Il momento è come il Natale: quando arriva, arriva. Esattamente come l’ineluttabilità del genio comico. É solo una questione di tempi, di ritmo. Per tutti gli appassionati del Dottor Frederick Frankenstein Junior, discendente del famoso barone Victor, il capolavoro comico di Mel Brooks con l’indimenticabile doppiaggio di Oreste Lionello, è arrivato il momento, infatti, di tornare al cinema.
Nelle sale italiane solo dal 27 febbraio al 1 marzo 2023, con la Frankenstein Junior Night al cinema, ci saranno tre notti di festeggiamenti in attesa del 50esimo anniversario di Young Frankenstein, uscito nel 1974.
Il giovane Frederick Frankenstein, nipote del conte che ha dato inizio a tutto, torna in treno alla sua casa ancestrale. Mentre il treno entra in stazione, vede un bambino sul binario, abbassa il finestrino e chiede:
Scusami, ragazzo; è questa la stazione della Transilvania?
Lo è. Frederick Frankenstein è inconsapevolmente tornato a casa. Esattamente come torna a casa la pellicola più disciplinata, visivamente inventiva e divertente di Mel Brooks. Perché Frankenstein Junior (Young Frankenstein, 1974) è un po’ la casa del genio comico di Mel Brooks, costruita da Gene Wilder, che ne scrisse la sceneggiatura.
Frankenstein Junior nacque, infatti, durante un breve periodo di vacanza nella casa di Westhampton Beach, non lontano da New York.
Wilder era reduce dal successo della commedia di Woody Allen Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere, quando iniziò a buttare giù il soggetto di quello che sarebbe diventato il capolavoro di Mel Brooks.
Immaginò di essere il nipote di Beaufort von Frankenstein, che veniva convocato in Transilvania in quanto erede della dinastia. Chiamò Brooks al telefono per un consiglio e ne suscitò un entusiasmo incredibile. Fu a quel punto che Gene Wilder decise di continuare a lavorare allo script sull’onda di un’altra grande ispirazione: l’incontro con Marty Feldman. Lo vide in una puntata del The Marty Feldman Comedy Machine ed esclamò: «Chi è quell’uomo buffo con quegli occhi strani?». Aveva appena trovato il suo Igor.
Ecco, quindi, Frederick Frankenstein di nuovo a casa, nel vecchio castello ancestrale, atteso dal fedele cameriere Igor, dalla voluttuosa assistente di laboratorio Inga e dalla misteriosa governante Frau Blücher, il cui solo nome fa impazzire i cavalli.
Dopo l’uscita trionfale di Frankenstein Junior, la gente mi chiedeva se sapessi che la parola blücher in tedesco significa ‘colla’ (che facevano con i cavalli, N.d.R.). La verità, però, è che non mi è mai passato per la mente che quella parola potesse significare qualcosa: mi piaceva il suono che aveva… mi sembrava potesse davvero spaventare anche i cavalli (che ne sapevano più di me a quanto pare).
Baciami come uno sconosciuto, Gene Wilder
Nacque così il mito di Frau Blücher, fedele governante e amichetta del barone Von Frankenstein, interpretata magistralmente da Cloris Leachman.
Nelle sue due migliori commedie prima di questa, The Producers (1968) e Blazing Saddles (1974), Brooks aveva rivelato una rara anarchia comica. I suoi film non erano solo divertenti, erano aggressivi e sovversivi, facevano ridere anche quando avrebbero dovuto offendere. Spiegando questo processo, Brooks una volta dichiarò altezzosamente: «I miei film vanno al di là della volgarità».
Young Frankenstein, quindi, è divertente come ci aspettiamo che sia divertente una commedia di Mel Brooks, ma è più di questo.
Mostra una crescita artistica e maggiore sicurezza. Un regista che una volta sembrava disposto a fare letteralmente qualsiasi cosa per una risata, in Frankenstein Junior appare più sicuro e meno stordente.
Ciò è in parte dovuto al fatto che lo stesso genere che sta satirizzando gli offre una narrativa forte con cui può flirtare. I riferimenti di Brooks sono Frankenstein (1931) e La sposa di Frankenstein (1935) di James Whale.
Il primo è il più influente. Prenderà lo stesso castello e le medesime scenografie del laboratorio. Furono ideate da Kenneth Strickfaden e conservate fino alla sua morte. Vennero poi lasciate in eredità all’amico Ed Angel, che le concesse per le riprese di vari film come Powder (1995) e Terminator (1984), prima di venderle al museo Studios di Las Colinas, a Irving (Texas), dover restano una tappa del tour dei visitatori.
A questo film si ispira anche la scena con la bambina. Salvo che, questa, invece di essere scaraventata nel pozzo e uccisa, finisce catapultata nel letto e dorme. Mentre, nella scena finale, Elizabeth utilizza la stessa parrucca utilizzata nella versione originale.
Il secondo è probabilmente il migliore dei film horror hollywoodiani degli anni ’30. Da Bride of Frankenstein riprenderà la scena dell’eremita, anche se in questo caso riceve tutto tranne che una benedizione.
Ci sono anche riferimenti a Son of Frankenstein di Rowland V. Lee, del 1939, da cui ha ripreso il personaggio di Igor e dell’Ispettore Kemp… soprattutto nella scena della partita a freccette. La scena del furto del cadavere è stata girata vicino alla chiesa in cui Greer Garson si sposò, diventando Mrs. Miniver (1942). Ancora: la sequenza alla stazione ferroviaria si avvale delle scenografie usate per l’arrivo di Ronald Colman in Prigionieri del passato (Random Harvest, 1942).
Alcune scene del film, inoltre, meriterebbero un confronto con le scene più famose di The Producers. Dimostrano, infatti, che Mel Brooks ha civilizzato il suo mostro.
Dal suo titolo di apertura, che ricorda Frankenstein (1931) e Citizen Kane (1948) allo stesso tempo, al suo ritornello di chiusura:
Young Frankenstein non è solo un film di Mel Brooks, ma anche un commento amorevole all’ancestrale paura umana del diverso. All’amore-odio nei confronti dei mostri. Questa volta, il mostro riesce anche ad avere una piccola relazione di amore-odio.
Brooks utilizza una fotografia in bianco e nero accuratamente controllata, che cattura l’atmosfera dei film precedenti. Usa dispositivi visivi antiquati ed effetti speciali ovvi (il viaggio in treno è uno studio su scene fabbricate in studio, ad esempio). Regola la musica al giusto grado di cigolio. Affittò persino l’originale laboratorio Frankenstein, con i suoi colpi di elettricità, gli effetti speciali ad alta tensione e la piattaforma dell’ascensore per intercettare i fulmini.
Ci sono poche commedie nella storia di Hollywood più amate di Young Frankenstein (Frankenstein Junior, 1974) di Mel Brooks. La cosa più impressionante di questa adorazione universale è che sia nata spontaneamente e perduri generazione dopo generazione. Perché, Frankenstein Junior non è solo un’ampia parodia dell’idea generale sui vecchi film di mostri, o anche dell’ambiente horror universale degli anni ’30 e ’40. Piuttosto, è un tributo sinceramente amorevole a tutti e quattro i film della serie Universal Frankenstein usciti tra il 1931 e il 1942. Una chimera di riferimenti e allusioni intelligenti che servono a illustrare la vera passione per il primo boom horror della storia americana.
Il fatto che Frankenstein Junior sia ancora esilarante, senza bisogno di conoscere le trame contestuali della sua epoca, spiega da sé l’eccezionalità della pellicola, delle interpretazioni e delle gag. Conoscere i riferimenti, però, aiuta ad apprezzarne anche l’incredibile profondità culturale.
Frankenstein Junior funziona sia come commedia che come storia toccante. Gran parte del merito va alle interpretazioni di Gene Wilder, nei panni del giovane Frankenstein, e Peter Boyle nei panni del mostro. Agiscono in modo ampio quando è necessario, ma contribuiscono anche a un’enorme sottigliezza e controllo della misura. Boyle riesce, ad esempio, a essere esilarante e patetico allo stesso tempo… ma siamo sinceri: qualcuno ricorda un cast perfetto, ruolo per ruolo, come in Frankenstein Junior?
Gene Wilder nei panni di Frederick Frankenstein. Marty Feldman nei panni di Igor. Cloris Leachman nei panni di Frau Blücher. Peter Boyle nei panni del mostro. Tutti gli altri membri del cast di questo film, che si contendono le battute migliori e le consegne più impeccabili. Come in molti dei più grandi lavori di Brooks, l’ensemble comico si riunisce in un modo che sarebbe impossibile da replicare in qualsiasi remake sconsiderato.
Tuttavia, la performance di Wilder richiede elogi individuali, poiché trova un modo per bilanciare perfettamente la gravità di un attore shakespeariano come Basil Rathbone al delirio stravagante e all’esagerata codardia di uno sciocco del vaudeville.
Pochi attori hanno posseduto un talento simile, capace di oscillare da un tale estremo all’altro. Wilder fa ridere in sequenze con gag quasi ovvie, anche per un bambino. Tra le mani del genio comico Wilder, però, il plus valore è enorme.
Non a caso, nessuno dei riferimenti sopracitati avrebbe importanza senza la sua sceneggiatura originale. Non a caso, in mezzo secolo, solo una manciata di pellicole sono state in grado di dimostrare di essere sotto lo stesso cielo di Frankenstein Junior. Ormai un’icona rispetto alla quale viene giudicato un intero genere.
Frankenstein Junior, scritto e interpretato da Gene Wilder, rappresenta da 50 anni la perfezione della resa comica di un film.
Gene Wilder è in grado di osservare il mondo con lo stupore miope dei suoi occhi azzurri. É nato con la parrucca gonfia di un fumetto e l’aspetto di una creatura rossastra venuta dallo spazio. I suoi lineamenti non sono distinti. La sua personalità manca di definizione. Tutto il suo aspetto è così sfocato e debole che è come nebbia sull’obiettivo. Eppure, sin dalla sua prima apparizione sullo schermo, nei panni dell’impresario di pompe funebri in Bonnie and Clyde, ha fatto sentire la sua presenza magnetica. È facile immaginarlo come un clown violinista dai capelli crespi in una produzione universitaria di Sogno di una notte di mezza estate, almeno fino a quando non scivola in quell’isteria che è la sua abbagliante specialità.
Da isterico, è anche più divertente di Peter Sellers. Per Sellers, l’isteria è solo un’altra arma nel suo arsenale comico – la sua isteria prende in giro l’isteria – ma l’isteria di Wilder sembra perfettamente naturale. Non ti chiedi mai cosa lo spinga a farlo; i suoi attacchi sono lucidi e totali. Lo portano in una dimensione diversa.
Wilder è chiaramente un attore che può interpretare ruoli seri oltre a quelli comici, ed è un tecnico eccezionale.
Non puoi dire cosa renda divertenti i comici come lui. Le fonti del loro umorismo sono scisse dagli effetti tecnici che producono. Chaplin faceva corrispondere ad ogni azione una reazione, c’è unità tra fonte e tecnica, il che non è necessariamente preferibile. Wilder attinge a una follia privata. La realtà è ciò che lo sguardo debole di Wilder non comprende.
Frankenstein Junior di Mel Brooks è un film sciocco e frizzante, una farsa-parodia dei film di Hollywood sullo scienziato pazzo che cerca di essere Dio.
Non è una commedia dialogata, è viscerale e volutamente di basso profilo. È quella che si chiamava una commedia folle, e non si vedeva quel tipo di follia sullo schermo da anni. È un film da vedere quando il ritmo è rallentato e si è troppo stanchi per pensare. Non ti farà faticare in nulla. Del resto, il tempismo di Brooks è troppo ovvio per non essere rilassante. Si deve lasciare che agisca naturalmente, perché è l’unico modo in cui può funzionare e funziona così da 50 anni. Si può andare a vedere Frankenstein Junior anche quando si riescono a malapena a tenere gli occhi aperti, dopo un’estenuante giornata di lavoro, perché se ne esce rilassati e rinfancati. É sempre il momento giusto per Frankenstein Junior.
Del resto, il momento è come il Natale: quando arriva, arriva. Esattamente come l’ineluttabilità del genio comico. É solo una questione di tempi, di ritmo. Per tutti gli appassionati del Dottor Frederick Frankenstein Junior, discendente del famoso barone Victor, il capolavoro comico di Mel Brooks, con l’indimenticabile doppiaggio di Oreste Lionello, è arrivato il momento, infatti, di tornare al cinema.
Articolo di Tommaso Lavizzari