Maui and Sons (PREMI QUI) è un brand molto noto in UE perché si può trovare nei franchise all’interno dei grandi mall. Lo avrete visto da Primark, OVS, H&M e in alcuni Decathlon di sicuro. É uno di quei brand che noi surfer snobbiamo – ma d’altronde ormai li snobbiamo tutti – perché non più rivolto a noi. Tuttavia, non è stato sempre così perchè c’è stato anche per Maui and Sons un periodo in cui veniva da noi ed era rivolto a noi.
La storia di Maui & Sons è curiosa e vale la pena di essere raccontata.
Nei primi anni del secolo scorso la famiglia Yokohama si trasferisce dal Giappone alle Hawaii, a Maui per la precisione. Lì, la signora Yoko si dedica a una piccola e molto apprezzata produzione artigianale di biscotti. Il figlio di Yoko decise di trasferirsi in So-Cal, con l’intento di inseguire nuove opportunità economiche. Fu lì che nacque suo figlio Jeff, nel 1956.
Jeff trascorreva le giornate facendo surf e bighellonando con l’amico Steve Prested. Una volta finita l’Università si trovarono entrambi a dover fare i conti con un futuro ormai incombente. Decisero, quindi, di riprendere in mano il business di nonna Yoko e di avviare un’impresa di biscotti proprio come i suoi.
Scelgono il nome Maui, in onore delle origini, cui aggiungono and Sons per dare un senso di continuità famigliare, di tradizione… che in effetti non c’è mai stata.
Tra i loro amici c’era il giovane grafico Rick Rietveld, cui chiesero di disegnare il logo per 50$. Ne uscì un cerchio nero con 4 simboli geometrici – triangolo, quadrato, cerchio e rettangolo – dai colori fluo, che rappresenta un biscotto con i canditi. Al contempo, i simboli geometrici, a quanto ho letto – non è che sia proprio immediato intuirlo -rappresentano le lettere che compongono la parola MAUI inscritta a propria volta nel biscotto. Il tutto è cerchiato di bianco con la scritta a corsivo and Sons.
Prested, uno spirito concreto, si rese ben presto conto che non erano proprio capaci di fare i biscotti. Per avviare un’attività del genere, inoltre, tra forno industriale, ingredienti (che non sanno quali siano perché GranMa Yoko è morta nel frattempo…), packaging, logistica ecc. ecc. sarebbero serviti capitali ben al di là delle loro portate. Quindi: bye bye golden dreams!
Decisero di surfarci sopra per farsela passare. Fu proprio durante un dawn patrol che Jeff Yokohama e Steve Prested, trovando scomodi i boardshort che indossavano, ebbero l’idea di produrre dei boardshort utilizzando il nome e logo che avevano pensato per i biscotti.
Secondo la più classica tradizione, affittarono un garage e cominciarono. Gli USA dovrebbero proporre il garage americano come patrimonio dell’Unesco! Tutti brand di surfboard sono nati in un garage, senza considerare che anche Apple, Microsoft e chissà cos’altro mi sfugge sono nate in un garage… Per tacere del r’n’r che ha un sottogenere genere dedicato al Garage, appunto. Iniziarono, quindi, a tagliare e cucire boardshort tra una surf session e un’altra. Dopo un anno tirarono dentro Rick Rietweld, che portò in dote un secondo logo, lo shark-man.
Dopo 5 anni Maui and Sons si trovava sulla cresta dell’onda del surf-wear a rivaleggiare con Quiksilver, Op, Gotcha, ecc. ecc. Partendo dai boardshort svilupparono una vera e propria linea di abbigliamento.
Nel 1989 il business man inglese Richard Harrington (deceduto nel 2021) acquistò il brand del biscotto e lo diffuse worldwide al vasto pubblico. E così che il kookie brand è diventato una roba da kook.
Oggi, se fate un giro da OVS potete trovare i capi Maui and Sons a poco prezzo. Onestamente non sono peggio di altri capi surfwear, anzi… in alcuni casi sono anche meglio. Visto che noi surfer snobbiamo qualsiasi brand surwear forse vale la pena acquistare per lo meno una t-shirt a rischio di essere presi per kook dai poseur che sono anche meno dei kook…
Articolo di Francesco Aldo Fiorentino