king zulu

Basquiat, il jazz e il rebus di King Zulu

I dipinti di Basquiat si ispiravano spesso ai musicisti jazz e alle loro vite, così come alla boxe. Sono storie di riscatto… ma questo è un altro discorso.

Basquiat condivideva lo stesso temperamento del jazz. Li accomunava il genio e la sregolatezza. Aveva assorbito dalla boxe l’attitudine e la passione; la voglia di diventare mito e leggenda, indipendentemente dal colore della pelle. Non era quello a interessargli.

Lo spirito dionisiaco di Basquiat che fece precipitare lui come molti musicisti nell’eccesso. La libertà creativa che trasferivano nell’arte e che travolgeva chiunque.


STREAM FILM – BASQUIAT (1996)


Molti amici di Basquiat ricordano che nel suo studio non mancava mai la musica jazz; soprattutto quella di Charlie ‘Bird’ Parker, il suo musicista preferito in assoluto. Lo chiamava Yardbird per la libertà con cui volava sulle sue melodie. Gli dedicò molte sue opere:

Bird on Money (1981)

Charles The First (1982)

CPRKR (1982) 

Untitled (Estrella) (1982)

Untitled (Charlie Parker) (1983) 

Discography I (1983)

Now’s the Time (1985)

Più criptici, invece, sono i riferimenti dell’opera King Zulu (1986). Una sorta di personale Pantheon di Basquiat, in cui la complessa personalità di Louis Armstrong si riflette sulla tela in tutta la sua labirintica composizione da decifrare.

King Zulu è un imponente quadro intriso di precisi richiami alla storia e all’iconogrfia afroamericana.

Sulla tela vediamo un’ensemble jazz galleggiare in un mare di blu non finito. Una tela ruvida, dalle linee selvagge, istintive, quasi infantili. Il titolo del dipinto è composto da grandi lettere rosse sotto la maschera nera sogghignante.

Si riferisce alla partecipazione di Louis Armstrong alla celebre parata del Mardi Gras di New Orleans nel 1949, quando fu incoronato, appunto, King Of The Zulus.

Louis Armstrong, King of the Zulus 1949

Il titolo di King Zulu era nato nello Zulu Social Aid and Pleasure Club. Un circolo fondato dalla popolazione nera di New Orleans con lo scopo esplicito di costruire solidarietà umana. Tutta la povera gente della città del delta faceva parte dell’associazione umanitaria. L’investitura annuale del King, quindi, era riservata a personalità che si erano particolarmente distinte nella realizzazione degli scopi societari. Consisteva nella posa sul capo di una corona d’argento, simbolo di generosità e senso dell’umanità verso il prossimo.

La sera dell’incoronazione Armstrong dichiarò:

Capisci, avevo sempre voluto essere re. Ho sempre vissuto per questo giorno. Io sono sempre stato uno zulu, ma re, amico, è un’altra cosa. 

Il 21 febbraio 1949 il prestigioso settimanale statunitense Time dedicò la sua copertina a Louis Armstrong, ritraendolo con la corona. Un simbolo che Basquiat riprenderà sempre nei suoi dipinti. Mentre Armstrong considerava il titolo un grande onore, Basquiat abbraccia la complessa ambivalenza di questa immagine posizionandola al centro della tela con forte senso critico.

Basquiat attraverso questa King Zulu in blackface chiama in causa provocatoriamente la relazione tra razzismo e tradizione, tema comune del suo lavoro. A malapena leggibile sotto la vernice c’è una frase, che appare in una fotografia dell’orchestra di Armstrong:

DO NOT STAND
IN FRONT OF
THE ORCHESTRA

King Zulu, in sostanza, è un grande rebus di Jean-Michel Basquiat.

É conservato al MACBA di Barcellona. Vicino ai nostri amici di Rufus (PREMI QUI). Ché Basquiat e lo skate, in un sol giorno, meritano un giretto a Barcellona, no?

King Zulu è chiaramente legato all’immagine del jazz, direbbe Monsieur Jacques de La Palice. Viene in genere citato come un generico omaggio a Louis Armstrong o a Miles Davis. Un tanto al chilo: suonano entrambi la tromba, sono di colore e sono molto famosi. Si tratta invece di un dipinto chiave, che rivela una profonda conoscenza del jazz classico da parte del giovane pittore. Più che un dipinto è un vero e proprio commento a proposito delle radici e dello sviluppo del jazz.

Senza dubbio rappresenta un riferimento alle origini culturali familiari di Basquiat stesso. Si basa su una serie di icone di storici musicisti jazz, sopratutto dell’immaginario di New Orleans. Una chiara allusione alla complessità razziale del jazz delle origini, in parallelo all’Hip Hop dei suoi anni ’80.

Qual è il senso di avvicinare l’esasperato blackface, solitamente indossato dai performer bianchi nei minstrel show; una maiuscola G vergata in gotico tedesco che sormonta un misterioso codice alfanumerico; una scritta di servizio, parzialmente cancellata, sul più semplice blu lapislazzulo?

Il tutto completato dalla figura di un trombettista nero, ritratto in posa classica; da una sagoma appena accennata; da un sassofonista afroamericano in smoking e farfallino, divisa obbligata delle orchestre anni Venti. C’è pure il classico trombonista da marching band che arriva dalla nostra sinistra… e forse passa e se ne va.

Da vero appassionato di jazz, Basquiat ne aveva percepito le qualità estetiche e magiche. Una significativa foto lo ritrae di fronte a una tela in cui sono ripetuti, con i numeri di catalogo, i nomi di due etichette che lo affascinavano: Victor e Bluebird. In alcuni suoi quadri, infatti, elenca, con i corretti numeri di matrice, alcune sessioni di registrazione. Le alternate take delle registrazioni di Charlie Parker del 1948 per la Savoy, ad esempio. Discography II è costruito esclusivamente con i dati discografici di una celebre seduta d’incisione di Miles Davis, come aveva fatto per Bird.

 

King Zulu non è solo un imponente quadro intriso di precisi richiami al pantheon culturale afroamericano, King Zulu è una sorta di rebus.

King Zulu mischia i segni più riconoscibili ed evidenti attraverso una manipolazione artistica tipica del collage, per raccontare un’insolita storia che si dipana attraverso l’intreccio di reali avvenimenti storici. Ecco che quelle tracce sparse, apparentemente scollegate, si fanno segni significanti. Danno un senso armonico a quell’immensa volta celeste e bidimensionale.

Come dicevamo poco sopra, la maschera è un diretto riferimento alla partecipazione di Louis Armstrong alla celebre parata nel 1949 a New Orleans, sua città natale. Ecco che la G si stacca dalla sua forma ornamentale e racconta della leggendaria etichetta discografica Gennett. Ha giocato un ruolo importante nella documentazione del primo jazz e del blues rurale. La precisa identificazione del numero di catalogo che fa coincidere la citazione con una particolare seduta, non quella che verrebbe facilmente in mente grazie a una sorta di anagramma del titolo del quadro.

Non si tratta, infatti, dello Zulus Ball registrato della King Oliver and His Creole Jazz Band nell’ottobre del 1923, con Louis Armstrong nella veste di seconda cornetta. Un disco che è un po’ il Santo Graal del collezionismo: si conosce l’esistenza di un’unica copia esistente.

Basquiat riporta il numero 5543-A, con grande precisione. Identifica inequivocabilmente l’incisione di Sensation, nel 1924, ad opera dei Wolverines.

Un gruppo rinomato anche grazie alla tromba solista della band, Bix Beiderbecke. Il più celebre di quel gruppo di musicisti bianchi.

Bix Beiderbecke già prima della metà degli anni Venti, dimostrò la possibilità di abbracciare l’estetica del jazz, nata nella comunità afroamericana da un background culturale euro-americano. In questo modo, non solo Basquiat avvicina l’americano Bix nell’elenco dei suoi angeli guerrieri afroamericani, tra i quali non poteva non esserci Louis, ma racconta anche della reciproca stima e ne documenta precisamente anche l’incontro.

Tutto questo e molto altro è rappresentato da King Zulu di Basquiat.

L’opera ha attratto l’attenzione dei critici, che ne hanno percepito l’importanza cruciale. Senza le adeguate competenze, però, non hanno saputo cogliere il significato storico e culturale di questo dipinto dal punto di vista del jazz. Gianni Mercurio, curatore di un catalogo importante su Basquiat, va nella giusta direzione relazionando il titolo e il brano di King Oliver, pur se con diversi errori, ma non approfondisce. Glenn O’Brien scrive un articolo ricco di preziosi riferimenti ai molti legami tra il jazz, le altre musiche afroamericane, la pittura di Basquiat, ma senza individuarne e analizzarne con precisione gli elementi costitutivi. Nel catalogo della mostra Il Secolo del Jazz, Daniel Soutif si limita a indicare una vaga associazione con Armstrong con tale genericità da dimostrare una fondamentale incomprensione della densità di riferimenti:

Questa tela esibisce su un bel fondo blu un trombettista e qualche altro strumentista.


STREAM MARTINELLI – BASQUIAT E KING ZULU


Nessun critico aveva affrontato fino a qualche tempo fa quest’opera con la dovuta completezza. Francesco Martinelli nel 2013 ha recuperato le immagini dalle quali Basquiat ha tratto ispirazione per questo dipinto, evidenziando il creativo rapporto tra loro e facendo risaltare le connessioni storiche, andando sotto la prima superficie visiva sulla quale si fermano gli sguardi distratti. Qui sopra il video dell’anno scorso.

Articolo di Tommaso Lavizzari