L’arte e il surf hanno una relazione molto stretta. Prima o poi, quando i tempi sono maturi, si manifesta in forma pittorica (Vincenzo Ganadu e Michele Dini) e poi in versione di fumetto (Mark Lomal). Si tratta di arte espressa dal surf-mondo per il surf-mondo che, inevitabilmente, esonda e attrae il real-mondo, al quale non è specificamente rivolta. Quando i tempi sono fin troppo maturi, marci, come quelli di oggi, succede che l’arte espressa dal surfista cambi direzione, pubblico. Capita che non si rivolga più al surf-mondo dal surf-mondo, per immortalarne e celebrarne i valori estetici e culturali comuni, ma si rivolga al surf-mondo per denunciare un real-mondo minaccioso. Privo di valori e corrotto/corruttore, dal quale il surfer tende sempre a stare alla larga, un mondo che crea disagio. Il Daniele Giacomozzi è un amico e, ovviamente, un surfer, di Ladispoli, di quelli che surfano e non posano, è uno dei nostri.
Da qualche anno ho scoperto che Daniele Giacomozzi disegna, e disegna bene. Dire che disegna è un po’ riduttivo perché nel suo ritrarre persone/personaggi in b/n, come sul negativo di una diapositiva, non ci sono fronzoli. Il segno è essenziale; è fatto di chiaro-scuri ma… no fermi tutti. Non è così!
Non è un banale b/n, chiaro/scuro perché i supporti, le basi, su cui Daniele Giacomozzi imprime i suoi disegni non sono pregiati fogli di carta ruvida o liscia di tot grammatura, bensì scontrini.
Scontrini trovati per strada e nei cestini, portati dal vento. Scontrini che completano il disegno come gli sfondi di un retino. Ancora, scontrini il cui parziale o ammontare di cifre e referenze di prodotti è parte integrante della persona/personaggio che, in un certo qual modo e involontariamente, diventa merce.
Se vi va di seguire il consiglio di un pirla, lasciate perdere le mostre di Warhol, Lichtestein, popperia varia o i Banksy di turno, e seguite il Daniele Giacomozzi, che denuncia e definisce il ruolo delle persone nel mondo, adesso e sempre di più in futuro. Ve lo presentiamo.
Daniele Giacomozzi, raccontaci un po’ di te: quando hai iniziato a disegnare sugli scontrini e quale è lo scopo?
Daniele Giacomozzi: «Raccontare di se stessi è sempre una cosa complicata. Ci sarebbe da dire molto, forse troppo. Sono un classe ’81 e ho iniziato a disegnare da bambino, quando, verso la fine degli anni ’80, il mondo era pronto per la caduta del muro di Berlino e per l’imminente guerra del Golfo. Quindi, sono circa 30 anni che sento le promesse di un mondo migliore attraverso la guerra, tant’è che ho quasi iniziato a crederci anche io.
Solo che la guerra mi piace farla con proiettili a inchiostro, verso chi mette nero su bianco davanti ai colori della vita. L’idea degli scontrini nasce da lontano, dai tempi del liceo, dei pub, dello stadio o delle notti ad aspettare una scaduta, a quei tempi c’erano pochi soldi e, per passare il tempo, sul bancone di un bar o in spiaggia, disegnavo su qualsiasi cosa o supporto avessi a disposizione, lecito o meno, tratto saliente di un’adolescenza ribelle.
Oggi ho ritrovato il piacere della carta-identitaria per eccellenza, lo scontrino, certificato a rotoli sul quale è scritto quanto valiamo, cosa che nella maggior parte dei casi cozza con quello che siamo. La missione è proprio quella, People are ca$h, sei quel che spendi, lo specchio di ciò che abbiamo riflette un’immagine di inchiostro e carta slavata, come le anime di chi paga per poter essere».
Quanto influisce il surf su quello che fai?
Daniele Giacomozzi: «Ho iniziato a fare surf a metà degli anni ’90, verso i 15/16 anni. In Italia ancora non c’era quella morbosa vanità che porta oggi molti poser ad alimentare i loro profili instagram invece che migliorare la loro tecnica. Erano i tempi di Andy Irons o Joel Tudor, Mark ‘Occy’ Occhilupo e Beau Young, gente che vedevi soltanto in riviste come Surfer magazine o Surf Latino. Era l’essenza, era la ribellione, era il moto perpetuo che a 15 anni non fa altro che buttare benzina sul fuoco.
In me è rimasta la sensazione dei Surf Shop dove eravamo pochi, pochissimi, quella degli occhi di chi ti guardava come un pazzo quando entravi in acqua a Gennaio con 2° C, oppure l’odore della paraffina dentro lo zaino di scuola, la ricerca, l’essenza. La ricerca interiore è quello che ancora oggi mi guida in ogni cosa ed è il lascito che il surf, nella sua più spirituale accezione, mi dà giorno dopo giorno.
Detto questo, non sono mai stato un grande surfista, anzi, sono sempre stato un solitario e tecnicamente poco dotato ma un amico mio diceva: ‘Il migliore è quello che si diverte di più’, giusto?»
Che aspettative hai a proposito del progetto: Daniele Giacomazzi artista?
Daniele Giacomazzi: «Il mio, più che un progetto, è un urlo di rabbia. Quando si urla vuoi soltanto che qualcuno sgrani gli occhi per paura o semplice attenzione, ecco io voglio arrivare diretto, boom, supporto-immagine-riflessione in rapida sequenza ma in lenta fermentazione dentro la testa. Voglio arrivare al politico come al cassiere del supermercato, al povero come al ricco.
Fanculo i clichè e il bello stile, il real-mondo va verso la deriva ma non accetterò mai che il mio pensiero naufraghi dentro il rimpianto di non aver fatto nulla».
Sei d’accordo con la descrizione delle tue opere?
Daniele Giacomazzi: «Assolutamente sì. Anche se, principalmente, mi piace dipingere, ad olio o acrilico, dipingo ciò che mi viene, l’importante è che ci sia colore, che esploda. É un po’ contraddittorio lo so, colori su tela e bianco e nero su carta, messaggi, contenuti e obiettivi molto differenti.
Chi di noi non è un po’ contraddittorio? Anzi avere molteplici sfaccettature artistiche mi fa sentire bene e a mio agio, sia con la penna in mano che con il pennello. L’adattabilità è la base dell’evoluzione, lo diceva zio Charles Darwin, e allora dis-adattiamoci.
Le tue opere si possono acquistare?
Daniele Giacomazzi: «Ho aperto il profilo instagram @giacoart22 da poco, non ho pensato ancora a questo aspetto, ma ho ricevuto un pò di richieste per lavori su commissione, purtroppo in molti ancora c’è la concezione che il disegno, la pittura, le arti in generale siano più un passatempo di cui approfittarsi per ‘fare un regalo figo’. In pochi realmente pensano alle spese dei materiali (altissime oltremodo) e soprattutto al tempo dedicato per un disegno, o un dipinto, che varia da poche ore fino ad arrivare a giorni per le opere più complesse. Mercificare quello che faccio va in controtendenza col mio pensiero, in cui l’arte deve essere accessibile a tutti (artisti e fruitori). É anche vero che il mio tempo e la mia originalità/immaginazione non possono essere regalate a nessuno. Quindi sì, si possono acquistare. Al momento tramite contatto privato e, successivamente, attraverso un sito nel quale aggiornerò i miei lavori».
Quando hai avuto l’idea di fare portrait sugli scontrini?
Daniele Giacomazzi: «Come detto prima, in maniera molto meno strutturata, l’ho sempre fatto. Ultimamente, però, i tempi, i fatti, le condizioni socio-economiche (pessime) sono mature e attinenti a questo tipo di forma di protesta, a questo tipo di forma di comunicazione.
Nell’epoca dei social, dei ‘pollici a scorrimento’, parlare con le immagini è il linguaggio giusto e diretto per arrivare a tutti, di qualsiasi fascia ed estrazione sociale sia chi entra in contatto con me».
Che progetti hai, oltre che surfare, per il futuro prossimo venturo?
Daniele Giacomazzi: «Sono in procinto di partecipare a una mostra nel mio territorio, con una collezione di 10 scontrini. 10 è il numero dei Comandamenti dove nostro Signore ci dice che siamo tutti uguali… col cavolo che lo siamo!
Hanno come comune denominatore le differenze sociali, scontrini di multinazionali del food, dell’abbigliamento o delle case farmaceutiche che fanno da sfondo alle categorie più indigenti della società, gli anziani, i bambini, i poveri, gli ultimi in generale.
La globalizzazione a cospetto della vita reale. La ricchezza è il foglio su cui sprigionare inchiostro di povera realtà. In futuro ho intenzione di fare un’altra collezione da disegnare sulle pagine dei libri classici, la cultura schiacciata dall’ignoranza galoppante del nuovo millennio, da trasmissioni aberranti, Grande Fratello, disinformazione e addomesticamento da dispositivo mobile.
Al momento questi sono i progetti principali, oltre continuare a disegnare/dipingere e ovviamente a tifare la Lazio (risata, N.d.R.)».
In ultimo voglio chiederti: dove va il surf?
Daniele Giacomazzi: «Questa è una domanda per la quale ho sentito risposte più disparate. Nel libro SurfPlay viene posto il giusto accento sulla dicotomia tra essenza e poser-surfer.
Ecco, credo che il problema sia tutto lì. Dalla commercializzazione dei più grossi marchi precedentemente di nicchia come Quiksilver o Billabong, alla parziale sparizione di altri surf brand come Body Glove o Kuta lines, che a livello di impatto erano più attinenti al Surf-Mondo.
Poser, sulle spiagge come nei locali, il WSL sempre più pregno di sponsorizzazioni milionarie fanno andare il surf verso una direzione difficilmente reversibile se parliamo di Surf-culture.
Ma qualcosa resiste e rimane, nelle precedenti generazioni come nelle nuove, qualcuno è rimasto a custodire racconti e a raccontare esperienze intorno al fuoco. Sciamani di un passato difficile da replicare (ma non impossibile), qualcuno è rimasto di notte in macchina ad aspettare la swell, altri sono rimasti fuori dai surf shop con quei 4 soliti amici.
Non morirà questo modo di essere, questa attitudine. Perché di questo si tratta, non di un semplice sport. Resisterà ai tempi che corrono, folli, maligni, costrittori ed arroganti. Resisterà fino a quando il nostro grido non sarà ascoltato, fino a quando ritornare all’essenza sarà l’ultima, meravigliosa possibilità. Surfers Rule!».
Articolo di Francesco Aldo Fiorentino