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World Surf League

La World Surf League e la sabbia sotto al tappeto

La World Surf League è bene organizzata. É un’efficiente macchina che produce tanti soldi perché è fruibile da un vasto pubblico, non necessariamente appartenente al surf. Eppure, non è poi così amata nel surf-mondo. Per surf-mondo si intende la cultura e la ritualità interna, specifica del surf; mentre per real-mondo si intende il mondo esterno al surf, che vede e fruisce il surf. Abbiamo spiegato tutto Tommaso Lavizzari ed io nel libro Surfplay.


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La World Surf League non è amata dal surf-mondo

La World Surf League non è amata dal surf-mondo, dicevamo. Anche se, ogni anno, contribuisce al passaggio di migliaia di persone dal real-mondo al surf-mondo. Indubbiamente ha fatto emergere talenti nel surf professionale. Un esempio di questo arricchimento globale sono i brasiliani.


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Perché la World Surf League non convince del tutto e suscita mugugni, se non feroci malumori, tra i surfer tout court?

In questo momento, a schierarsi contro la World Surf League, è Joel Tudor, 3 volte campione del mondo di longboard. Un tipo che se deve dire la propria opinione non ha timore delle polemiche che ne conseguono e che, in questo caso, si sono concretizzate con una sospensione a tempo indeterminato.


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Perché la WSL ha sospeso Joel Tudor a tempo indeterminato ?

Prima di svelare il casus belli occorre spiegare la breve e travagliata genesi della World Surf League. I Campionati del Mondo di surf sono una cosa recente. Fu l’International Surfing Association a inaugurarli, dal 1964 al 1972, con uno stop negli anni che vanno dal 1972 al 1976. In quel periodo la ISF ebbe difficoltà a stabilire le regole delle competizioni e a trovare sponsor. Nel 1976, quindi, la neonata International Professional Surfersfondata da Fred Hammings e Randy Rarick, prese in mano la situazione, fino al 1982. In questo periodo, la ISF continuò ad esistere, cambiando il proprio nome in International Surfing Association e organizzando, parallelamente, i Campionati del Mondo per i non professionisti.

Si arrivò, così, al 1983, quando gli aussie entrarono di prepotenza con Ian Cairns. Fondò la Association Surfing Professional. In pratica fece le scarpe alla IPS, relegandola alla organizzazione delle sole gare alle Hawaii. Questo generò non pochi rancori tra Caìrns e Rarick, nonché un’inimicizia feroce tra hawaiiani e australiani.

Nove anni fa la ASP cambia di proprietà e di nome e diventa World Surf League.

Dal 2017 a oggi, i CEO della WSL non sono surfer, ma abilissimi manager; rigorosamente maschi w.a.s.p., ricchi, la cui mission «è portare 380.000.000 di persone al surf», per stessa dichiarazione del CEO. Erik ‘Elo’ Logan. Fare introiti con diritti televisivi, wave garden e paccottiglia assortita. Unica eccezione è stata la CEO precedente. La milionaria manager Sophie Goldschmidt, infatti, per quanto abbia avuto un mandato breve e sempre in linea con la mission di espansione commerciale della WSL, ha equiparato i montepremi tra uomini e donne.

Proprio parlando di soldi, ma non solo, torniamo a Joel Tudor che ha ‘pisciato nei cheerios della WSL’, per dirla alla californiana, dal suo profilo Instagram.

Tudor è un talento della storia del surf. Nel solco esatto della storia del surf, perché è uno che per 17 anni, dopo essere stato campione del mondo di longoboard per ben due volte, non ha più partecipato a gare professionistiche. Ha seguito il suo più sincero e interessante progetto con Vans: Vans Duct Tape Invitational. Una volta tornato a gareggiare, grazie a una wild card, però, vinse il titolo di campione del mondo della categoria longboard per la terza volta. Farlo a 45 anni significa essere un talento. 

É nel solco esatto esatto del surf, quindi è una delle espressioni più pure del surf-mondo. Joel Tudor è cresciuto tra Donald Takayama, David Nuhiwa e Nat Young. Si muove su vecchie auto V8 con un quiver di surfboard autoprodotte. Predilige il longboard ma surfa ogni tipo di tavola con classe e naturale fluidità. A guardarlo sembra che sia facile surfare così, non lo è affatto.

Joel Tudor, quando non surfa fa ju jitsu e fuma la ganja, senza farne mistero, come non ha fatto mistero del malcontento di come la WSL gestisce il longboard.

Le sue lamentele e accuse circostanziate sono partite direttamente dal suo profilo Instagram, che ha circa 200.000 follower, per poi passare alle mail e al vis a vis. Queste sono cose che i manager della WSL, abituati ad avere a che fare con Kelly Slater. Kelly è un personaggio decisamente diverso: guida una Range Rover – su cui ogni tanto trova scritte tipo Fuck in Australia e Go home alle Hawaii; gioca a golf ed è concentrato sugli affari. L’ideale alleato per la WSL. Joel Tudor, al contrario, è sempre stato tollerato a stento perché ha un largo seguito ed è il seguito del surf-mondo, che garantisce genuinità e appeal al movimento, quindi, se è ben gestito, è spendibile.

L’attacco diretto e le rivendicazioni mirate al business della World Surf League non sono state tollerate e Joel Tudor è stato espulso ad libitum in attesa di una abiura

Cos’ha fatto per meritare una sanzione del genere? Non ha fatto nulla. Ha accusato il CEO Erik ‘Elo’ Logan di volere eliminare il contest di longboard dal ranking WSL; quindi di iniquità di trattamento verso i longboarder e, in particolare, verso le donne longboarder. Le immagini di queste ultime, inoltre, sono usate a livello mediatico, svolgono un ruolo significativo e sempre più preponderante a livello di marketing e partnership per la WSL. In effetti, l’uso del longboard sta superando l’uso dello shortboard e i logger (i surfer che usano il longboard) sono sempre di più tra giovani atleti, con meno contest o addirittura nessuno. Sono in crescita ma vengono penalizzati.

Joel Tudor, per svuotarsi le tasche, ha accusato Logan e i vertici di WSL di poca trasparenza nella gestione delle finanze. 

L’accusa non è stata fatta, certo, per tornaconto personale: se la passa benone il buon Joel. Nasce come rivendicazione per le giovani generazioni di longboarder, anche se ha trovato legioni di sostenitori anche tra i surfer che non sono strettamente dei logger. 

Era dai tempi della ASP, di Tom Curren e Mark Occhilupo, gli 80’s, che tutto scorreva liscio e senza intoppi. Sì, qualcuno come Rob Machado ha lasciato le competizioni in polemica, ma senza polemiche; qualcuno come Gabriel Medina ha scelto di lasciare il circuito perché non riusciva più a sostenere lo stress che ne derivava; qualcuno come Andy Irons, sempre per lo stress, non è sopravvissuto.

Tutto sommato, per anni si è nascosta la sabbia sotto al tappeto. 

Joel Tudor ha rivelato che il re è nudo. La cosa non poteva essere tollerata dal re e andava stroncata sul nascere: sospeso ad libitum dalla World Surf League in base a 3 articoli dello statuto: 14.02 Condotta sportiva inadeguata; 14.04 danno all’immagine del surf; 14.08 aggressione verbale.

Accuse risibili perché se c’è un surfer che, negli ultimi 20 anni e più, si è dimostrato sportivo – al di là dei 3 titoli mondiali – quello è Joel Tudor. Ha dato lustro all’immagine del surf ha dato e una critica sul proprio profilo di Instagram non può essere considerato un’aggressione. 

Bannato! Bannato come su FaceBook, ma il surf-mondo non è FaceBook: sarà per quello che Joel Tudor usa Instagram?

Infatti, il caso è scoppiato tra le mani del C.d.a. di WSL dal momento che, in tutto il pianeta, tra i surfer (non solo i logger), sono montate insofferenza e ostilità verso la World Surf League, con tanto di minacce, sempre biasimevoli. Bisogna specificarlo perché di questi tempi, se non si specifica tutto, l’accusa di arruffasurfer è in agguato. 

La WSL non sta uscendo bene da questo affair che non è riuscita a tenere sotto traccia. Il caso le è scoppiato in mano, in quanto Tudor non pensa nemmeno a fare un eventuale ricorso e ripianare la questione. Se n’é andato a surfare alle Hawaii con la famiglia. 

Per quanto tempo la World Surf League potrà rappresentare effettivamente il surf? Sembra non esserci più spazio per la sabbia sotto il tappeto.