Paolo Pedroni è uno dei portavoce del Pop Realismo italiano, arte molto diffusa all’estero grazie a pittori illustri quali Mark Ryden, Ray Caesar e Robert Williams. Avete presente quel mondo che sembra una favola iper colorata, ma che se lo osservate bene nasconde un inquietudine o qualcosa di disturbante?
Lewis Carroll potrebbe esserne stato il capostipite seguito poi negli anni dal regista Tim Burton e dallo scrittore Neil Gaiman, solo per citare qualche nome. Oltre a dipingere Paolo è anche un tatuatore che ha sviluppato una tecnica tutta sua. Sulla pelle accantona il mondo in technicolor dei suoi dipinti e disegna solo con un nero tratteggiato, tanto che i suoi lavori sembrano fatti a matita. Lo abbiamo intervistato.
Sei un artista pittore e tatuatore quale delle due passioni nasce prima?
Paolo Pedroni: «La mia vera passione è il disegno, sin da piccolo avevo in giro matite e fogli più che giocattoli. Crescendo il disegno è diventato pittura e solo da tre anni ho cominciato a tatuare».
Pensi quindi che se uno ha una bella mano può disegnare con qualsiasi strumento? Perché dipingere su tela e tatuare sono due cose molto diverse…
Paolo Pedroni: «Assolutamente, ho imparato a dipingere al Liceo Artistico dove tra le materie c’è la pittura a olio e solo dopo diversi anni ho ripreso a farlo, ho un po’ dovuto imparare di nuovo ma avevo le basi e non è stato difficile. Per quanto riguarda tatuare posso dire che è una tecnica diversa da qualsiasi altra, hai una quantità di variabili che è molto più ampia rispetto a quelle della pittura su tela.

La pelle è viva e ognuno ha la sua, e in uno stesso corpo ci sono diversi tipi di pelle, quindi è stato abbastanza difficile imparare a tatuare, ma poi ho trovato la mia tecnica che consiste nel lavorare fondamentalmente senza linee, faccio solo sfumature e mi rifaccio a quello che potrebbe essere un tratteggio a matita, ma lo traduco con la macchinetta da tatuaggio».
A differenza della pittura non ti senti addosso una certa responsabilità a tatuare?
Paolo Pedroni: «L’ansia da prestazione! Una cosa che all’inizio avverti tantissimo, alla fine dei primi tatuaggi ero un bagno di sudore. Ma l’ansia che avverto di più è quella di migliorare, di dovermi superare di volta in volta».
I tuoi quadri sono pop surrealisti, iper colorati ma con un alone dark, mentre i tatuaggi sono strettamente il bianco e nero, è un modo per tenere separate queste due arti?
Paolo Pedroni: «Tatuare e dipingere sono due modi d’espressione completamente diversi, nel tatuaggio acquisendo esperienza ho trovato più confort nell’esprimermi solo con il bianco e nero perché come ti dicevo, il mio stile ricorda il tratto del disegno a matita che mi piace moltissimo e che nei quadri non posso mettere. Nei miei dipinti ho bisogno di creare atmosfera, un quadro cambia completamente se usi toni caldi o freddi, quindi per esprimere il concetto che sta nel dipinto ho necessità di avere una palette colori, mentre nel tatuaggio molto meno».
Cosa ispira i tuoi dipinti che hanno sempre un twist dark, penso ai tuoi ultimi lavori come la serie Sick Wishes che tra i protagonisti ha dei teddy bear con tanti occhi o con uno solo, quindi qualcosa di confortevole ma con un aspetto inquietante. E’ quasi come se sentissi la necessità di nascondere qualcosa dietro l’apparenza, è così?
Paolo Pedroni: «Diciamo che io mi sono sempre sentito diviso per quanto riguarda l’espressione artistica. Quando ero più giovane e inesperto o disegnavo una cosa super allegra, molto aggraziata e confortante, oppure disegnavo qualcosa di creepy, inquietante e super gore e non sapevo come unire questi miei due aspetti. Mi si è aperto un mondo quando ho scoperto il pop surrealismo, lì mi son detto ecco allora posso farcela anche io, è stato come avere un’epifania e ho così unito le due sfere che componevano il mio mondo».
Chi è l’artista del pop surrealismo che ti ha più influenzato?
Paolo Pedroni: «Sicuramente Mark Ryden».
I tuoi quadri sono quasi sempre popolati da creature femminili , anch’esse ipercolorate ma malinconiche e con lo sguardo vacuo, come mai?
Paolo Pedroni: «Innanzitutto perché le figure femminili sono più aggraziate e interessanti di quelle maschili, quindi è una scelta estetica. Per quanto riguarda lo sguardo perso e triste penso sia frutto del mio subconscio. Ti racconto un aneddoto, quando stavo iniziando a preparare i bozzetti per la mia ultima mostra Full of Emptiness, che si è tenuta lo scorso anno a Roma.
Mandai la bozza del quadro più grande, che dava il titolo alla mostra e che ha come soggetto un uomo e una donna, alla mia gallerista e lei mi disse: “Mi piace tutto ma farei i personaggi un pochino più allegri”. Io gli avevo già cambiato l’espressione più e più volte e quella che vedi nel quadro è la più allegra che sono riuscito a fare, tant’è che la gallerista mi rispose #sefossimocapacidisentimentileggeri. Non lo faccio apposta è il mio tratto naturale, un po’ come quando ti dicono che nelle foto non sorridi mai».
I tuoi quadri sono talmente precisi e reali che un occhio distratto potrebbe pensare siano fatti in digitale, ma in realtà sono dipinti, quanto impieghi a realizzarne uno?
Paolo Pedroni: «Dipende, dato che ne abbiamo appena parlato per realizzare Full of Emptyness che è un metro per settanta ho impiegato un anno, forse anche perché sono uno che si perde nei particolari, non riesco a buttar giù una cosa abbozzata, se comincio la devo definire. Credo sia proprio per questo aspetto che poi la mia pittura può sembrare come hai detto tu digital painting, perché è minuziosamente dettagliata. Ma forse anche perché prima di riprendere in mano la pittura ad olio avevo cominciato a sviluppare queste idee in digitale».
Cosa ispira maggiormente la tua arte pittorica?
Paolo Pedroni: «A volte basta una stupidata tipo una palette colori e mi faccio un viaggio mentale che mi porta alla realizzazione del quadro, altre invece è un po’ meno istintivo e riesco a vedere il concept mentre ci sto lavorando, poi parte una scintilla e ci costruisco il mondo sopra. L’ultima serie di cui abbiamo parlato prima è ispirata alla finzione dei social network, io l’ho travestita in stile kawaii tutta carina e colorata ma di base il concetto è quello».

Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Paolo Pedroni: «Al momento no, ma sto aspettando che la mia gallerista mi confermi la partecipazione ad una mostra collettiva di artisti italiani che si terrà l’anno prossimo a Tokyo e per l’occasione farò nuove opere anche se credo che rimarrò direzionato nello stile di Full of Emptyness».
La tua arte è ispirata da viaggi che hai fatto nella tua vita?
Paolo Pedroni: «Non credo, è più ispirata dai viaggi che vorrei fare, sono cresciuto con gli Anime giapponesi, mi ha sempre affascinato quel tipo di immaginario e di estetica e il loro folklore».
Che musica ascolti quando crei?
Paolo Pedroni: «Se devo dipingere devo mettere un sottofondo piacevole che non mi distragga, nulla di impegnativo. Quando tatuo in studio non decido io, a volte parte il death metal, altre l’hip hop anni ’90».