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Hamburger, Burghy e fast food a Milano

Se ne sentono di tutti colori per la chiusura del McDonald’s di piazza San Babila. Si sentono belati e latrati di chi lamenta l’avidità dei proprietari degli immobili del centro, come se avessero sfrattato una opera pia, un ente benefico. Non una multinazionale che disbosca porzioni di Amazzonia grosse come l’Austria con sfratto immediato di tribù di Yanomami, Guarani, Kawahiva, solo per dirne alcune, per fare spazio a vacche a vagoni. Chi bela e latra per la chiusura sono poi quelli che si nutrono di cose iper-healty-bio-km0 e da sempre odiano i McDonald’s, gli hamburger e i fast food tout court. Sono i presidiatori dei presidi territoriali alimentari.

Il problema è che il fast food in Italia è stato preso dal verso sbagliato fin dall’approdo dei primi hamburger.

L’hamburger, fino al 1970, era la svizzera che era una polpetta schiacciata, di sola carne, che si comprava dal macellaio. Si cuoceva e mangiava in casa e non in mezzo a una michetta. Non potevi mangiare un panino con la svizzera al bar. Tutt’al più potevi ordinare una svizzera in trattoria, ma in trattoria comandava la polpetta classic. 

Arrivarono, così, gli anni ’80, che per l’Italia sono stati i veri anni ’50… per la Milano da bere furono una versione pimpata degli anni ’50. Tra Zundapp, Pajero e Cagiva e Tenerèe, Video Music e Walkman, Big babol e Drakar Noir, aprì anche il primo fast food: il Burghy. Un side project  dei supermercati GS (Generali Supermercati) del Gruppo SME.  

Il Burghy fu il primo fast food. Si vendevano solo panini mollissimi e multi-strato. All’interno c’erano pessime svizzere ed erano multi-farciti: salse+insalata+cetriolo+pomodori+salse bis. Venivano serviti accompagnati da Milk Shake (frappè giganti) su vassoi di plastica che poi dovevi svuotare da te negli appositi parallelepipedi. L’ambiente era ultraneon&super-colorato, con icone di modelli di hamburger retroilluminate. Altroché le, da poco esistenti ,paninoteche con il panino francesino speck+brie+salsa rosa (che pure terrà botta per tutti gli 80’s!)

Oggi siamo abituati a tutto questo, ma il fast food fu uno shock culturale. Furono una novità gastronomica che non venne presa mica troppo bene. Diventò, però, subito trendy au go-go tra i teen ager e chi non voleva sembrare nonno castoro.

Molte subculture (bande per il Corrierone) si trovavano davanti ai fast food che, nel mentre, proliferavano con diversi brand. Il Quick in Corsia dei Servi era il punto d’incontro degli hip-hopper, che provavano la break dance. Il Burghy – che fu l’avamposto principale ed il capostipite dei fast food in Italia – di San Babila era il ritrovo dei Paninari. L’Italy&Italy in via Torino dei Rockabilly. Wendy, angolo Santa Sofia con Corso di P.ta Romana, dei punk e via discorrendo…

I giovani adoravano i fast food e, in effetti, anche i meno giovani e i non giovani. D’altronde, siamo nel Gran Milàn, dove il nuovo lo si accetta e la velocità del lunch è ben vista. Tuttavia, il fast food come concetto funzionale non venne capito. É da sempre sovrastimato o sottostimato, difeso ad oltranza o attaccato, che nemmeno le basi NATO con le testate nucleari.

Non è mai stato capito, tantomeno a Roma, dove Renzo Arbore, lo stilista Valentino, Giorgio Bracardi, Claudio Villa, Antonello Venditti si esibirono in una patetica baracconata di protesta contro l’apertura del Mc in Piazza di Spagna, nel 1986.

Dieci anni dopo Burghy chiuse. All’inizio della seconda metà dei 90s, infatti, venne sostituito dal colosso world-wide McDonald’s. Rilevò tutti i punti vendita di Burghy piantando la sua insegna con il doppio arco proprio come una bandierina del Risiko sugli hamburger d’Italia. 

Quando Mc Donlad’s arrivò a piantare le sue bandierine con il doppio arco senza più concorrenti su tutta la penisola, raggiungendo l’obiettivo del Risiko dei fast food, il fenomeno non era già più cool. Le sub-culture non si trovavano più davanti ai fast food. I Mc Donald’s Restaurant, quindi, iniziarono a essere frequentati da famiglie che, da lì a poco, gli preferiranno il ristorante dell’Ikea . Nel frattempo, gli orari a Milano si allungano nella notte e Il Mc cambia clientela, che è sempre meno cool. Di notte placa la fame chimica di guardie giurate, allnighter and raver, lavoratori notturni o insonni che portano a spasso il cane; homeless. Di giorno viene frequentato da autisti di BRT e nuovi italiani di origine latino-americana o filippina. 

Saranno proprio i nuovi italiani di origine latino-americana o filippina a rimettere i fast food – che siano McDonald’s o Burger’s King, al Risiko non c’è mai pace! –  nella loro giusta collocazione. A ridimensionare la allure dei fast food e valutarli per quello che oggettivamente sono: luoghi caldi o freschi, a seconda della stagione, dove si serve cibo veloce e magari non sano, ma appagante e dal gusto immediato! 

Loro  che sono cresciuti con i fast food nelle loro terre d’origine, subito colonizzate senza andare troppo per il sottile da U.S. (Uncle Sam), non li trovano seducenti ma familiari. Sono convenienti al punto da festeggiare i compleanni dei figli quando la stagione non permette allegri bbq nei parchi. 

Divorano hamburger e pollo fritto con appagamento e senza sensi di colpa, mentre gli ex Paninari, invecchiati, continuano a divorare hamburger, ma del tipo gourmet, che costano un mutuo e sono alti 11 inch e alla fine… diciamolo, gli hamburger sono quelli del Mc Donald’s e del Burger King!

P.S. Adesso che il Mc di San Babila ha chiuso i battenti e sgombrato le insegne: dove si troveranno per i loro nostalgici raduni periodici i vecchi paninari 60enni nelle loro griffate uniformi multi-color? Milano è una città poco adatta alle rievocazioni storiche e alla nostalgia, va troppo di pressia.