La notte prima del Kappa FuturFestival si è abbattuta su Torino la classica tempesta prima della quiete. La città bramava un po’ di sollievo dal caldo infernale di questi giorni. I fulmini che circondavano il mio aereo che mi riportava nel capoluogo piemontese mi sono sembrati la perfetta apertura per la vera tempesta musicale torinese.
Da adottato nella capitale sabauda, posso confermare come questo sia uno degli appuntamenti più attesi dai giovani della città. Torino si accende grazie al flusso di ragazzi e ragazze da tutta Italia e (soprattutto) dall’estero. Tutto questo conferma ancora una volta la voglia di staccarsi dalla vecchia immagine industriale ed esclusivamente operaia che le è stata appiccicata addosso per decenni.
Il Kappa FuturFestival è l’occasione per incontrare culture diverse da quelle a cui si è abituati.
Il ballare sui BPM elevati sono la voce per parlare ai piani alti della città. C’è un forte bisogno di interrompere i divieti per la movida e i tagli alla cultura. Torino per questo motivo sta tornando all’immobilismo più totale.
Proprio in ottica di rinnovamento, la location dove si svolge il festival è il suggestivo Parco Dora. Esteso per 37 ettari, fa parte di un progetto di riqualificazione che riconverte questo ex-complesso industriale, formato da cinque fabbriche, in un parco pubblico. D’altronde, dove altro si poteva svolgere un festival che ha come slogan di quest’anno: Remember the future.
GIORNO I – Un suono sublime sulla pelle
Questi pensieri mi distraggono un po’ troppo e quasi perdo la fermata, nonostante la musica si senta chiaramente dalla strada di Corso Umbria/Via Borgaro. Superato il Gate A, finalmente mi ritrovo sotto alla vecchia struttura di strippaggio delle Ferriere Fiat. Noto subito il palco principale ovvero lo Jäger Stage.
Nonostante l’abitudine, lo spettacolo che mi si para davanti ogni volta mi lascia sempre ammaliato. Un’ondata di colori si muove all’unisono al ritmo delle potenti casse dritte di Michael Bibi. Dentro di me mi sale una scarica di adrenalina che mi porta a gettarmi nel mezzo della folla, come Ja Morant quando attacca il ferro.
La voglia di ballare messa quasi da parte in questi due anni esce prepotentemente dai corpi di ognuno dei presenti. Bibi ci surfa in maniera magistrale.
L’appetito di rivalsa di questo ragazzo è tanta: è arrivato qui passando da anni di gavetta e di poca considerazione nei suoi confronti. La cosa mi stupisce sempre molto, in quanto ha uno stile centrato fortemente sulla tech-house, ma con accenni di jazz e soul. Il padre ha avuto evidentemente una forte influenza, essendo un chitarrista blues e di musica latina.
La prima mezz’ora vola via in un attimo e per me è tempo di cambiare palco: si passa al Futur Stage, dove in console si presenta il francese Nico Moreno. Personalmente non le conoscevo, ma è stata una piacevolissima scoperta: il dj dall’influenze industrial techno è forse la persona che balla più di tutti, trasmettendo un’energia a mio avviso inarrivabile per gli altri performer. Non che i successivi artisti che hanno calcato il palco più caldo della manifestazione siano stati da meno.
Dopo Moreno sono saliti i FJAAK, duo berlinese della corrente deep house ed industrial techno, a cui aggiungono delle influenze di U.K. garage, dub ed hardcore. Basta dire che per colpa loro i pompieri hanno dovuto spegnere i bollenti spiriti con un bel getto d’acqua rinfrescante.
Dopo i tedeschi, è stato il turno di I Hate Models, co-MVP del Futur Stage.
Il francese sembra posseduto dietro la console, mixando con rabbia la sua musica fatta da componenti che spaziano dalla techno all’acid, passando anche per l’industrial. Impossibile avere un attimo di tregua quando c’è lui on the stage.
Non che io sia rimasto esclusivamente a quello più lontano della manifestazione. Ricordando che i palchi sono ben quattro, la curiosità mi spinge a dirigermi al Latz stage, dove una in formissima Chelina Manuhutu sta letteralmente dominando la scena. L’artista di Amsterdam, attualmente trasferitasi ad Ibiza, corre forte sulle casse grazie alla tech house. Momento top: il suo remix di “Family affair” della regina Mary J. Blige.
Un peccato non ci fosse molta gente ad ascoltarla.
Resto lì un bel po’, fino a quando è il momento di tornare al palco principale per un’artista che non ha bisogno di presentazioni: Boris Brejcha.
Una lunga e quasi ambient introduzione fa da inizio al suo set, fino a quando non lo si vede comparire da sotto la console con indosso la sua caratteristica maschera ed incendiare la già trepidante folla col suo stile “High-Tech Minimal”. Essendosi sempre definito più un producer che un DJ, non stupisce che i suoi live siano composti da tracce della sua discografia, in particolar modo quelle dell’ultimo lavoro, “Space Diver”; cosa che può piacere o meno, non sta a me deciderlo.

Il set dell’artista tedesco dura due ore, poi alle 21 è il momento del mio favorito del giorno: Kieran Hebden aka Four Tet.
Nel caso non le conosceste, come punizione vi tocca ascoltare tutta la discografia di un artista unico nel suo genere, che fonde diversi generi come l’indie elettronica, la dance, l’house, l’hip hop, ha remixato l’intero album dei Madvillain, giusto per dire e l’IDM.
Devo essere sincero, avevo paura che un festival come il Kappa FutureFestival non fosse qualcosa di adatto a lui, ma ovviamente mi sbagliavo: il nativo inglese non si snatura affatto e remixa magistralmente pezzi provenienti da “Sixteen Oceans” ad altri non suoi, rendendoli fruibili anche per il pubblico che normalmente frequenta il festival techno-based torinese. Ancora una volta, mi devo levare il cappello davanti a Mr. Hebden.
Nonostante la profonda stima nei confronti di Four Tet, non mi lascio sfuggire l’occasione di andare al Dora Stage a farmi scuotere dai ritmi africani de HHY & The Kampala Unit. Collettivo di punta della Nyege Nyege Tapes, label nata con lo specifico scopo di dare risalto ai giovani africani, seguono diverse correnti come la dub, la techno ed un pizzico di trance. Il tutto accompagnato dalla tromba in live, che non fa mai male.
Approfitto di una rapida sosta in uno dei numerosi punti bar e sento in lontananza dei tipici suoni della musica spagnola, con trombe squillanti e chitarre classiche dal ritmo cadenzate e veloce.
Capisco subito che al Latz stage del Kappa FuturFestival c’è Wade. Lui è letteralmente esploso a livello di popolarità negli ultimi anni. D’altronde, dopo un mix di flamenco e tech-house, chi si aspetterebbe sentire un remix di “Still D.R.E.”? Assolutamente unico.

Il day 1 si avvia verso la conclusione e decido di sdoppiarmi. Inizialmente, vado ad ascoltare l’olandese Reinier Zonneveld. Partito dal suonare pezzi classici al piano, ha continuato su questo genere fino a quando, all’università, non si è trovato coinvolto nei primi rave.
Da quel momento è stato totalmente rapito dalla musica elettronica, diventando la sua ossessione. Non stupisce, quindi, come abbia scalato in fretta le classifiche di apprezzamento a livello mondiale: merito della sua visione unica della techno, che spazia da pezzi melodici fino alla potente warehouse acid techno. Fidatevi, i bassi di Reinier facevano tremare la terra.
Dopodiché è stato quasi obbligatorio andare ad ascoltare forse l’artista più attesa di questo primo giorno del Kappa FuturFestival: la coreana Peggy Gou.
Non penso che ci siano bisogno di presentazioni o di descrizioni oniriche della sua musica, visto che tutti noi abbiamo ascoltato anche per caso una traccia tra “Starry Night” o “I Go”. Sono stato molto impressionato dal suo modo di saper “controllare” la folla e da come abbia dominato il palco.
GIORNO II – Senza il Kappa la vita sarebbe un errore
Il sabato è sicuramente il giorno più atteso e per questo è anche il più affollato.
A farne le spese, sono stati i poveri sfortunati tra cui il sottoscritto che dovevano accedere al gate B, costretti a fare più di due ore di fila sotto il Sole di Luglio. Sicuramente tra le cose da rivedere per l’anno prossimo sono la divisione e l’attuazione degli ingressi al festival, in quanto all’ingresso A si riusciva a passare in circa una ventina di minuti.
Mi preme comunque sottolineare come l’organizzazione sia prontamente intervenuta e già il giorno dopo la situazione è ritornata nella norma. Riuscito nell’impresa di entrare non fradicio di sudore, corro a sentire un’artista che aspettavo da un po’: Derrick Carter.
Mostro sacro dell’ambiente musicale, se non lo conosceste è meglio che non vi presentiate ai cancelli del festival.
Il nativo di Chicago, qui al Kappa FuturFestival, dimostra ancora una volta di saperci fare sul palco.
Il suo stile che fonde techno/elettronica ai pezzi funk, old-school disco, soul e jazz è inconfondibile.
Non a caso, è uno dei dj preferiti dai cultori del genere.
Il tempo purtroppo corre e dal main stage si sente potente la musica di un’artista in forte ascesa: Diplo. Il tre volte vincitore di un Grammy non ha certo bisogno di presentazioni dato le innumerevoli hit che ha collezionato nel corso degli ultimi anni. Ad un set di pura house, ci sono stati anche i momenti per remix di altri pezzi, come nel caso di Pon de replay di Rihanna. Tutto sommato, un buon set, ma non all’altezza dell’importanza che si porta dietro. Mi sarei sinceramente aspettato qualcosa in più.
Rimango allo Jäger perché è il momento di fare spazio ad ormai un ospite fisso, più che apprezzato. Sto parlando di Solomun, artista più che conosciuto nell’ambiente grazie alla nomina nel 2013 di “DJ dell’anno” e del suo set per Boiler Room tra i più visti su YouTube. Vera chicca di questo Kappa FutureFestival. Infatti non avevo dubbi che il dj bosniaco-tedesco riuscisse anche questa volta a far ballare tutti e così è stato. Impossibile non muoversi al ritmo della deep house che fa uscire dal mastodontico impianto del palco principale.
Al Kappa FuturFestival però il ritmo è serrato se vuoi farti una panoramica degli artisti.
Sono “costretto” quindi a lasciare il buon Solomun ed a dirigermi al Futur Stage per un duo che sentirò live per la prima volta: i Tale of Us. La loro storia parte da lontano, essendo originari uno di Toronto e l’altro di New York ma col destino in comune di essere tornati nello Stivale sin da piccoli. Incontratisi a Milano, si crea una connessione musicale che li porta ad essere una mosca bianca nel panorama della musica dance. Se avete la possibilità di vederli dal vivo, sono assolutamente consigliati.
In netta contrapposizione al loro stile, dall’altra parte del parco suona uno dei più famosi dj dell’ambiente, nonché una delle figure più importanti per quanto riguarda la minimal techno: Ricardo Villalobos. Nonostante sia cresciuto in Germania, il fatto che sia nato in Cile si nota dalle influenze che porta all’interno della sua musica. Villalobos è sicuro sul palco e ciò scaturisce in una performance da sufficienza piena ma senza particolari picchi.
Ammetto di rimanere poco presso il Latz stage, soprattutto perché al Dora sta per chiudere il set una delle mie dj preferite: Honey Dijon ha avuto come maestri lo stesso Derrick Carter e Danny Tenaglia (presente il giorno dopo). L’artista di Chicago ha sempre avuto un posto nel mio cuore sia per la scelta di suonare principalmente in vinile che per il suo stile, ovvero un mix di house e techno con influenze soul e RnB. Sono felice di trovarlo qui al Kappa FuturFestival e per me, una delle migliori performance della seconda giornata.
Mi trasferisco al palco principale per sentire Jamie Jones in B2B con i The Martinez Brothers. La nuova guardia della dance music globale si fonde in questo trio sperimentato più volte e si sente: i tre artisti si alternano in maniera magistrale alla console, dando vita ad uno spettacolare live al suon di house e techno.
Il momento migliore della performance sicuramente quello in cui Jamie Jones si è buttato un remix di “Sweet Dreams”. Forse è stato il set in cui mi sono divertito di più, rimanendo piacevolmente sorpreso dallo show messo in piedi da questi djs.
Anche la seconda giornata sta svolgendo al termine e decido di fare come il giorno prima. Inizio dai Pan-pot, duo tedesco famosi per la loro techno dai suoni oscuri e cupi. Conoscendoli, non sapevo come avrebbe reso sul palco del Kappa FuturFestival, ma hanno dimostrato la loro versatilità, dimostrando intelligenza nel capire ciò che volesse il pubblico ma seguendo comunque il loro concetto di musica. Mi ha stupito molto la scelta di usare comunque produzioni con forti elementi di strumenti “classici” come il piano, a cui si univano degli imponenti bassi. Uno show sicuramente degno di nota.
Avevo voglia e curiosità di ascoltare l’artista in chiusura allo Jäger Stage, ovvero Carl Craig. Coadiuvato ai tasti da Jon Dixon, Craig dimostra tutto il suo talento nell’unire la musica techno a quella classica, visione che porta avanti da alcuni anni ormai e che riesce alla grande nel suo intento. Non ho molto altro da dire sul suo live, se non che è stato di un’eleganza regale.
GIORNO III – Chiusura Da Panico!
Come detto in precedenza, i patemi per la fila questa volta sono molti meno ed in mezz’ora sono ad ascoltare i Solardo. Facenti parte della corrente della tech house, gli inglesi fanno uno show che non brilla per originalità. Un live per quanto mi riguarda assolutamente passabile.
D’altronde, sul Futur Stage è tempo di Enrico Sangiuliano.Il reggiano mi è sembrato carico e contento di esibirsi di nuovo al Kappa FuturFestival dopo il suo set di successo nell’edizione del 2019. Pur continuando il suo percorso musicale basato sull’evoluzione di un concept da cui sviluppare interamente i suoi lavori, non mancano i rimandi al passato da figura di riferimento dei rave italiani, spaziando in maniera sicura tra i vari sottogeneri che caratterizzano la sua musica come la psytrance e la minimal techno.
Abbandono i BPM alti emessi dall’impianto del Futur Stage per dirigermi al Latz, per vedere per la prima volta live Pawsa. Il dj di base a Londra è stato influenzato nel corso della sua carriera dalla deep house con delle percussioni predominanti, uniti a campioni vocali. Adesso il suo stile è più caratterizzato da suoni minimali e samples distorti, ma durante il live ci sono stati momenti in cui è stato possibile ascoltare anche un mix di hip-hop e di house. Un bellissimo set, assolutamente consigliato per il futuro.
L’afa ed il caldo mi portano a ripararmi sotto la tettoia e ad ascoltare il prossimo artista: Mathew Jonson. Il canadese non riscuote molto successo, forse per lo stile minimale che lo contraddistingue.
Lo show non è di quelli dai ritmi elevati, ma è stato comunque apprezzato dal sottoscritto. Un forte contributo l’ha sicuramente data la voce di Isis, splendida al microfono.
Dopo di lui, si esibisce l’attesissimo Fisher. Salito alla ribalta grazie al suo brano “Losing it”, il dj tende a chiarire due cose:
- E’ felicissimo di essere al Kappa FuturFestival ed attendeva questo momento da 10 anni. Lo si può notare da come salta e balla a tempo con il pubblico, salendo addirittura sul tavolo per incitare ancora di più la folla.
- Conferma che limitarlo al solo brano “Losing it” è un errore da principianti. C’è spazio di tutto nel suo set: pop, deep house ed anche la samba. Una bella proposta di generi, mi ha piacevolmente sorpreso. Bravo, Fisher!
Si entra nel vivo dell’ultima giornata e chi poteva dare l’avvio se non Joseph Capriati?!
Punta di diamante del panorama dance italiano, l’originario di Caserta non delude e conduce un set di pura techno. Non rimango molto presso il suo stage, sia perché avrò la possibilità di ascoltarlo anche dopo, sia perché al Dora si sta per esibire uno dei dj più particolari dell’ambiente: Motor City Drum Ensamble. La sua è una house che si potrebbe definire retrò, in quanto fatta di continui richiami al passato, basandosi per la maggior parte sulla black music. Personalmente è una delle mie preferite e il tedesco mi fa rimanere assolutamente felice del suo spettacolo.
A fargli da contraltare, dopo di lui si esibisce Helena Hauff, conosciuta per i suoi live decisi e senza fronzoli. Le casse sputano una techno martellante, oscura e grezza, che sembra traslare in musica l’energia della performer tedesca. Se cercate qualcosa di puro nell’ambiente techno, lei è sicuramente una risposta alla vostra domanda.
Come scritto nella parte dedicata ad Honey Dijon, torno a muovermi per ascoltare allo Jäger una delle colonne portanti della techno anni 80/90: Danny Tenaglia. In uno show che dura due ore e mezzo, il sessantenne (!!!!) da Brooklyn ha l’arduo compito di chiudere l’edizione 2022 dal main stage. Nonostante il volume delle casse sia stato ridotto, Tenaglia dà vita ad un live dove ripercorre e mischia tutte le correnti che lo hanno influenzato nel corso degli anni, ovvero Soul, RnB, musica Latina, Samba ed ovviamente Disco.
Non potevo, però, esimermi dal chiudere il mio Kappa FutureFestival andando ad ascoltare IL mostro sacro della musica house/techno: Mr. “Oh yes, oh yes!” Carl Cox. In uno spettacolo dove da “assistente” c’è Capriati, Cox dimostra ancora una volta perché viene considerato il vero re della scena dance mondiale. Guardandomi intorno, vedo le persone che non aspettano altro che il drop ad alti BPM del dj inglese. I due artisti e la folla sembrano unirsi in un tutt’uno a tempo di musica, creando un’energia strabordante. L’edizione 2022 del Kappa FuturFestival si chiude con questa immagine che mi rimarrà impressa nella mente.
Note A Margine
Vorrei riassumere in maniera totalmente sincera la mia esperienza da “semplice” fruitore del festival. Come in ogni cosa, ci sono stati tanti aspetti positivi ma anche negativi.
Cosa mi è piaciuto
Come detto all’inizio dell’articolo, il Kappa FutureFestival che genera una trepidante attesa per l’edizione successiva non appena finisce quella in corso. I motivi sono plurimi e semplici (quanto non scontati):
- La location del Parco Dora, unica nel suo genere. In grado di ospitare una grande quantità di persone e permettere a chiunque di godersi il festival come meglio crede, sia sotto cassa che più dietro dove si ha più spazio;
- La scelta della line-up del Kappa FuturFestival. Mi è piaciuta molto la scelta di dare spazio praticamente a qualsiasi corrente della musica dance/elettronica. Ciò ha garantito a tutti i partecipanti di poter ascoltare quello che ritenevano più consono ai propri gusti;
- L’energia del festival. Come ho già avuto modo di esprimere in privato, ciò che più mi piace di questo evento è la carica e la connessione che si crea tra degli sconosciuti in un evento del genere. Persone provenienti da qualsiasi nazione sono più che disposte a creare un legame con chiunque. Ho personalmente ballato e parlato con ragazzi e ragazze che forse non vedrò mai più, ma forse è questo lo scopo del Futur, no?
- Lo staff presente ai vari stand. Pazienti, pieni di energia, sempre gentili nonostante le ore al caldo e le persone non sempre cordiali quanto loro. Forse i veri MVP della manifestazione.
Cosa non mi è piaciuto
- La lunga attesa per entrare. L’ho già scritto prima, ma mi duole rimarcarlo. Non si può far aspettare due ore o più la gente sotto il sole senza assistenza e, soprattutto, mentre nell’altro gate la fila erano soltanto di venti minuti. Il problema è stato risolto già la domenica, ma bisogna rivedere l’organizzazione degli ingressi per il prossimo anno;
- La terra. Nella descrizione delle giornate, non vi ho riportato che tre stage su quattro erano su di un prato ormai incolto, dominato totalmente dalla terra arida. Ciò ha causato diversi problemi: il respirare tutta quella quantità di polvere non ha certo giovato, oltre ad avere la vista alcune volte ostacolata dalla stessa.
Suggerirei di provvedere in qualche modo a risolvere questo enorme problema, usando forse dei tappeti di erba sintetica; - I costi elevati degli stand. Se sul mangiare i prezzi erano in linea su quanto mi aspettassi, sul bere devo dire che sono rimasto un po’ deluso. Tralasciando il fatto che in tutti i festival si è visto un aumento dei costi per bere, a mio parere credo sia eccessivo far pagare una bottiglietta d’acqua 3 euro, in particolar modo durante una manifestazione che si svolge per lo più durante il giorno a temperature molto alte. Anche i cocktail non sono stati da meno, aggirandosi intorno ai 12 euro. Forse leggermente troppo…
In definitiva
Dopo aver intrapreso la maratona di tre giorni della manifestazione, nonostante i pregi ed i difetti della stessa, il Kappa FuturFestival è un festival che consiglierei ad occhi chiusi a chiunque, anche a chi non è strettamente un fan della musica techno/house/dance. La musica è paradossalmente la componente meno importante della rassegna, in quanto paga dazio alle connessioni che si creano fra sconosciuti e che sono probabilmente i veri ricordi che restano nella mente e nel cuore di ognuno dei partecipanti.
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