Benvenuti nella nostra rubrica Monday Vibes, dove le sensazioni più intime e personali vengono raccontate attraverso la musica e i suoni che possono cambiare il vostro e il nostro lunedì. Apro parentesi, forse il giorno più tragico dell’intera settimana sia che tu sia uno studente, un lavoratore, un uomo di famiglia o una casalinga. Le Monday Vibes devono racchiudere in determinati pezzi molte sensazioni che facciano circolare il sangue nelle vene senza intoppi. Voi avete un brano preferito del lunedì mattina?
Io personalmente no! E appena mi sveglio ne ricerco qualcuno come un ossesso.
Questa volta volevo restare a Londra dopo aver assimilato a pieno il suono di Oscar Jerome e ci sono riuscito.
Le nostre Monday Vibes arrivano da un palazzone di Alma Estate a Enfield, nel nord di Londra. L’appartamento che le sprigiona è quello di Loraine James.

Julius Eastman scomparve nel maggio del 1990 e nessuno se ne accorse. Minimalista in tutto e soprattutto nelle composizioni. Precipitò nel tunnel della povertà, della droga e forse nell’Aids ma quest’ultimo non è mai stato confermato del tutto. Eastman all’epoca non fu l’ultimo, nello stesso periodo, altri pionieri di questo suono sono Arthur Russell e Walter Gibbons che purtroppo fecero la stessa fine.
Questo Monday Vibes ha proprio il suono della musica di Eastman ma di lui poco ci è rimasto se non artisti che lo ricollegano a lui come John Cage, Rhys Chatham, Steve Reich e Morton Feldman.
Maestra di scuola prima ancora che musicista, Loraine ha una storia sonora lenta ma paziente e lungimirante.
Sotto l’etichetta Hyperdub, Loraine ha sempre creato trame spigolose in Idm ma il suo pentagramma non si è mai fermato nella dance. Whatever The Weather ad esempio è una connessione col fratello dello stesso Eastman che le offrì un’opportunità inedita: l’accesso diretto all’archivio, per creare una propria visione della musica di questo maestro scomparso.
La musica di Loraine James spesso sembra sul punto di precipitare nel caos. I ritmi in competizione non sono sincronizzati e lanciano scintille mentre raschiano i sentimenti dell’anima.

Le linee rette si piegano senza preavviso e le superfici lisce si scheggiano.
Scenario perfetto per un lunedì.
Piuttosto che conformarsi a una griglia ritmica perfettamente efficiente, i ritmi elettronici londinesi si contraggono e singhiozzano, come se fossero guidati da un clock MIDI andato in tilt.
Prendete ad esempio The Perception of Me: nell’originale Crazy N*, quattro pianoforti rimbombanti si alzano e si attenuano in modo imprevedibile, le tempeste e le dosi di tonalità romantiche che si accumulano suggeriscono ogni sorta di emozioni, alcune funeste, altre potenzialmente esilaranti. Ascoltarlo è come guardare una nuvola temporalesca in movimento. Tempo incerto che o si disperde o si scatena sopra la testa. Il pezzo di James elimina quelle tensioni armoniche mutevoli, generando con i suoi toni di synth in uno spazio freddo e pulito in cui la contemplazione sembra un processo privo di attriti.
Il suo ultimo EP dal titolo I DM U contiene solo tre brani ma ognuno di questi ha una forte identità sonora. Ci ritroviamo finalmente, come ad ogni sua uscita, davanti ad un’artista originale come non ne passano più ormai in questa vita.
Tirando le somme comunque vi posso dire che il suo suono è una pietra miliare emozionante, sopratutto per un EP che rifiuta di seguire le regole di chiunque altro.
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