Da icona teen, grazie alla sua interpretazione in Summertime di Netflix, al ruolo del dottore perfezionista nella fiction RAI DOC- Nelle tue mani, una delle più viste nel 2020. Alberto Malanchino sembra aver conquistato tutti.
Alberto Malanchino nasce a Milano ventisette anni fa e cresce a Cernusco sul Naviglio, ma è originario del Burkina Faso. La sua vita ruota intorno alla recitazione, passione nata grazie alla madre che all’eta di 4 anni gli faceva vedere in tv La Piovra e Il Padrino capolavori ai quali si è appassionato, rimanendo così rapito dal mondo dello recitazione. Professione che decide di percorrere seriamente dopo aver visto una rappresentazione teatrale de Le Allegre Comari di Windsor di William Shakespeare e che lo porterà a diplomarsi presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano.
Ciò che stupisce di Alberto, oltre alla sua bravura, è la capacità di adattarsi ad ogni ruolo. Ok che è il mestiere dell’attore ma non è scontato essere così malleabili e passare dalla spiagge di Summertime, alle corsie di un ospedale in DOC- Nelle tue mani al fianco di Luca Argentero. Per non parlare del film indipendente e visionario Easy Living in cui interpreta Elvis, migrante che cerca di raggiungere la Francia. In attesa di Summertime 2 lo abbiamo raggiunto al telefono e ci siamo fatti raccontare tutte le sue sfaccettature.
Raccontaci un po’ il tuo percorso artistico, è vero che è stata tua madre ad avvicinarti al mondo del cinema?
A. Malachino: «Sì, è vero! Mi faceva vedere tantissimi film sia italiani che internazionali. Poi alla fine delle superiori ricordo che la prof. ci portò a vedere una replica de Le Allegre Comari di Windsor di Shakespeare e in quel momento capii che quella era la mia strada. Da lì ho iniziato il percorso, ho studiato alla Paolo Grassi e ora sono qui».
Tra tutti i film che vedevi con tua madre, ce n’era uno ricorrente che lei amava e tu invece meno?
Alberto Malanchino: «Il Re Leone per quanto riguarda i film per bambini, mentre un film che ho praticamente divorato è Il Padrino parte due… la parte uno l’ho vista dopo, ma va bene così. Mia madre era super innamorata della serie La Piovra, e lo vedevamo spesso insieme».
Questo significa che sei una persona curiosa, e lo eri anche da bambino… non è che tutti i bambini guardassero La Piovra.
A. Malanchino: «Sai, per me era tutto così naturale. Quello che mi stupiva dei film americani era il fatto che tutti parlassero in italiano e allora chiedevo a mia madre: “Ma se parlano in italiano l’avranno girato in Italia“. E mia madre mi spiegò che erano doppiati. Io non capivo bene cosa volesse dirmi, col tempo ho capito. Però sì, la curiosità ha sempre fatto parte di me».
In Doc – Nelle tue mani interpreti il ruolo di un medico. Visto quello che sta succedendo che percezione hai di chi fa questo lavoro per davvero?
A. Malanchino: «La percezione che ho dei medici è che abbiano una vocazione molto forte. Credo che difficilmente si possa fare il medico senza sentirlo dentro. Io ho avuto la fortuna e la possibilità di conoscere e parlare con medici e infermieri sul set e loro mi dicevano: “Noi vorremo essere riconosciuti come esseri umani, come dei professionisti. La nostra paura è che verremo trattati come degli appestati quando tutto finirà, o che la gente ce l’avrà con noi”. Questo mi ha colpito molto perché sul set, mentre facevo training ho visto proprio il loro modo di comportarsi con i pazienti e la loro empatia era sconvolgente».
Dai molta importanza alle tue radici, non a caso nel 2018 hai portato a teatro un monologo intitolato Verso Sankara, dove hai unito cronaca e auto-biografia per calcare le orme del presidente del Burkina Faso degli anni ’70 e ’80. Che esperienza è stata?
Alberto Malanchino: «Io sono di origini italoburkinabé, ma solo di origini perché sono nato a Milano e culturalmente sono italiano. Sono un italiano dalla pelle nera, quindi la cosa interessante è che mi sono interfacciato con una identità e delle radici che ho conosciuto poco, per via del mio percorso umano.
La cosa bella è che sono riuscito a fare ritorno in quella che è la mia seconda casa mischiando il lato cronatistico del Burkina Faso dal punto di vista degli amici, parenti, conoscenti, ex ministri e di Thomas Sankarà che è stata una figura rivoluzionaria del sistema politico africano.
Posso dire che è stato il panafricanista per eccellenza che nel giro di una manciata d’anni è riuscito a cambiare le sorti e il sistema del Burkina Faso, facendo arrivare i vaccini, riuscendo a riformare la scuola, lottando contro l’infibulazione. Penso sia stato fondamentale non solo per lo sviluppo del Burkina ma dell’Africa intera. Poi come tutti i grandi sognatori è stato fermato e quindi adesso c’è tutta una dinamica d’inchieste attorno al suo ex amico, nonché braccio destro ed ex dittatore del Burkina Faso, come mandante del suo omicidio. Ma qui la questione diventa di carattere geopolitico.
Come è stato portarlo a teatro?
A. Malanchino: «Abbiamo portato il monologo al teatro Franco Parenti, e siamo in contatto col teatro per riproporlo. É piaciuto molto perché è uno spettacolo che parla del Burkina Faso ma è anche un racconto di un ritorno a casa e alle proprie origini. Dunque, in generale la cosa che più mi ha fatto piacere è stato ricevere complimenti e messaggi di stima da ragazzi afro, discendenti o comunque di seconda generazione e anche di Italiani che dal sud Italia che sono venuti a Milano; tutte persone che si sono ritrovate nella storia. Poi, per quanto riguarda la ricerca rispetto al Burkina Faso è tutto ancora in corso anche perché vorremmo riproporre Verso Sankarà ma anche Verso Sankarà 2, un sequel, un’evoluzione che si basa anche su eventi attuali».
Sei stato in Burkina Faso?
Alberto Malanchino: «Sì, ci sono stato per fare ricerca due anni fa, sono stato lì un mese circa. Poi ci sono stato più volte quando ero ragazzino. Ho anche dei parenti lì».
Nonostante la tua giovane età, di esperienza ne hai fatta: qual è il ruolo che ti è piaciuto interpretare di più?
A. Malanchino: «Quello interpretato in Easy living è tra i miei ruoli preferiti perché lavorare con Orso Miyakawa e Peter Miyakawa è stato importantissimo. Sono molto legato ai personaggi che interpreto perché sento l’esigenza di innamorarmi per far bene il mio lavoro. Poi ci si innamora dei progetti e tutto mi regala tanto. Anche Doc mi ha dato una grande opportunità perché mi ha dato modo di farmi conoscere meglio e di più».

Il 2020 oltre che per il Covid verrà ricordato anche per George Floyd e le marce del movimento Black Lives Matter. Pensi che qualcosa stia cambiando nella rappresentazione delle persone di colore in Italia?
A. Malanchino: «Sì, anche perché intanto ci stiamo riappropriando di termini e modi dire, mi sento di dire che vedo meno tabù nel parlare delle persone di colore. Secondo me questa è una cosa molto importante perché penso che il primo passo di un educazione collettiva arrivi dalla parola. Quello che mi auguro è che tutto non finisca in una bolla mediatica destinata a scoppiare».
Hai mai temuto di finire a interpretare solo determinati ruoli a causa delle tue origini?
A. Malanchino: «Io faccio un mestiere difficile sotto questo punto di vista: da un lato il pubblico ma anche chi ti sceglie per i progetti tende ad accomodarsi su scelte che sono già state fatte. Quindi non è solo un discorso di colore della pelle, è un discorso di peso, sesso, caratteri, che ti portano ad avere a che fare con un certo tipo di ruoli, pur sapendo che hai un ventaglio di tecniche che ti permetterebbero di interpretarne altri. Tornando alla tua domanda, può succedere ma fortunatamente non è ancora accaduto. Mi fido molto della mia agenzia, stiamo costruendo un rapporto molto forte».
La pandemia ci ha bloccati fisicamente ma non mentalmente: dove vorresti essere oggi se potessi?
A. Malanchino: «Se non ci fosse la pandemia mi andrebbe bene anche solo uscire di casa, prendere la macchina e andare dove mi pare senza guardare l’orario e dover tornare entro le 22. Se proprio devo sognare voglio andare a New York, perché voglio fare dei workshop, dei laboratori e imparare».
Ti faccio una domanda ironica: Meglio Netflix, il cinema, la Rai o il teatro?
A. Malanchino: «Questa non è una domanda ironica, è una domanda da 1 milione di dollari. Facciamo così: meglio dove c’è la qualità. Questo è il mantra che cerco di portare sempre nei progetti che faccio. Alla fine io mi do sempre, la tecnica cambia tra teatro e cinema, però di fatto quello che conta è il messaggio che vuoi mandare e a quante persone arriverà».
Summertime 2 l’avete finito?
Alberto Malanchino: «Sì, l’abbiamo finito ma non posso dirti quando andrà in onda».

Film e serie preferita?
A. Malanchino: «Io guardo molte serie ma devo darmi una calmata perché divento dipendente e poi non lavoro. Una che mi ha preso tantissimo è stata Peaky Blinders, infatti sto aspettando la nuova stagione. Poi, durante il primo lockdown ho rivisto Madmax e adesso sto vedendo American Goat. La trovo super interessante perché racconta uno spaccato dell’America di oggi tenendo anche conto delle sue ferite profonde come la schiavitù e la segregazione ma in chiave fantasy».
E che musica ascolti?
A. Malanchino: «Io sono un bassista mancato, porto sempre con me il basso. Quindi vario dal Metal al blues. Col tempo ho educato il mio orecchio alla musica rap. Ma ascolto di tutto perché la musica è fondamentale per me, non ricordo un momento senza musica».
Allora consigliaci un disco, o qualcosa da ascoltare
Alberto Malanchino: «Ultimamente ho ascoltato più rap quindi mi viene di dirti Damn di Kendrick Lamar, che con questo disco ha vinto il Pulitzer, ed è stato il primo ad averlo vinto. E poi Persona di Marracash, un vero e proprio disco di poesie in barre. Un capolavoro!»
Dove potremo vederti prossimamente?
A. Malachino: «Non posso svelarti molto, però posso diri che c’è un camice che mi aspetta».