Casamatta: «La nostra teatralità può esplodere da un momento all’altro»

Casamatta è un collettivo teatrale composto dagli attori Matteo Cremon, Valentina Brusaferro e Alvise Camozzi. Insieme faranno parte della schiera di artisti in programma al meraviglioso festival FIESTA! dal 10 al 12 giugno a Villa Carlotta sul Lago di Como.

Nato da un’idea della pianista Gloria Campaner e della Manager Culturale Alessandra Pellegrini, la rassegna esprime una visione ampia e trasversale dell’arte, riconducibile, in molteplici forme, alla relazione tra uomo e natura. Alta formazione musicale, workshop di scrittura creativa, laboratorio teatrale, discipline corporee, performance artistiche e lectio magistralis si alterneranno in uno scenario di grande bellezza come strumenti di ascolto e comunicazione con la Natura. 

METAMORPHOSES – TRASFORMA TE STESSO è la teatro experience di scena con Valentina Brusaferro, Alvise Camozzi e Matteo Cremon. Attraverso le metamorfosi di Ovidio, giovani e adulti saranno catapultati in un’esperienza immersiva volta ad amplificare le percezioni in relazioni allo spazio e agli altri.
Abbiamo da poco scambiato due chiacchiere con i protagonisti per scoprire la visione della loro arte, buona lettura:

Ricordo una frase di Gigi Proietti che mi fece impazzire, diceva:
Benvenuti a teatro.
Dove tutto è finto ma niente è falso.
Che ne pensate?

Matteo: «A teatro si fa davvero per finta, e se diceva così Gigi Proietti c’è solo da crederci».

Alvise: «Ti rispondo con un altro ricordo, una breve poesia di Pessoa:

Il poeta è un fingitore. Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente.

«Ma lo stesso vale per l’allegria, per l’amore, per la paura, per tutta l’infinita gamma dei nostri stati e emozioni che mettiamo in scena.
Noi attori siamo come il poeta di Pessoa, dobbiamo fingere, ma per vivere insieme al pubblico l’esperienza teatrale, dobbiamo farlo completamente, altrimenti il teatro non accade».

Valentina: «Sì, se è teatro, è vera finzione».

Quando vi siete innamorati della recitazione per la prima volta?

Valentina: «Quando ero piccola assieme ai miei amici giocavo a “facciamo che io ero”, un gioco che ci trasformava e ci teneva occupati per ore e ore. Crescendo ho scelto di dedicarmi a questo lavoro con la stessa serietà che mettevo da bambina in questo gioco».

Matteo: «Fin da piccolo organizzavo spettacolini per i vicini di casa, in estate, assieme ad altri bambini. Ricordo gran divertimento e quell’aria di festa che ci percorreva fin dalla mattina, quando si cominciava a preparare il grande evento per la serata. Era ed è ancora una grande gioia».

Alvise: «Avevo 16 anni, durante un carnevale a Venezia, mi hanno praticamente buttato in scena per fare il prologo di uno spettacolo di commedia dell’arte, l’avevo un po’ imparato a memoria e un po’ no, c’erano centinaia di persone in piazza San Marco, da sotto mi dicevo “ma cosa ci sto a fare qua?”. 

Quando sono salito sul palco e ho iniziato a parlare al pubblico, mi è sembrato di fare un qualcosa che sapevo già fare senza saperlo, l’arroganza dell’adolescenza e la sensazione di aver capito che era quella roba lì che mi sarebbe piaciuto fare nella vita».

Cosa significa e da dove arriva il nome Casamatta?

Alvise: «Ci siamo messi insieme durante la pandemia, a distanza, eravamo rinchiusi nelle nostre case, Letizia Russo a Pescara, io a Venezia, Valentina e Matteo a Vicenza. Le nostre letture e i nostri progetti sono nati e si sono trasformati in questa modalità d’urgenza e di sopravvivenza, in quel momento di sospensione del mondo, dell’arte.

Ci siamo cercati e ci siamo desiderati per desiderare, per creare nonostante tutto. Concretamente, letteralmente, la casamatta è un bunker di cemento, quando ci siamo dati questo nome la guerra era ancora un’immagine del passato.

Si chiama Casamatta perché può esplodere da un momento all’altro, e noi ci sentivamo un po’ così, ma con una voglia così grande di fare, di creare, di inventare, che sembrava folle poter ‘immaginare’ il teatro in quel momento di stasi e latenza. La pericolosa ambiguità del nome sintetizza come ci sentivamo quando ci siamo conosciuti».

Matteo: «Casamatta era il nome con cui venivano chiamati i bunker che contenevano armi. C’era sempre allerta perché potenzialmente esplosivi, così come ogni nostro progetto».

Valentina: «Casamatta è un bunker, un’opera di fortificazione, destinata a raccogliere armi. Casamatta è anche un gioco di parole che ben racconta il mondo del teatro, rifugio di arti e follie creative. Casamatta è anche un messaggio. Come dire, c’è chi lancia bombe e chi lancia teatro».

È la prima volta in un Festival? In cosa consisterà questo workshop?

Matteo: «Sarà un laboratorio teatrale che porterà all’incontro, aprirà alla relazione con se stessi e con gli altri, attraverso le emozioni.
Guidati da Le Metamorfosi di Ovidio cercheremo di ricordare le nostre linee guida di un buon vivere, così come indicano gli Dei agli uomini; tramite alcuni miti scelti, potremo ritrovarci, incontrare noi stessi, ascoltare con più attenzione le nostre emozioni e pulsioni. Puliremo la nostra percezione sensoriale disponendoci a un ascolto che spesso dimentichiamo».

Valentina: «Come Casamatta è la prima esperienza ad un festival. Sono molto felice di poter prendere parte alla prima edizione di Fiesta!, organizzato da Gloria Campaner e Alessandra Pellegrini, in collaborazione con l’Ente Villa Carlotta.
Il laboratorio Metamophosis – Trasforma te stesso offre un’esperienza immersiva dedicata all’esplorazione di diversi linguaggi artistici. Un lavoro di relazione nello spazio attraverso la pratica del corpo e della parola. Un invito al gioco della tramutazione attraverso i miti di Ovidio».

Alvise: «Sì, è la prima volta che ci presentiamo come Casamatta. Cercheremo di far provare ai partecipanti l’ebbrezza di poter essere altro da sé, portandoli dentro l’universo de Le metamorfosi di Ovidio per sperimentare nel corpo, nella voce e nell’immaginari la possibilità di sentirsi altro da sé. Ovviamente, attraverso le tecniche teatrali che abbiamo praticato, sviluppato e sperimentato nella nostra carriera attraverso i rispettivi percorsi».

Il ricordo più bello che avete tutti insieme?

Valentina: «Casamatta è nata grazie a Letizia Russo che ci ha fatto conoscere durante la pandemia, quando i teatri erano chiusi e il nostro lavoro era sospeso. Ricordo con emozione gli appuntamenti on line del lunedì mattina, quando per rendere più sopportabile la distanza dal lavoro, ci incontravamo per leggere LeMetamorfosi».

Alvise: «Tra i nostri progetti c’è una performance sonora in cui il pubblico s’immerge nella natura ascoltando in cuffia le voci degli alberi. Quando abbiamo fatto il sopralluogo per iniziare questo lavoro, abbiamo passato la nostra prima giornata insieme camminando per i boschi, siamo diventati amici così».

Matteo: «Non c’è un ricordo particolare, ma la consapevolezza di un incontro umano e artistico prezioso».

Qual è il personaggio più intrigante che avete interpretato?

Alvise: «Penso sia Mefistofele, nell’Urfaust di Goethe».

Matteo: «Personalmente ogni esperienza artistica ha portato un’unicità che difficilmente posso paragonare alle altre. Ci sono progetti più riusciti e altri meno. Ogni incontro, ogni storia, ogni personaggio mi ha permesso di approfondire aspetti personali differenti, così come regista con cui ho lavorato».

Valentina: «Ho amato e odiato tutti i personaggi che ho incontrato. É grazie a loro che in qualche modo mi sono formata come attrice, scoprendo delle parti di me, scontrandomi con limiti e resistenze.
Ogni incontro in teatro è straordinario perché non sai mai come ti trasformerà. Il lavoro d’attore, così come durante la scrittura di un testo o una regia, comporta un coinvolgimento così importante che l’esperienza artistica diventa fisica.
Un corpo a corpo che necessariamente ti deforma e ti forma. É un lavoro difficile, che costringe a dialogare con le proprie fragilità e libera le forze nascoste, è una fatica necessaria ma meravigliosa».

In alcuni attori i personaggi spesso entrano in maniera estrema anche nel quotidiano, vi è mai successo di riconoscere questo momento e come?

Valentina: «Direi di no. Persona e personaggio sono distinti anche se convivono nello stesso corpo e in qualche modo dialogano. Nel mio caso, mentre sto lavorando a uno spettacolo o a un progetto di ricerca, sento che la relazione che si instaura tra me e l’atto creativo, più che travolgermi in forma manifesta, mi coinvolge a un livello più profondo, in uno spazio sotterraneo, per poi emergere durante la realizzazione dell’opera».

Matteo: «No, tendo a separare sempre “l’esperienza teatrale” dalla quotidianità».

Alvise: «Sinceramente non mi è mai successo».

Svelateci il trucco per poter piangere “a comando” durante l’esecuzione di una scena…

Alvise: «C’è chi si mette il limone, chi il collirio, ma per piangere in scena il pubblico deve crederci, al di là dell’espressione e della lacrima, dev’esserci dietro la situazione, e tu devi starci dentro e crederci completamente, solo così il pubblico ci crede, anche se fai finta».

Valentina: «Tenere gli occhi sbarrati senza sbattere le palpebre finché non ti si seccano e le ghiandole lacrimali esondano? Due gocce di limone negli occhi? Non ne ho idea. Piangere in scena è molto complesso, così come ridere. Riuscire a emozionarsi ed emozionare non è un’azione meccanica, presuppone una capacità immersiva che va allenata costantemente».

Matteo: «Io non ho un trucco, arrivo allo stato emotivo necessario. Tecnicamente è un cambio di respirazione. Alcuni per velocizzare si avvalgono di un buon “balsamo di tigre” spalmato sotto gli occhi».

Consigliateci un Film o uno spettacolo teatrale a testa dove la recitazione è da ricordare per secoli.

Valentina: «Difficilissimo. Buster Keaton in tutta la sua opera. Ingrid Bergman in Sinfonied’autunno. Bette Davis in Eva contro Eva. In teatro ho adorato Yoshi Oida in Interrogation e moltissimi altri».

Matteo: «Molti. Il primo che mi viene in mente: Fitzkaraldo di Werner Herzog. Klauskinski riesce a catturarmi completamente l’attenzione».

Alvise: «Sono tanti… così, su due piedi, dico un film che è anche un testo teatrale, Orson Welles in Otello».

Avete un rituale prima di entrare in scena?

Matteo: «No».

Alvise: «In ogni spettacolo io mi faccio il mio rito scaramantico, dal rosmarino in tasca, al nastro rosso da legare al polso, nell’ultimo lavoro, andavo a teatro con i calzini spaiati».

Valentina: «Sì, ma è un segreto».

Com’è vivere il teatro in Italia?
C’è qualcosa che cambiereste per migliorare il tutto?

Matteo: «Complicato, soprattutto dopo questi due anni di pandemia. Dovrebbe essere più chiaro che il lavoro dell’attore per la mia esperienza è complesso. Si compone di studio, ricerca, fatica, scelte, incontri, fortune, meriti, esperienze, viaggi, rinunce, distanze, salti nel buio, sbagli…un luna park continuo.

Un mettersi alla prova, un gioco continuo che porta ad una profonda responsabilità. Manca ancora una tutela per la categoria, anche se si sta arrivando ad un riconoscimento grazie anche al lavoro che sta portando avanti l’associazione “unita”. Rimane comunque un mestiere per molti “particolare”, e lo penso anche io, solamente per la fatica costante che richiede».

Alvise: «Il teatro in Italia è l’ultima ruota del carro della politica culturale, i pochi meccanismi di finanziamento prediligono la quantità alla qualità, come può immaginare, il discorso è complesso e la situazione disastrosa. Il rimedio primario sta nella volontà di credere e considerare il teatro come un patrimonio di tutti, elemento fondante della cultura del nostro paese, sia quello delle capitali, sia quello prodotto nelle centinaia di teatrini sparsi nella penisola».

Valentina: «Discorso molto complesso e articolato da affrontare qui. Il futuro del teatro dipende molto da politiche sociali, culturali, economiche che ne determineranno gli esiti. Gli ultimi due anni sono stati micidiali, ma ci hanno offerto la possibilità di riflettere sui meccanismi tossici che ci travolgono. Diventa perciò necessario immaginare altre forme, altri criteri, altre modalità di gestione di tutto ciò che genericamente chiamiamo arte, cultura. Dobbiamo affrontare con coraggio le rivoluzioni che ci attendono».

Con quale frase aprireste il sipario sulla rappresentazione teatrale della vostra vita?

Valentina: «Ora viene il bello».

Matteo: «Ho un motto che mi accompagna da molto, un po’ goliardico forse: Dai, dai, dai… forza dai, meglio uscire dai guai che non averne mai!».

Alvise: «Ustia, non tutti gli spettacoli sono quelli della mia vita, ma quasi, in un determinato momento di vita, e ognuno ha un suo inizio».

Quest’estate dove vi troveremo?

Alvise: «La nostra prima uscita sarà in un festival interessantissimo nel Veneto, si chiama “Scene di Paglia”, nel padovano, è una rassegna preziosa dedicata alla sperimentazione, e noi ci presenteremo con una performance, con un bravissimo sound designer Andrea Santini, che nasce proprio da Le Metamorfosi e si intitola Mentre Fuori Infuria, scritta da Letizia Russo, che è Casamatta anche lei e che, a dire il vero, ha di fatto fatto nascere il progetto perché ci ha fatto conoscere».

Valentina: «Dall’10 al 12 giugno a Fiesta!, sul lago di Como; il 3 luglio saremo tutti e tre in scena al festival “Scene di Paglia” con Mentre fuori infuria, un lavoro ispirato a Le Metamorfosi di Ovidio, scritto da Letizia Russo, accompagnato dal Sound Designer Andrea Santini e diretto da Alvise».

Matteo: «Imminente sarà il 3 luglio a “Scene di paglia” dove presenteremo Mentre fuori infuria, drammaturgia di Letizia Russo, con noi in scena il sound designer Andrea Santini».


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