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Peter Cole e Sundek: onda su onda

Sono un fan della pagina Legendary surfers di Facebook. In coerenza con il titolo ci sono delle foto di vere leggende del surf, difficili da trovare in altri siti. Una foto che mi ha colpito in particolare è una vecchia pubblicità della Sundek risalente al 1979. Il soggetto è il leggendario Peter Cole.

É inginocchiato sul suo surfboard, sulla line up. Aspetta di prendere un’onda. In questa foto, Peter Cole ha 49 anni. Lo scatto è stato realizzato per una pubblicità della Sundek del 1979. Uscì, con buona probabilità, su Surfer e su Surfing e, a oggi, è vecchia di 43 anni, anche se può sembrare una foto attuale.

Osservando con attenzione e riflettendo su questa immagine di Peter Cole per Sundek si capisce perché è una foto d’epoca, oltre a comprendere molto del surf.

Peter Cole è una surf legend a tutti gli effetti, che vale la pena ricordare e far conoscere a chi di surf ne mastica poco. Nato nel 1930, a 14 anni si appassiona al surf sulla spiaggia di Santa Monica. Si sposterà poi alle Hawaii, a Waimea, dove diventerà un pioniere del big wave riding insieme a Pat Curren e Greg Noll ma, al contrario di quest’ultimo, che remava su onde da suicidio ad occhi chiusi per paura del take off,  è sempre stato un surfer attento e ponderato. Non ha mai sacrificato la sua attività professionale di insegnante alla scuola pubblica di Punahou dove, tra i suoi studenti, ebbe Barak Obama, Wlliam Finnegan, Jeff Hakman e Gerri Lopez. Al contrario dei suoi allievi divenuti celebri, però, non perdeva mai una lezione, arrivando, piuttosto, a lezione ancora con i capelli bagnati, dopo la surfata del down patrol.

É stato lontano dalle droghe, molto diffuse nel surf in quegli anni, e ha cercato di tenere lontano i suoi studenti e gli amici. Come abbiamo visto non era un tipo da copertina come Rick Grigg e Greg Noll o Miki Dora e, a parte qualche pubblicità per il brand di surfboard dell’amico Noll, non era assolutamente attratto dalla fama.

Nel 1979 il surf era molto cambiato dall’epoca a cui era legato nell’immaginario Peter Cole: erano trascorse tre ere.

Si era passati dal longboard allo shortboard, arrivando alle basi del surf moderno. Per rendere l’idea ai meno introdotti all’argomento, gli ascolti dei surfers erano passati dai Ventures ai Jethro Tull fino ad arrivare ai Dead Kennedys.

In quegli anni, nelle pubblicità dei boardshort con l’arcobaleno, iniziava ad avere il suo spazio un giovanissimo Kelly Slater grommet. Verrebbe, quindi, da chiedersi come mai i creativi di Sundek avessero scelto di usare come testimonial un Peter Cole 49enne, immortalato in posa statica, su un tipo di surfboard ormai poco in uso, con i capelli lunghi ma non certo folti.

Nel tennis, nel calcio e in qualsiasi altro sport, in quegli anni di espansione, con continui ricambi generazionali e, per questo, impermeabili alle nostalgie, nessuno reclamizzava racchette o palloni usando l’immagine statica di un personaggio, seppure fondamentale, datato. Banalmente, non lo facevano per non correre il rischio di associare il prodotto al passato, al non attuale, al sorpassato. Questo, in linea teorica, valeva anche per Sundek, che proponeva un prodotto tecnico e rivolto ai giovani.

Allora perché Sundek aveva scelto un 49enne?

Perché in quegli anni il surf era il surf e il resto non era un cazzo. Così, gli abili creativi di Sundek hanno creato questa stupenda pubblicità, che poteva essere interpretata a due livelli.

Il primo livello è l’involucro, la grafica, il lettering e i colori, che sono attualissimi, se non addirittura in anticipo di qualche anno rispetto a quel periodo storico. Anche i boardshort sono di quegli anni. La Sundek, infatti, è nata nel 1954 e, nel 1979, era una realtà consolidata da ormai 25 anni, lanciata in corsa verso il futuro. Quindi, anche i colori erano quelli del futuro, ma a fuoco a c’è solo Peter Cole: un surfer, non più giovane, un uomo senza sovrastrutture. 

In piccolo, tanto che un coetaneo di Cole avrebbe dovuto inforcare gli occhiali da presbite per leggere, a sinistra, sotto la foto, compare la scritta:

«Peter Cole, surfer, innovator and free spirit».

Dopo il nome e cognome non ci sono i due punti che servono a spiegare, ma una virgola che dà seguito ad altre virgole, dopo ogni parola, dando per assodato che si sappia chi sia l’uomo nella foto.

Basta Peter Cole in primo piano. Le scritte sono un messaggio secondario. Non è, però, un messaggio comune, rivolto a tutti come può sembrare a una prima occhiata; in realtà è il messaggio idiolettizzato all’interno del sistema comunicativo: da surfer a surfer. É un passaggio di testimone. C’è una continuità d’immaginario. Nell’innovazione continua del surf, sempre alla ricerca del futuro, c’è e c’era, indissolubilmente, l’heritage. Non è proprio inteso come passato o tradizione, bensì è considerato parte del presente e del futuro, come in una reincarnazione perpetua di un immaginario culturale specifico.

Non so se la foto sia di Leroy Grannis o di Jeff Divine, non sono riuscito ad avere conferme sufficienti a riguardo. Chiunque sia l’autore, in ogni caso, ha colto un’epoca e ha cristallizzato l’essenza del surf. La Sundek gli ha messo la cornice adatta e ha mostrato il quadro al mondo.

Oggi, di pubblicità così, non ne fanno più. L’industria del surf usa modell* decontestualizzati  dal surf e ricontestualizzati con immagini seppiate o super-filtrate, in stereotipi desueti e stucchevoli, dove il surf è buttato in un calderone, tra motociclette, fuoristrada, saluti al sole e schitarrate con falò in spiaggia. Un immaginario che intorbidisce e annacqua contemporaneamente. Fateci caso.