Luigi Honorat: Forma. Ricerca. Obsolescenza

Luigi Honorat è un artista contemporaneo parigino che vive e lavora a Tokyo. Ad oggi artista autodidatta in computer grafica, ha studiato scultura alla Musashino Art University di Tokyo, dove è attualmente docente. La sua pratica unisce scultura e CGI, utilizzando il mondo della grafica per esplorare nuove forme scultoree e modi di creare. In tutto il suo lavoro, Honorat cerca l’equilibrio tra il ritmo lento, la vicinanza ai materiali e la fisicità della scultura e il ritmo molto veloce della produzione dei media digitali. Lo abbiamo intervistato.

Da dove nasce la tua passione per l’arte?

Luigi Honorat: «Credo di aver sempre avuto un certo interesse per l’arte e gli artisti, ma per molto tempo non ho avuto la certezza di poter creare effettivamente qualcosa. Pensavo alle abilità artistiche come a qualcosa di innato, e questo è stato un grosso errore. In Giappone l’approccio è diverso, se vuoi acquisire le competenze devi solo impegnarti. Entrare in una scuola di preparazione giapponese e poi in un’università giapponese mi ha davvero aiutato a liberarmi del modo di pensare che avevo all’inizio».

Quando/come hai iniziato a lavorare come artista?

Luigi Honorat: «Se intendi lavorare sui miei pezzi, liberamente, direi 2010, quando ho preso una prima pausa dalla grafica e ho iniziato a lavorare sulle sculture. Se invece intendi quando ho iniziato a guadagnarmi da vivere con il mio lavoro, non ci sono ancora arrivato, potrei non arrivarci mai. Devo ancora lavorare su commissione o collaborare, lavorare per altri artisti, insegnare, ecc. Ci vuole tempo, soprattutto con la scultura, ma sono contento della mia situazione, posso dedicare gran parte del mio tempo a lavorare su progetti personali e so che è già un privilegio».

Qual è la differenza tra arte classica e digitale? A quale ti senti più vicino?

Luigi Honorat: «Mi sento sicuramente più vicino all’arte classica. Quando si sceglie un materiale, si scelgono anche tutta una serie di limitazioni. La scultura è prima di tutto un confronto con un materiale e i suoi limiti.

Trovare un materiale adatto a te è veramente soddisfacente.

Il digitale è molto più libero, non ci sono limiti quando si tratta di forma, scala, struttura, luce, colore, ecc. Mi ritrovo un po’ perso senza limitazioni e devo aggiungerne di mio pugno artificialmente quando lavoro con strumenti digitali. Inoltre, passare mesi davanti a un computer è deprimente».

I social media sono utili per il tuo lavoro di artista?

Luigi Honorat: «Sì, Instagram mi è stato molto utile per commissioni, collaborazioni, scoperta di altri artisti, ecc. Però sono davvero pessimo, soprattutto con piattaforme più social come twitter o clubhouse. L’altro problema è che divento facilmente dipendente, quindi devo usare quelle app che limitano i furti temporali… Una parte di me vorrebbe poter fare a meno di tutti quei social media ed è molto ipocrita da parte mia dire questo sapendo quanto ne ho ricavato».

Qual è il futuro dell’arte secondo te?

Luigi Honorat: «Non ne ho idea». 

Parlami di Intangibile

Luigi Honorat: «Ho iniziato la serie Intangible nel 2017, non avevo più uno studio, ma volevo continuare a lavorare con la forma. È una serie di studi ispirati alla scultura che potrebbero potenzialmente essere trasformati in opere fisiche. Un’importante fonte di ispirazione è stato l’articolo di Zach Lieberman “Daily Sketches in 2016“. In un certo senso, volevo applicare questo approccio sperimentale costante ai prototipi di sculture. Avevo bisogno di una sorta di limitazione artificiale, quindi per gli studi cerco di usare solo un materiale, una forma, un movimento alla volta e sempre nello stesso spazio, così da potermi concentrare sulla forma».

Non usi molto colore, perché?

Luigi Honorat: «Quando lavoro i materiali, il più delle volte, preferisco lasciarli grezzi. Non ho usato rivestimenti per il bronzo e ho lasciato che il ferro arrugginisse. Quando si tratta di grafica, ne ho fatti alcuni con il colore, ma sono sempre riluttante a usarli. Voglio concentrarmi sulla forma e sento che il colore porta troppo significato. Ad esempio, non sono mai stato in grado di usare un blu nel mio lavoro digitale, mi sembra che sia troppo forte o significativo, aggiunge qualcosa di cui non ho il controllo. Preferisco restare in forma e rimanere neutrale».

Cosa ti ispira di più?

Luigi Honorat: «Tornando all’università c’era questo corso di letteratura giapponese (Mishima, Tanizaki, Kenzaburo) che mi colpì molto. Un libro o un estratto da un libro è il punto di partenza perfetto per un progetto. Ora penso che lo spettro di fonti di ispirazione si sia allargato: scultura, architettura, musica, cinema, ecc. In un certo senso mi ispiro alla scultura per i lavori di grafica e alla grafica per i lavori di scultura. Il mio lavoro aveva più concept, oggigiorno si tratta più di sperimentazioni e scoperte, tutto può essere fonte di ispirazione o motivazione».

Ascolti musica mentre lavori? Che tipo di musica ascolti?

Luigi Honorat: «In questo momento molto! Chatterton, Benjamin Biolay, Yann Tiersen, Synecdoche Montauk. Ma cerco di lavorare il più possibile in silenzio».

La dimensione onirica è importante per le tue opere?

Luigi Honorat: «No, non proprio, non l’ho mai considerata come tale». 

Come definiresti la tua espressione artistica usando tre parole?

Luigi Honorat: «Forma. Ricerca. Obsolescenza».