Kendrick Lamar ritorna dopo cinque anni dall’uscita del suo ultimo album. In gergo losengeleno vi direbbero che è un: a fuckin’ kickback in triple fuckin’ A.
La lettera A, in molte zone della città la usano come segno di apprezzamento elevato verso qualcosa. Ad esempio: «questo liquore è pazzesco ed è fottutamente da tripla A».
Domenica scorsa ha pubblicato un singolo seguito da un video intitolato The Heart Part 5. Il pezzo chiude, forse, il cerchio di una saga di brani che aveva iniziato quasi dall’inizio della sua carriera. Nel video mentre rappa il suo viso si trasforma realmente nei volti di Kobe Bryant, Nipsey Hussle, O. J. Simpson, Kanye West e Will Smith. Kendrick nel brano ha un flow serrato su una traccia strumentale che riprende I Want You di Marvin Gaye.
Il video invece è stato diretto da Dave Free e Kendrick ma un ringraziamento speciale va ai creatori di South Park Matt Stone e Trey Parker. Sono loro che hanno creato nel video la tecnica deepfake, la sintesi dell’immagine umana usata per combinare e sovrapporre immagini in video che diventa reale. Guardare per credere.
Kendrick Lamar in tutto il brano affronta i mali, le ipocrisie e le dualità della cultura.
Nella strofa finale, Lamar affronta due giganti caduti di Los Angeles: Kobe Bryant e Nipsey Hussle. Il terzo verso sembra essere completamente il punto di vista di Nipsey, con battute come “Dovrei provare risentimento non ho visto il mio pieno potenziale”; dicendo alla sua famiglia che è “in paradiso” e rivolgendosi a suo fratello Black Sam, la mattina in cui è morto dicendo “Assicurati che i miei figli guardino tutte le mie interviste, Assicurati di vivere tutti i sogni che produciamo”.
Mr. Morale & the Big Steppers è il titolo del suo nuovo disco da poco apparso su tutte le piattaforme streaming del web. In tutte le tracce lui ci parla, come nel singolo d’anticipo, della comunità e lo slogan, I Am. All Of us incarna proprio questo spirito. La domanda fin dal primo ascolto è: lui portavoce di tutti noi? Da dove arriva luI, come può permettersi questo?? Ora ci arriviamo in dei piccoli e brevi step.
Un bravo ragazzo, in una città pazza con il termine “mad” in doppia A
A Los Angeles qui su RIS8 ci siamo stati già qualche volta (clicca qui). Ci siamo stati per raccontarvi la storia di Austin Peralta oppure quella di Flying Lotus e come vi abbiamo detto uno dei suoi soprannomi è The City Of Lost Angeles. Nella città degli angeli perduti esiste un quartiere che negli ultimi 30 anni se non di più ha segnato molto la comunità in cui viviamo e ci rapportiamo. Compton è un po’ come Brooklyn ma senza le cose positive o l’aspetto di quest’ultima.
Gli NWA ci sono cresciuti, Dr.Dre, The Game o le stelle del tennis Venus e Serena Williams, e molti attori come atleti del basket e del football hanno le proprie radici come Kendrick Lamar su queste strade. Nel suo libro Kendrick Lamar, from Compton to the White House, Nicolas Rogès spiega che il rapper sapeva stare alla larga dai demoni dei ghetti americani. Però a Los Angeles spesso accade che anche se stai lontano dai guai loro ti trovino a prescindere.
Conosceva i membri dei Pirus, un ramo dei Bloods, in particolare Show Gudda, il suo mentore. Fin da piccolo, quest’ultimo ha voluto proteggerlo, impedendogli di prendere parte a tutte le loro attività poco legali. I suoi amici gli dicevano: “Guarda cosa puoi fare con un microfono, hai cose più grandi da fare”.
Good Kid, MAAD City è proprio il titolo del suo secondo album, uscito nel 2012, in cui il rapper immerge l’ascoltatore nella sua storia personale e nella vita quotidiana di un giovane nero americano. L’album gli apre le porte della gloria con titoli come Bitch, Don’t Kill My Vibe o Money Trees . Ma nonostante il successo, rimane molto legato alla sua città natale. Ha persino ricevuto le chiavi dalle mani del sindaco, Aja Brown, durante una cerimonia nel febbraio 2016.
Kendrick Lamar non solo riabilita l’immagine della città con la sua musica, ma partecipa concretamente a rendere migliore la vita degli abitanti, soprattutto quella dei giovani.
Nel 2015 il rapper e la sua etichetta, TDE, hanno organizzato un concerto e distribuito giocattoli ai bambini per Natale, come riportato da MTV. Finanziano anche le sessioni del film Black Panther per mille ragazzi a Watts, quartiere famoso per le sue rivolte culturali a sud di Los Angeles. Organizza anche distribuzioni di materiale scolastico, ma rimane molto discreto sulle sue azioni, non pubblica nulla sui social o sulle riviste.
To Pimp A Batterfly di Kendrick Lamar è il disco che ha cambiato tutto. È un omaggio a To Kill a Mockingbird,
il romanzo di Harper Lee in cui un uomo di colore viene accusato di un crimine che non ha commesso.
Partendo dalla cover di Denis Rouvre questo disco è un pezzo di storia della cultura black e non solo. Tutte le tracce vengono considerata da tutto il mondo in egual modo, ossia in vetta a tutto. Questa terza opera, intrisa di jazz e di un discorso molto politico, porta a casa tutto: critica conquistata, pubblico convinto della sua causa e cinque Grammy per coronare il tutto, con successi come King Kunta o I.
Con questo disco, Kendrick Lamar entra in un’altra dimensione. È il simbolo di un periodo in cui il rap è finalmente considerato una forma di espressione legittima, per i suoi testi e per la sua risonanza sociale.
Da Black Panther al Pulitzer
Oggi Kendrick Lamar è unanime. La Disney lo scritturò per realizzare la colonna sonora del film Marvel Black Panther nel 2018, il primo blockbuster con un supereroe nero che mette in risalto la cultura africana e persino nell’ambiente intellettuale.
Nel 2018 il rapper ha ricevuto il prestigioso Premio Pulitzer per il suo quarto album, DAMN., diventando il primo artista, esclusa la musica classica e jazz, a vincere questo premio. È il Bob Dylan del rap e solo loro due sono entrati nel pantheon dove era proibito entrare con la musica.
Questa legittimità lo pone in prima linea all’epoca dei disordini scoppiati nel 2020, dopo la morte di George Floyd, ucciso da un agente di polizia. Kendrick Lamar non si esprime pubblicamente, dimostra. Soprattutto attraverso una delle sue canzoni, Alright, tratta da To Pimp a Butterfly, che funge da inno ai manifestanti.
Per la mia gente. Io sono. Tutti noi.
Avrò fatto abbastanza?
Io, Kendrick Lamar, avrò fatto abbastanza?
Ecco da dove arriva questo disco. Il nuovo album presenta una serie di importanti collaboratori come Beth Gibbons dei Portishead, Summer Walker, Ghostface Killah, Thundercat, Baby Keem, Sampha, Kodak Black e altri.
All’interno c’è la voce di Eckhart Tolle ripetutamente, l’insegnante e autore spirituale è il narratore di più canzoni in entrambi i dischi. La partner di Lamar Whitney Alford è accreditata come narratrice di We Cry Together, che presenta anche un campione di Florence and the Machine. Dentro ci troviamo anche le produzioni di: Pharrell, Duval Timothy, the Alchemist, Beach Noise, Boi-1da, Sounwave, Dahi, FNZ, J.LBS, Bekon e molti altri.
Partendo dalla cover veniamo introdotti in un linguaggio di comunicazione molto intimo. Un’immagine cupa scattata da Renell Medrano nella camera da letto dove Lamar indossa una corona di spine mentre trasporta un bambino il cui sguardo trafigge la telecamera.
Sullo sfondo, una donna siede su un letto sfatto con in braccio un bambino. Lamar, che ha una pistola ben infilata nei pantaloni, guarda fuori dalla finestra, come se fosse in allerta per le minacce.
Non vi sveliamo nient’altro, buon ascolto.
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