Kim Kardashian con la maglia dell’AS Roma è comparsa, nel week end, sui canali social del Club capitolino (che sono i migliori d’Italia, complimenti!) mandando in visibilio i tifosi giallorossi. La modella e showgirl americana, infatti, è stata paparazzata in quel di Los Angeles con la maglia ’97/’98 della Roma, mentre si recava a una partita di NBA. Kim Kardashian è innamorata di Roma, l’ha detto lei stessa più volte. Nelle foto che la vedono indossare la maglia da calcio giallorossa, la modella è accompagnata da Tristan Thompson, star NBA.
Più di qualcuno ricorderà Paul Kalkbrenner in Berlin Calling (2008) indossare la maglia da calcio della Francia o della Germania 1990 o diverse altre divise retrò. Infatti, la maglia da calcio, in Europa anche se ben poco in Italia, è da anni considerata al pari di qualsiasi altro capo d’abbigliamento cool.
Soprattutto nelle zone periferiche delle grandi città, dove lo stile urban nasce e cresce spontaneamente, le maglie da calcio hanno superato, da qualche anno, le canottiere della NBA, indossate soprattutto dove la cultura Hip-hop d’importazione USA è più diffusa.
Il fatto che Kim Kardashian indossi la maglia da calcio retrò della Roma per andare a vedere una partita di NBA, in compagnia di una star della NBA, dimostra che il calcio è, a tutti gli effetti, diventato intrattenimento a livello globale.
Questo, oggi, è il motivo per cui spesso le maglie da calcio scontentano i tifosi duri e puri, non vengono capite da chi affonda le proprie radici in un background meno contemporaneo, ma sono molto apprezzate dalle nuove generazioni. Il primo riferimento importante, un punto di vera svolta, è stata la maglia da calcio della Nigeria per Russia 2018, diventata un vero pezzo di moda… ma di questi esempi, in effetti, sono pieni gli ultimi anni.
Oggi, però, il ragionamento si è invertito. Il calcio non è più sport ma intrattenimento, quindi chi crea abbigliamento sportivo ha come mercato principale la strada, come vetrina i calciatori e, come mezzo, i Club. Questi ultimi ricevono soldi dai brand in cambio della propria storia (brand), che meglio di qualsiasi altra cosa è baluardo di credibilità. Un tifoso è pur sempre il cliente più fedele al mondo.
Il rapporto tra moda e calcio non è certo una novità. Prima sono stati i fan, i cosiddetti Casual, diventati pionieri dello stile negli anni ’70 e ’80. Hanno importato in Uk e rimbalzato nel resto d’Europa, in modi ben poco ortodossi ma prima di chiunque altro, marchi come: Sergio Tacchini, C.P. Company, Stone Island, adidas, Fred Perry, Aquascutum, Barbour, Fila, solo per citarne alcuni in ordine sparso. Hanno inventato la moda da terraces, abbandonando i colori sociali per confondersi tra la folla e sfuggire alle forze dell’ordine. Uno stile che, oggi, è ovunque. Per strada, sui magazine, sui social…
La moda stessa, da qualche anno, infatti, sembra trovare una fonte d’ispirazione sempreverde nello sport, come ci hanno mostrato Martine Rose o Liam Hodges, per restare nel Regno Unito, e quasi tutti gli altri designer con un occhio a ciò che avviene nel mondo.
Ricordiamo anche pessimi tentativi dell’alta moda di rubare la logica delle sciarpe da calcio, altro oggetto di culto che torna ciclicamente di moda. Anche i calciatori stessi sono passati dall’essere oggetto della rubrica sullo stile (pessimo) di Mai Dire Gol a essere divi da copertina. Dopo Beckham è stato forse Hector Bellerin a guidare la carica di questa nuova generazione di aziende che giocano a calcio.
Tuttavia, quando si tratta dei Club, delle divise, ecco che nasce la dicotomia. Una spaccatura insanabile tra il tifoso duro e puro e le nuove generazioni. Se le seconde, terze, ecc. ecc. maglie ormai sono state accettate, seppur non digerite, anche dai tifosi più accesi, sulle prime maglie e sulle sciarpe il discorso, soprattutto in Italia, crea ancora una spaccatura.
Lo stesso discorso vale per l’abbigliamento off-field, sempre più preda di brand urban. Ultimo esempio italiano è Off-White con il Milan: le nuove generazioni apprezzano incredibilmente, i tifosi un po’ più datati non ne capiscono il senso.
A tal proposito, una nota di riguardo, va al Red Star Paris FC – impegnato da anni in progetti off-field molto stiolsi – e alla capsule realizzata con North Hill. Un brand parigino con sede nella parte nord della capitale francese, dalla quale trae quotidiana ispirazione. É proprio a questa zona che è dedicata la collezione realizzata con il Red Star FC, in particolare al Bauer Stadium, dove gioca le partite casalinghe il Club, e alle comunità che danno vita al quartiere.
A differenza dei suoi dirimpettai del Paris Saint-Germain, il Red Star FC si concentra su collaborazioni con brand che condividono gli stessi valori e le stesse motivazioni, ad esempio quello di valorizzare le esperienze locali attraverso il linguaggio universale del calcio.
Così, al fianco dei profili social in cui la maglia da calcio è mostrata come un capo d’abbigliamento cool e lontanissimo dal campo, ecco i blog che raccontano quanto sono orrende le maglie moderne.
Quanto fosse bello il tempo in cui i colori rappresentavano una città, un quartiere, un popolo; un sentimento esclusivo, solo per chi aveva ricevuto le chiavi per accedervi.
C’è ancora una disconnessione in corso tra ciò che i fan più tradizionalisti pensano sia bello e ciò che fanno i brand attraverso i calciatori, i Club e le Nazionali. Molte divise da calcio moderne, infatti, sono ancora grandi delusioni, almeno per molti tifosi.
É questo il caso delle maglie del’Italia firmate adidas e, non a caso, indossate da Donnarumma, Rosucci, Del Piero e Blanco. Sono studiate per essere apprezzate come capi urban dalle nuove generazioni.
Il problema è che si parla delle divise della Nazionale di un paese in cui le maglie da calcio sono sempre state considerate solo maglie da calcio e non capi d’abbigliamento cool. Un tifo tradizionalista, inoltre, già messo a dura prova dalla maglia verde: orrore, sacrilegio.
I segni reali di cambiamento là fuori ci sono, però, forti e chiari. L’abbigliamento sportivo domina la moda urban e l’estetica footy si sta diffondendo a vari livelli.
Loyle Carner indossa la maglia da calcio sul palco. Drake le indossa sempre. Non solo Kim Kardashian, quindi… e gli esempi sono sempre di più.
Tutto ciò significa che la moda sfavillante, che spesso era abituata a gestire le cose e ad essere desiderio ultimo di artisti e giovani cool, ha iniziato a cedere un po’ di potere estetico a una nuova generazione che, a propria volta, cerca ispirazione nel lusso, ma impone sempre più il proprio carattere distintivo, allargando i confini dello stile urban.
Non a caso il Paris Saint Germain veste Jordan, che mai in precedenza aveva pensato di avvicinarsi al calcio. Eppure, il tifo del PSG ha il proprio cuore nella periferia, ben lontano dagli sfarzi del Qatar. Le proteste della passata stagione lo dimostrano. Protestavano per la perdita d’identità del Club. Dare a quei ragazzi un prodotto brandizzato Jordan ha sovrapposto la passione calcistica alle radici USA da cui nasce anche l’Hip-hop francese. Un successo annunciato che prosegue da quel giorno, sempre più, in tutto il mondo.
Il basket, la black culture, le sneaker, il carico (sub)culturale di Jordan è enorme, seppur sia un brand internazionale controllato da Nike. Non è quindi difficile capire perché la maglia del PSG sia diventata così popolare, indipendentemente dalla squadra.
Questo, oggi, è uno standard che molti brand, attraverso calciatori, Club e persino squadre nazionali, appunto, stanno chiaramente cercando di emulare. Kit da collezione immediatamente riconoscibili che vadano al di là della tradizione calcistica ma che incontrino il gusto di chi veste urban, ormai stile dominante a tutti i livelli. Senza dimenticare le tute e l’abbigliamento da allenamento trasformate ormai in pura coolness. Naturalmente, il PSG guida anche in questo.
Altro esempio di partnership che ha mostrato una sfumatura diversa è quello, abbastanza recente e decisamente improbabile, tra la Juventus e Palace Skateboards. Una collaborazione che, indipendentemente dalla riuscita, mostra l’ambizione sia di Palace che della Juventus, nei rispettivi settori, di approdare in altro modo al mercato del cool, dove una squadra di calcio può ora essere alla moda come un marchio di skateboard o un rapper. Notare Tomori, ad esempio, in tribuna a San Siro con un berretto Supreme, un brand che, più di ogni altro, ha fatto il salto dallo skate alla coolness.
Oggi la maglia da calcio è pensata più per la moda urban che per il calcio. adidas, Nike, Puma, da qualche anno Under Armour e New Balance, la giovane Castore, di due fratelli di Manchester, si contendono il nuovo business.
Il fiorente mercato identitario o (sub)culturale fatto di tute, felpe e, ovviamente, maglie create ad arte per target ben definiti: tra i 14 e i 25/30 anni, connessi con la scena trap, hip hop, underground, le periferie, ecc. ecc. non necessariamente interessati al gioco del calcio, come non necessariamente chi indossa o indossava una canottiera della NBA segue o seguiva il basket.
Saranno tempi sempre più difficili per tifosi i duri e puri, ma la maglia da calcio, oggi, non è più solo una maglia da calcio.
Articolo di Tommaso Lavizzari