Anno 2018. Un ragazzo con la faccia da bravo ragazzo, i baffetti abbozzati e un accento piemontese vince il Mondiale di Moto2. Sa già che il suo destino sarà in MotoGP, in sella a una Ducati. È un sogno che si fa realtà, ma quel sogno non è nulla se confrontato con quello che quel ragazzo, oggi più maturo, con la barba da uomo, i tatuaggi e uno sguardo intenso, è riuscito a compiere. Francesco Pecco Bagnaia, soltanto quattro anni dopo quella stagione, è diventato un punto di riferimento nella top class, con i fatti e non con gli slogan, sbagliando e chiedendo scusa, vincendo di forza, di lotta, ma anche di strategia o in solitaria.
Ha vinto in ogni modo possibile e ha conquistato il titolo più importante della sua vita: Francesco Pecco Bagnaia è il nuovo campione del mondo. Esiste qualcosa di più grande di un sogno? Forse sì, la vita.
A ripercorrere la carriera del pilota di Chivasso, mai sarebbe venuto in mente che Pecco Bagnaia sarebbe diventato il prossimo campione del mondo italiano della MotoGP.
Non è questione di sfiducia, ma di possibilità. Gli spagnoli nell’era moderna del Motomondiale hanno saccheggiato ogni categoria, rendendo ogni gara un’invasione barbarica. Il talento iberico non è in discussione, ma soprattutto non è in discussione il metodo di lavoro, le scuole, le idee, i progetti. Tutto quello che mancava in Italia. Sì, mancava. Perché poi il pilota italiano più importante, se non vogliamo dire migliore, di tutti i tempi ha deciso che c’era urgenza di cambiare, c’era la necessità di donare qualcosa allo sport che gli aveva dato tanto. Valentino Rossi crea l’Academy. Un progetto per accelerare la crescita dei giovani, per scovare talenti e permettere ai piloti di domani di diventare i nuovi campioni del mondo. Un’idea nata dalle ceneri della scomparsa di Marco Simoncelli.
Tutto nasce da lì, dalla volontà di non rendere vano un rapporto umano e sportivo che aveva riempito il cuore, l’anima e il talento del Sic.
Nel 2009, quando Valentino conquista il suo ultimo titolo iridato, Bagnaia diventa campione europeo delle MiniGP. È veloce, ma non è esuberante, non è frizzante, non è un personaggio. Alcuni suoi avversari diventano prima di lui mediatici come Romano Fenati, Nicolò Bulega o Luca Marini. Dopo anni di lotta e fatica in sella alla Mahindra con cui era impensabile riuscire a fare risultati, i vertici Ducati iniziano a osservarlo, a seguirlo, a sostenerlo, Qualche anno dopo, la prima consacrazione: nel 2018 Pecco è campione del mondo.
Un regalo a se stesso, al lavoro con la squadra, alla crescita. Sale in MotoGP, nella categoria più importante e difficile da protagonista, ma le ossa non sono ancora pronte anche se il talento è evidente. Guida la Ducati (del team Pramac) come nessuno. Il primo a notarlo è Andrea Dovizioso che in quegli anni è andato vicino al titolo, ma si è dovuto accontentare per tre stagioni consecutive ad essere l’ombra di Marc Marquez. Passano tre anni e nell’ultima gara a Misano di Valentino Rossi, Pecco scivola quando era in testa e, in quello stesso gran premio, Fabio Quartararo diventa campione del mondo. Al primo anno in Ducati ufficiale Bagnaia sfiora l’impresa che arriva con dodici mesi di ritardo.
Il 2022 è stata un’annata particolare. Pecco parte malissimo, colleziona brutte gare e tanti ritiri. Quartararo ha 91 punti di vantaggio a metà stagione. È finita. Lo pensano tutti. Ducati, il team, Francesco, no. Ci credono. È qui che si compie la più grande rimonta mai vista nei circuiti internazionali.
Nella seconda parte di stagione arrivano quattro vittorie consecutive, podi e gare convincenti e concrete che scalfiscono le certezze psicologiche dell’avversario francese. A Sepang, nel giorno dell’undicesimo anno dalla morte di Marco Simoncelli, si consuma la settima vittoria e l’allungo definitivo di Pecco nei confronti di Quartararo. A Valencia la storia è scritta: Francesco “Pecco” Bagnaia è il nuovo campione del mondo. È qualcosa di storico. Sono passati quindici anni dall’ultima volta che un pilota Ducati ha conquistato il titolo (Casey Stoner, 2007); tredici anni dall’ultima volta che ha vinto un italiano (Valentino Rossi, 2009) e cinquant’anni dall’ultima accoppiata, pilota italiano su moto italiana (Giacomo Agostini-MV Agusta, 1972). Bagnaia è soltanto il settimo italiano nella storia del Motomondiale (dal 1949 ad oggi) a vincere nella top class.
Prima di lui ci sono riusciti soltanto sei super uomini: Umberto Masetti, Libero Liberati, Giacomo Agostini, Marco Lucchinelli, Franco Uncini e Valentino Rossi. È un risultato enorme. Per lui, per la Ducati, per il Motorsport.
Quel ragazzino coi baffetti appena abbozzati oggi è un uomo con due titoli mondiali nel palmares ed è pronto a dare battaglia a tutta la griglia di partenza per il 2023. Ciò che però resta non sono solo le vittorie, le pole position, i titoli. Quello che sorprende di Pecco Bagnaia è il suo essere un non-personaggio. Non ne ha bisogno. Il suo aplomb, il suo charme, la sua serenità, la sua umiltà dimostrano come si possa essere un campione dentro e fuori dalla pista. Questo titolo ha un valore enorme per la grande attesa che si porta dietro. I media, i tifosi, gli addetti ai lavori erano tutti in ansia di trovare un erede alla dipartita sportiva di Valentino Rossi e la storia si è compiuta proprio nel primo anno di assenza dalle gare del nove volte campione del mondo.
Questo significa che Pecco sia davvero l’erede del 46? Certo che no. E va bene così.
Ognuno con la sua sensibilità, con le sue caratteristiche, con la propria capacità di emozionare il pubblico. Vale, al traguardo, avrebbe festeggiato con una gag, grandi risate e prese in giro nei confronti di qualche avversario. Francesco no. Il pilota di Chivasso si è lasciato andare alle emozioni primordiali. Un pianto liberatorio, uno sfogo che gli permette di scrollarsi di dosso quelle pressioni che da quando è salito in sella alla Desmosedici lo hanno abbracciato. Un nuovo inizio, non di certo un traguardo. Bagnaia è campione del mondo e adesso è libero di testa e di cuore, come quando era un giovane adolescente con i baffetti appena abbozzati.