Coolness Milano dal 1998 è sinonimo di british attitude e contemporary menswear a Milano. Deliberatamente posizionato al di fuori delle tradizionali vie dello shopping – prima in via Faruffini, a Milano, oggi in via Lanzone 33, nel mezzo della centralissima Sant’Ambrogio – questo piccolo negozio dalla grande storia, porta avanti la propria filosofia di ricerca, innovazione e attenzione al minimo dettaglio da più di vent’anni. Venticinque, per la precisione, a giugno 2023.
«La pandemia ci ha permesso di sfruttare tutte le potenzialità dell’e-commerce. Non avevamo alternative. Resto dell’idea, però, che il negozio debba essere un Club, un luogo d’incontro e di scambio. Non vieni a comprare solo dei vestiti, ma un’esperienza. Nulla è necessario, quello che conta è il tempo che dedichi a qualcosa. Per questo è fondamentale il rapporto che abbiamo costruito con i clienti. Avere una lunga storia alle spalle ci permette di avere credibilità sempre; una nostra identità anche in un contesto più dozzinale, direi impersonale, come il web. Come sempre: Coolness è tutto e il contrario di tutto».
Elvio Pompei, Coolness Milano
Coolness Milano (premi qui): contemporary menswear, non solo a Milano
Sotto la guida attenta di Elvio Pompei, ideatore e fondatore di questa realtà, Coolness Milano si è ritagliato un posto nel mercato europeo del contemporary menswear. L’attenzione per i marchi, per la cura del prodotto, ma soprattutto per ogni singolo cliente, infatti, ha permesso al Working Class Dandy protagonista della nostra intervista di oggi, di essere sempre un passo avanti anche rispetto a realtà ben più blasonate.
Elvio Pompei: «Sono nato nel 1966 tra le montagne del Friuli e ho cominciato a lavorare molto presto. Dopo aver maturato la dovuta esperienza nel settore delle vendite, sono arrivato, per scelta, a Milano. Era il 1993. Lavoravo tanto e guadagnavo bene».
Qual è stata, quindi, la scintilla che ti ha portato, a 32 anni, a lasciare una vita avviata e a rimetterti completamente in gioco con Coolness Milano?
Elvio Pompei: «La crisi del 1994 (risata, N.d.R.). A me non è mai piaciuto fare il dipendente con lo stipendio fisso. Ho sempre preferito svegliarmi la mattina sapendo che meglio avrei fatto, più avrei guadagnato. Così lasciai il lavoro da Manager e grazie alla mia ex moglie, che mi ha dato coraggio e che mi ha sempre sostenuto, ho deciso di investire tutto quello che avevo in ciò che sognavo di fare. Ho sempre avuto passione per l’abbigliamento, sin da bambino. Nel 1981, a Roma, acquistai un paio di Timberland e, quando tornai a casa, tutti mi presero in giro perché erano: degli scarponcini da montagna. Oggi sono un evergreen. Lo stesso episodio si è ripetuto spesso, con diversi capi d’abbigliamento. Sono sempre riuscito a essere un passo avanti agli altri, anche senza volerlo. La mia ex moglie, all’epoca fidanzata, mi ha spinto a provarci definitivamente».
THESE COLOURS DON’T RUN
Quindi hai parlato con Luca, il tuo vecchio socio di Coolness Milano.
Elvio Pompei: «Sì, avevo un amico che possedeva un piccolo negozio di abbigliamento, molto di nicchia, in una zona periferica di Milano. Andavo lì a vestirmi, una chiacchiera tira l’altra e abbiamo deciso di creare Coolness Milano. Abbiamo unito le mie doti di marketing e vendita, la sua esperienza nel settore e la nostra comune facilità nell’anticipare le tendenze. Non dico che sia partito tutto per gioco perché sono friulano e alla fine faccio sempre quadrare i conti, ma abbiamo aperto tutto con venti milioni di Lire, dieci a testa, senza preoccuparci troppo del domani. Non avrei saputo che fare diversamente».

Cosa cercavate di preciso all’epoca per Coolness Milano?
Elvio Pompei: «Cercavamo un posto piccolo, fuori dalle solite logiche di mercato, dalle classiche vie dello shopping. Un posto che fosse comodo per la clientela cui volevamo riferirci, che ci permettesse di occuparci di ogni singolo cliente con la giusta attenzione, con la giusta calma. La nostra idea è sempre stata quella di dedicare a chiunque entri a casa nostra il tempo per trovare il proprio stile. Quello che gli stia bene veramente; anche a costo di non vendere nulla perché non gli sta bene nulla.
La vera vetrina, per chi vende moda, è la strada. Non dev’essere il commesso a dirti che stai bene o che è bello quello che indossi, dev’essere la gente per strada. Che poi, informandosi, scopre dove acquistare i capi che le piacciono e che devi essere solo tu a vendere. Per primo. Maglioncino inglese, giacca e pantaloni italiani, capo-spalla vintage… la ricerca è alla base di tutto. Non siamo un monomarca. Come dico sempre: gioca virtuale ma vivi reale».
Nel 1998, quando è nato Coolness Milano, non c’era tutto questo subbuglio virtuale.
Elvio Pompei: «Esatto. Come dicevo poco fa, il fatto di aver scelto di aprire il negozio in via Faruffini era proprio per avvicinare il prodotto al cliente. All’epoca non c’era Internet ma non c’erano neppure i voli low-cost. Carnaby Street, per fare un esempio, non era il centro commerciale dello streetwear che è diventato oggi. Era un luogo che, a chi aveva la possibilità di visitarla, offriva spunti infiniti, ma dovevi essere tu a capire quello che poteva funzionare. Lo dovevi acquistare e importare, nella speranza di aver avuto ragione. Così è stato, tra mille difficoltà da superare, ovviamente. É come giocare in Champions League con i soldi dell’Udinese mentre di fianco hai Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco. É una vitaccia, ma è quello che amo fare e, in quasi venticinque anni, ne abbiamo fatta di strada…».
…e con Coolness Milano ne avete sempre cercate anche di nuove.
Elvio Pompei: «Abbiamo cercato nuove strade, certo. Sempre nello stesso ambiente. Io ho rilevato tutta l’attività, che continuo a portare avanti grazie a sinergie con altre persone con cui collaboro regolarmente e grazie alle quali ho necessariamente dovuto allargare il raggio del business. Siamo partiti nel 1994 con la crisi che ci ha spinto a investire su noi stessi, di tasca nostra. La crisi che ci ha colpito dal 2008 mi ha portato a sfruttare opportunità e conoscenze. Queste, a propria volta, mi hanno aiutato a espandere il marchio di Coolness Milano, arricchendo l’attività con nuovi sbocchi commerciali».
Sempre nel settore dell’abbigliamento?
Elvio Pompei: «Sì, perché, a differenza di quello che si pensa, l’abbigliamento non è d’importanza marginale. Concetto che si è comunicato erroneamente per due anni di pandemia. La prima cosa che ti presenta agli altri è il tuo aspetto. Dedicare il giusto tempo al proprio outfit, consigliato in maniera accurata da chi si pone nei tuoi confronti come un amico e non come un venditore, è fondamentale per costruire uno stile che ti rappresenti; che ti presenti correttamente a chi incontri».
Concept, Friends and Connections, così recita il claim di The Coolness Society?
Elvio Pompei: «Esatto. L’avvento di Internet, ovviamente, ha cambiato le regole del gioco. Le ha migliorate per alcuni aspetti e peggiorate notevolmente da altri punti di vista. Nel 1998 abbiamo cominciato vendendo marchi che poi sono diventati di uso comune. Per primi siamo riusciti a far indossare ai ragazzi milanesi alcuni brand. Nel 1999 abbiamo creato le nostre prime t-shirt, le prime felpe…».
…tutti le volevano, le indossavano, le chiedevano. Giravi per Milano e sullo scudo di ogni motorino, fuori dalle scuole, spuntava l’adesivo con la scritta Coolness Milano. Lo ricordo bene, ero uno di quei ragazzi. Ci conosciamo da un po’…
Elvio Pompei: «Purtroppo sì, ci conosciamo da un po’ (Risata, N.d.R.). In quel momento abbiamo capito che era il caso di rafforzare il nostro concept e di legarlo sempre più a un’idea che identificasse la nostra clientela e gli desse un forte spirito d’appartenenza».
In quegli anni è esploso Internet. Ne avete sempre fatto un utilizzo equilibrato, non vi siete mai snaturati. Senza dubbio, però, ha facilitato i contatti e vi ha portato all’attuale head of menswear di Barbour che, quando ha avuto bisogno di una figura di riferimento per lanciare il suo brand in Italia (One True Saxon, N.d.R.), ha scelto Coolness Milano (premi qui). Tutto merito del lavoro che avevi fatto negli anni e che lui aveva potuto osservare dalla propria scrivania. Come lui, però, in molti hanno potuto prendere spunto da voi, copiarvi o, peggio, sfruttarvi. So che di certe cose non parli volentieri. La domanda che ti faccio, quindi, è:
Internet è più un vantaggio o uno svantaggio per chi arriva da un mondo totalmente reale, concreto?
Elvio Pompei: «É un vantaggio perché sei stato il primo e quindi ti fanno pubblicità. Chi nasce dietro a un vetro, resta dentro uno schermo; noi siamo reali e ci divertiamo sul web. Oggi il web è fondamentale, ma se non hai una storia alle spalle le persone se ne accorgono, perdi credibilità e la fiducia del pubblico. É fondamentale avere il proprio essere».
Giocare virtuale ma vivere reale è il claim di Coolness Milano da quando siete approdati sul web.
Elvio Pompei: «Sì. Non voglio dire che influencer e store online siano il male, tutt’altro. Dico solo che, per chi fa il mio mestiere, una fotografia sui Social è il risultato finale di un lavoro reale che prevede una ricerca sul prodotto stancante e dispendiosa. Un abbinamento studiato in negozio da una realtà che vuole essere credibile e reale da più di vent’anni. Chiedere: ‘Quanto costa?’ per poi venire da noi, provare un capo per capire la taglia e cercare il prezzo migliore su internet per acquistarlo, non è sbagliato di per sé, semplicemente è frustrante nei confronti del lavoro che c’è dietro a scelte ponderate e consapevoli.
Lo store on-line è un aspetto importante. In questo periodo lo abbiamo sfruttato come mai in precedenza, anche se non è la stessa cosa. Preferisco lavorare con pezzi unici e non acquistare stock di t-shirt, cappellini, felpe e pantaloni da rivendere sul web. Per quelle cose ci sono già i riferimenti delle aziende, noi ci occupiamo di vestire le persone. É completamente diverso».
Prima del lockdown, Coolness Milano è stato tra i primi a vendere capi vintage, rigenerati. Cosa che sta prendendo sempre più piede. Parlo di quei Barbour cui hai ridato vita ben prima del lockdown. Oggi il capo vintage rigenerato è una tendenza.
Elvio Pompei: «Sì, è stata un’opportunità incredibile. Sono riuscito ad acquistare una partita di vecchie giacche usate, rovinate, alcune irrecuperabili, purtroppo. La maggior parte, però, sono riuscito a lavarle, sterilizzarle e ripristinarle. Le ho fatte cucire a mano da alcune sarte di fiducia e ne sono usciti capi unici. Sul web, chiaramente, hanno spopolato, ma sono pezzi vintage e devi venirli a provare in negozio. Capisci il senso di ciò che dico? Li ho venduti tutti nel giro di pochissimo tempo. Oggi, che è ripartito tutto e che ho modo di fare nuovamente ricerca, inserisco pezzi unici che recupero qua e là. Mi sono capitati capi incredibili, venduti in pochissimo tempo. Una giacca militare svedese del 1944; un cappotto dell’esercito rumeno ai tempi di Nicolae Ceaușescu; una giubbotto Filson 1897 da camionista USA, per fare degli esempi. Pezzi unici che sul web sono difficili da acquistare, devi venire a provarli».
É una sfida molto complicata, per cui nel 2009 è nata The Coolness Society, giusto?
Elvio Pompei: «Esattamente. Serviva un grosso contenitore che mantenesse lo stesso concept ma che mi permettesse di costruire sinergie in Italia e ovunque ci fosse la possibilità farlo. Cogliendo l’opportunità offertami dagli Inglesi, quindi, abbiamo cominciato a posizionare i nuovi marchi d’abbigliamento che ci venivano proposti da Oltremanica e ad allargare il nostro giro d’affari. Inizialmente abbiamo fatto un lavoro di posizionamento sul mercato. Ben presto ci siamo ritrovati a vendere gli stessi prodotti che ci venivano offerti in qualità di distributori. Il nostro lavoro era stato così apprezzato da permetterci di aprire un canale preferenziale, appunto, per la distribuzione di alcuni marchi da lanciare in Italia e, a macchia di leopardo, in Europa. In poco tempo siamo riusciti a inserire nella rete di The Coolness Society molte realtà italiane ed europee con cui collaboriamo anche oggi».
Inoltre, come consulente, ricordo che hai realizzato due negozi, a Barcellona e a Roma. Ricordo bene?
Elvio Pompei: «Quelli erano i primi. Oggi, in realtà, sono molti di più. Metto a disposizione il mio know-how, sia nella realizzazione di attività nuove che nel re-birth di attività già esistenti».
L’dea di Team per Coolness Milano è molto forte.
Elvio Pompei: «Certo, il team è fondamentale. Sono un padre e, prima di essere padre, sono un uomo, un essere umano. Ho bisogno dei miei spazi, come tutti. Seguire tutto da solo sarebbe impossibile ma, al contempo, mi piace fare di testa mia. Quindi è meglio collaborare che creare una società. Il legame è giusto averlo sulla fiducia, collaborare perché lo si vuole. Quando tutti possono portare a casa la propria parte, senza che nulla sia dovuto, le cose funzionano davvero. Concept, Friends and Connections non è scelto a caso».
Non è stato sempre tutto rosa e fiori, quest’ultimo periodo in particolare non è stato facile..
Elvio Pompei: «Non è mai tutto rosa e fiori. Si deve sempre lottare per tirare fuori il sangue dai sassi e devi sempre avere più sassi da spremere per migliorare. La crisi del ’94 mi ha spinto verso la mia vita attuale. Il 2008 mi ha fatto intraprendere nuove strade di business. Sono friulano, anche se con la mia famiglia ho vissuto in tutt’Italia. Il 6 maggio 1976 avevo 10 anni quando c’è stato il terremoto in Friuli. Sono pronto a ripartire anche oggi. Non dimentico nulla, sia in positivo che in negativo. Non ho mai avuto paura di rimboccarmi le maniche, sperando che ce lo lascino fare».
Direi che di strada ne hai ancora da fare, anche perché tuo figlio ha scelto un altro percorso, quindi ti tocca…
Elvio Pompei: «Fortunatamente mio figlio sembra aver scelto un’altra strada, sì. Sempre complicata, visto che ha scelto di diventare Chef. Quindi, come suo padre, alla fine ha deciso di seguire la propria passione. Del resto, amo molto la cucina ed è risaputo che la mela non cade mai troppo lontano dall’albero. Devo dire che durante il lockdown ho mangiato molto bene a casa (risata, N.d.R.)».
Se invece avesse scelto la tua stessa strada che consiglio gli avresti dato?
Elvio Pompei: «Quando sono partito io era molto più facile. Oggi è tutto molto più complicato, rischi di aprire una Steak House in mezzo a un quartiere di ristoranti vegani».
Come, scusa?
Elvio Pompei: «Un tempo bastava una maglietta per fare il figo. La indossavi per identificarti. Ora la globalizzazione ha permesso a tutti di fare magliette ma a pochi di identificarsi indossandola. Tant’è che, da qualche anno, non faccio più t-shirt ma contemporary menswear. Ho cambiato il target d’identificazione in tempo per mantenere la fidelizzazione cui tiene il mio pubblico. Oggi, chi apre un negozio pensa prima alla merce e poi a dove aprire il negozio, invece di caratterizzare il proprio concept a tutto tondo. Io curo tutto, anche la musica da avere in sottofondo o le immagini da esporre. Cibo, musica, Albione e Ibiza. Coolness ha un immaginario ben preciso».
Bé, è la storia di Coolness Milano.
Elvio Pompei: «É la nostra storia, esatto. É molto più d’un negozio per me e per chi l’ha vissuto, lo vive e lo vivrà. Quindi proseguirò a basarmi sulla mia esperienza e ad accompagnarmi alle mie collaborazioni anche dopo quest’ultimo periodo. Seguirò gli stessi principi che mi hanno permesso di portare avanti il negozio; di anticipare il concetto di buyer per altre attività; distribuire marchi al pubblico e agli addetti ai lavori; consigliare e avviare attività basandomi sul concept che ho ideato ormai più di vent’anni fa e che continua ad arricchirsi, anche grazie al web. Chissà che non decida anche di realizzare un libro con tutte le storie che sono passate da Coolness. Ormai lo fanno tutti! Sai che ti tocca scriverlo in caso? (Risata, Nd.R.)».
Se proprio mi tocca, farò questo sforzo! Che consiglio daresti per uscire da questa crisi?
Elvio Pompei: «L’ho già dato: giocate virtuale e vivete reale. Nel 1918 i nostri nonni hanno costruito tutto dal nulla. Nel 1945 i nostri padri hanno costruito tutto dal nulla. Il mio Friuli distrutto da un terremoto è stato ricostruito dal nulla. Anche da questa crisi si può costruire tutto dal nulla, basta volerlo. Basta spegnere la televisione, Facebook, Internet, e ricordarsi che viviamo nella realtà. La vita va avanti anche con la paura di un virus, di una guerra; con l’ansia dello spread, delle borse che crollano, della benzina che sale, del gas e dell’energia che aumentano. L’affitto si deve pagare, ci si deve nutrire, vestire, anche divertire e per far questo ci si deve rimboccare le maniche e lavorare… e se il lavoro non c’è, o non basta più, bisogna inventarselo. Bisogna sempre essere tutto e il contrario di tutto».