Giò Forma, il mondo è il nostro palco

«Tutto il mondo è un palcoscenico» è la frase che inizia un monologo dalla commedia pastorale di William Shakespeare As You Like It, la stessa filosofia di vita dello studio Giò Forma con sede a Milano

Fondato oltre 20 anni fa da Cristiana Picco, milanese, Claudio Santucci, toscano, e Florian Boje, tedesco, il cui motto è Tutto è Palco. Non poteva esserci slogan migliore per uno studio che si occupa di allestimenti e progetti a 360° che avete sicuramente visto almeno una volta anche senza saperlo, e che gli ha ritagliato un posto sul mercato per la loro innovazione non convenzionale.

L’Albero della Vita di EXPO 2015, la mostra per i 60 anni di Esselunga, la scenografia di X Factor, i palcoscenici di Vasco  – tra cui quello storico del Modena Park – il Jova Beach, i tour negli stadi di Cesare Cemonini e Tiziano Ferro. E ancora: le opere della Scala e grandi progetti come un teatro che è una mastodontica scatola di specchi nel bel mezzo del deserto dell’Arabia Saudita. Li abbiamo intervistati.

Quando avete fondato Giò Forma oltre 20 anni fa, qual era il vostro obbiettivo, cosa c’era nel vostro futuro idilliaco?

Team Giò Forma: «Noi siamo inguaribili entusiasti del futuro, decisamente ottimisti oggi come 20 anni fa. A dire il vero le idee erano le stesse, nel frattempo le abbiamo raffinate, abbiamo studiato e articolato il nostro approccio. Per noi Tutto è palco da sempre. Siamo nati con l’idea e la passione di trasformare spazi in esperienze senza distinzione di misura o di budget. Per noi una lampadina può trasformarsi in un palco tanto quanto un progetto per un ponte ,una forchetta o una piastrella, nel nostro algoritmo progettuale (direi proprietario) combiniamo con attenzione gli ingredienti basici, lo spettatore ed il racconto».

Avete progettato moltissimi tour per artisti italiani, dal Modena Park di Vasco, al Jova Beach all’ultimo tour di Marco Mengoni solo per citarne alcuni. Qual è il segreto per cucire addosso agli artisti il giusto palco e che rapporto instaurate con loro?

Giò Forma: «Hai usato il termine giusto: cucire. Perché progettare uno spettacolo e quindi un palco é esattamente come cucire un vestito che l’artista deve portare sentendosi a proprio agio. Come un abito deve rappresentarlo. Ogni artista ha il suo. Puoi dirgli quanto vuoi che il palco e lo show che hai disegnato per lui é bellissimo ma, come un vestito, quando lo indossa e si guarda allo specchio, (nel caso nostro in una foto o in un video), deve sentirlo come parte di sé, rappresentativo della sua immagine e della sua musica.

Il nostro compito quindi é come quello di un sarto, con la differenza che i nostri materiali e strumenti sono leggermente più grandi. Non sono tessuti e bottoni bensì strutture trasportabili imponenti, schermi, luci, laser ed effetti vari, materiali quindi fisici ma anche intangibili. Il segreto sta quindi nel conoscere l’artista e interpretare la sua musica e il suo stile in un’architettura itinerante, in grado di trasformarsi in più di due ore di spettacolo».

Molta gente non sa che cosa sta dietro a uno spettacolo o ad un concerto, normalmente pensa che ciò che vede sia merito dell’artista. Può essere frustrante rimanere un punto di riferimento per gli addetti ai lavori e non per il grande pubblico?

Giò Forma: «A noi non interessa essere popolari come gli artisti. Non tutto il pubblico ci conosce ma in realtà negli ultimi anni c’é grande attenzione da parte del pubblico allo spettacolo. Ormai lo pretende e si aspetta sempre qualcosa di diverso e coinvolgente. Molti hanno incominciato anche a interessarsi a chi sta dietro. Abbiamo infatti molti fan dei vari artisti che ci seguono sui social. Sanno che alla base c’é la scelta dell’artista, ma ormai sanno anche che dietro ci sono consulenti come noi con grande professionalità. Ormai veniamo citati molto spesso nelle cartelle stampa come vera e propria firma alla pari di un designer di auto, moda o quant’altro richieda un pensiero che ha dietro uno stile e un format come il nostro: Tutto é Palco».

La prima volta che ho visto le foto del Maraya Concert Hall, Al Ula, in Arabia Saudita sono rimasto stupito. Un teatro che è un’enorme scatola di specchi nel bel mezzo del deserto e che riflette tutto quello che ha intorno, ampliando il paesaggio e  alterandone la prospettiva. Ho pensato: è come un miraggio nel deserto. Mi parlate di come nasce un progetto come questo? Cosa lo ha ispirato?

Giò Forma: «Maraya, che vuol dire riflesso in Arabo, è nato da un concorso internazionale. Noi avevamo visto Alula prima, un posto incedibile, paesaggio epico e una storia (anche di architettura) pazzesca che ci hanno portato ad un famoso schizzo con una dicitura che non si dovrebbe mai fare in un concorso di quella portata, avevamo messo grosse lettere scritte a mano che dicevano: ”Qua non si dovrebbe costruire nulla“ ma se proprio dobbiamo, useremo lo specchio».

L’Arabia Saudita è ancora un luogo su cui puntare o ci sono nuovi paesi che si stanno facendo notare per investimenti ed espansione architettonica?

Giò Forma: «Ecco noi abbiamo una lunga storia d’amore con l ‘Arabia Saudita. La cultura Saudita è profonda e sentita, è un paese giovane e pieno di sorprese ma anche colto e sofisticato. Maraya oramai fa parte dell’immaginario Saudita, per noi è sempre un passaporto elegante e fortunato».

Concerti, architettura ma anche tanti eventi e allestimenti per la moda, penso ad Armani, Cartier, Louis Vuitton e Versace, come vi muovete da un ramo all’altro, avete persone specializzate per ciascun settore?

Giò Forma: «Sì e no, non vogliamo creare settori all’interno del nostro ufficio. Pensiamo che l’attitudine liquida, per citare Baumann, sia di grande aiuto nel gestire le complessità artistiche del contemporaneo. Ci sforziamo di mischiare e trasferire i valori tra tutti settori, come spiegavo il Palco è la metafora che ci accompagna, il terreno comune, il foglio bianco».

Credete che Giò Forma abbia un tratto distintivo? C’è una sorta di narrazione nei vostri progetti?

Giò Forma: «Partiamo sempre rigorosamente dal racconto. Volendo possiamo dire che è la Lirica a farci da maestro, traduciamo le realtà in Musica e Libretto, la drammaturgia genera gli spazi e il design li visualizza, viene da se che sono metafore».

Quali sono i nuovi progetti a cui state lavorando?

Giò Forma: «Tanti progetti stupendi. Abbiamo lavorato molto durante il Lockdown facendo molti concorsi e seminando molto bene, ora abbiamo parecchie piantine nel vivaio. Nella Lirica ci sono progetti come il Rossini Festival quest’estate, La Aida a Roma questo autunno e a Firenze e La prima della Scala con il Macbeth di Verdi, sempre con il regista Davide Livermore. In campo musicale stiamo cominciando a rivedere la luce iniziando con i Maneskin all’Eurovision 2021 a Rotterdam.

Nell’architettura ci siamo aggiudicati magnifici progetti di cui ancora non possiamo parlare a “voce alta” ma includono la realizzazione di un Teatro, un Albergo, un Parco e qualche altra chicca come un Museo di concezione decisamente innovativa, un po’ di progetti, tutti Palchi, si capisce».