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Dalla BCS allo Zoomer: quando la struttura si sbarazza della sovra-struttura

BCS è l’acronimo, in democratico ordine alfabetico, di Bonetti, Castoldi, Speroni. Erano tre milanesi ariosi, ovvero di Abbiategrasso, nella Valle del Ticino, in provincia Milano.

La BCS nasce dall’idea geniale del giovane ingegnere Luigi Castoldi che, figlio dei fittavoli della Cascina Garavaglia di Albairate, conosceva da vicino il duro lavoro dei contadini e ne coglieva l’urgenza di migliorarne le condizioni. 

Così, con la BCS inizia il rapporto diretto tra officina e campi, che porterà l’agricoltura della cintura agricola milanese dalla efficacia alla efficienza.

É il 1942 e siamo in pieno periodo di guerra, di razionamento delle risorse e di autarchia quando nasce la MF 243, la moto falciaerba semovente con motore a scoppio. Concentrata su un telaio autoportante che ospita il sistema di taglio e la trasmissione.

Non serve avere una buona idea se non la si mette in pratica. Così, Luigi Castoldi coinvolge gli amici: il meccanico Severino Speroni e il ragioniere dell’erario di Abbiategrasso, Camillo Bonetti. La concreta perizia del meccanico e l’abilità del ragioniere nel far quadrare i conti sono elementi non trascurabili.

La prima versione della MF 243 dei BCS è una sorta di insettone meccanico a forma di delta mosso manualmente. Ha due ruote anteriori e non ha spazio per sovrastrutture o leziosità: è design allo stato puro. Ha una semplicità da Meccano (il gioco in scatola ormai desueto) , efficiente, solida, di facile manutenzione e facile riparazione, bastano un cacciavite e una pinza.

Queste caratteristiche metteranno le basi per il successivo modello BCS 622, una versione con ruotino posteriore sopra il quale è posta una sella che non è un sedile ma è una sella vera e propria. É di ferro, senza imbottiture, però di una ergonomia essenzialmente perfetta e con strategici buchi atti a evitare i ristagni di acqua. Infatti, se osserviamo la motofalciatrice BCS in azione, la vediamo fare il proprio lavoro su ogni tipo di terreno. É assolutamente essenziale per tagliare l’erba delle marcite. ad esempio,  grazie alla sue leggerezza e alla facilità di manovra, che avviene mediante due pedali e due barre falcianti, una fissa e l’altra mobile, nella parte anteriore. Non che prima della BCS non esistessero le barre falcianti ma erano montate ai lati di pesanti trattori ( vedi Landini) ed avevano una funzionalità molto limitata a pochi terreni e una relativa sicurezza e precisione ed un costo elevato perchè era necessario possedere un trattore.

Con l’introduzione della motofalciatrice BCS, il lavoro di un giorno fatto da 10 contadini può essere svolto in 2 ore da un contadino.

Questa struttura semplice si rivelerà, negli anni, perfetta per una straordinaria modularità. Infatti, abbinando un apparato mietilegatore si potrà trasformare in una macchina da raccolta di grano, sesamo, lavanda, erbe officinali, canna palustre e quant’altro richieda sfalcio e legatura in fasci o covoni.

La sella della BCS verrà omaggiata da Achille Castiglioni con lo sgabello Mezzadro prodotto da Zanotta. Prima di inventare la BCS, l’ingegnere Luigi Castoldi, insieme al fratello Achille, si occupava di progettazione di motoscafi e, con un modello molto innovativo, aveva ottenuto una serie di notevoli successi in gare nazionali ed internazionali… poi è passato ad occuparsi di cose utili. Ha fatto il percorso inverso a Lamborghini, che dai trattori è passato alle supercar…

Una frase che si sente spesso è: «I giapponesi non hanno inventato niente!». In effetti non hanno nemmeno la pretesa di inventare ma hanno la spiccata attitudine a re-inventare tutto ciò che di geniale è stato fatto ma non ha avuto successo.

Se i giapponesi re-inventano un mezzo è un atto d’amore per quel mezzo. É un atto di fede anche più forte di chi lo ha ideato in origine. Investire tempo e denaro per recuperare un progetto perduto nell’oblio dei fallimenti non è copiare ma re-inventare.

Nello specifico, stiamo parlando dell’Honda Zoomer che, per certi versi, ha una certa attinenza di continuità con la BCS. É un mezzo funzionale, ridotto all’osso, e questo caratterizza il suo appeal. Anche con questo mezzo, infatti, la progettualità spazza via la leziosità, la struttura si sbarazza della sovra-struttura.

Il mezzo è solido ma leggero, non ha parti ammaccabili. La manutenzione del motore è a portata di mano. Così, senza grossi esborsi, chiunque può scorrazzare allegramente tra il traffico senza ingombri inutili, ma carico dei propri ingombri utili. Infatti, la struttura tubolare consente di agganciare ogni genere di sporta e sportina, per tacere dello spazio sotto sella – di solito usato per alloggiare lo skateboard – e del portapacchi sui fari. Fari che sono proprio fari, senza nessuna carena o copertura; posti dietro al serbatoio che è nella parte anteriore.

Perché abbiamo parlato di non inventare niente e di re-inventare tutto?

Perché l’invenzione risale all’anno 1947. Luogo: Milano, sulle sponde del fiume Lambro dove sorge l’Innocenti, fabbrica di tubi. Sì, stiamo parlando della prima Lambretta. Il modello M, che sta per Motorscooter, è del del 1947. Telaio tubolare (tubi=Innocenti) e lamiera stampata. Niente scocche, cocchini e cocchine, motore a vista e via andare.

Le masse, al momento, non apprezzarono e non capirono l’oggetto, ma sulle sponde del Lambro non si getta la spugna. Così, nel 1968, arrivò il Lui direttamente dai tecnigrafi di casa Bertone. Anche in questo caso: motore a vista e orpelli ridotti all’osso. A nostro avviso uno scooter avanti almeno 40 anni (ha preceduto sia lo Zoomer che il Booster), malgrado non fu proprio un successo di vendite nel Belpaese. D’altronde, anche lo Zoomer, malgrado l’appello dell’archittetta Sandra Lentes, dopo meno di 10 anni, è stato ritirato dal mercato italiano mentre nel resto del pianeta continua imperterrito a godere di un buon successo di vendite (PREMI QUI).

Articolo di Francesco Aldo Fiorentino