussie invasion furono Robert ‘Nat-The animal’ Young e Bob ‘Macca’ McTavish con il significativo contributo del californiano George Greenough.
Macca ha inventato il V-bottom, ma l’invenzione è contesa dall’altro aussie Midget Farelly (ex amico e poi rivale di Nat Young) e dall’hawaiiano Dick Brewer. Gli applicarono la pinna di Greenough, accorciarono il leght e alleggerirono il weight del surfboard e aggiunsero lo squash tail, creando così il surfboard Magic Sam, con il quale Young si impose ai mondiali di surf a San Diego nel ’67. Siamo ancora nell’ambito longboard, ma da lì a qualche mese Macca consegnò a Wayne Lynch un paio di veri e propri shortboard. Da lì a poco, agli shortboard si aggiunsero, passando per twin fin e bonzer fin, il thruster fin set invenzione contesa tra l’aussie Simon Anderson e i californiani fratelli Campbell.
Che sia stato Macca l’inventore dello shortboard non è del tutto chiaro. Infatti, nello stesso periodo, erano su quel design anche Dick Brewer, Gerry Lopez e altri che non elenchiamo.
Però di una cosa va dato specificatamente atto al poco simpa McTavish e la cosa è che è stato il primo a puntare più sul design che sullo shaping molto prima di Al Merrick .
Sarò abbastanza controverso e schietto e ti dirò che non penso che ci siano molti bravi shaper al mondo. Potrebbero esserci un paio di migliaia di shaper nel mondo, ma pochissimi designer. Al Merrick è un designer. Dane Reynolds e dice: ‘Voglio segare via la coda’. Al può dire: ‘Beh, guarda, questo è quello che farà’. Ci sono pochissimi ragazzi che possono farlo, e ancora meno ragazzi che possono vedere la necessità di qualcosa nel surf e poi progettarlo. Questo è un vero designer.
Macca, The Inertia
Questo approccio è sicuramente poco romantico. Infatti collabora con Global Surfers Industries, che produce surfboard nel sud est asiatico, ma molto pragmatico e remunerativo e per certi versi molto evolutivo indubbiamente. D’altronde il pragmatismo e il big money lo hanno portato gli aussie nel surf a partire dall’ambito pro.
A sentire Macca non è importante dove un surfboard sia prodotto, né da chi, e va benissimo che esca da una shaping machine, purché dietro ci sia un ottimo design. Specifico che la parola design è da intendersi come progetto del prodotto e non come linee accattivanti.
Personalmente, io che mi muovo nell’ambito del design del surfboard e non dello shaping, che delego, sono parzialmente d’accordo.
Perdere la ragione nel design dello shaping è meraviglioso. É frutto di letture, riflessioni, discussioni, ipotesi e tentativi ed è circa i tentativi che sono in disaccordo perché questi vanno fatti, appunto, con uno shaper che sia in sintonia; che capisca, magari critichi e consigli.
Una volta trovato il giusto design del modello di surfboard non è blasfemia mettere le coordinate in una shaping machine, a patto che questa sia sotto il controllo del sopra citato shaper e surfer.
Trovo nell’approccio di McTavish una parte scoperta, che è quella della resinatura che oggi tende a essere poco considerata. É una parte molto importante in un surfboard perché ha molte varianti, date da once o volan o resin tint o glossed… cose che vanno fatte ancora a mano e che la standardizzazione non permette, ma l’artigianalità sì.
Articolo di Francesco Aldo Fiorentino