Surfin' USSR

Surfin’ USSR: le origini del surf in Russia

Surfin’ USSR: le origini del surf in Russia. Non c’é alcun refuso nel titolo, avete letto bene. Anche ai tempi della prima Guerra Fredda, all’ombra degli SS20 puntati contro i Pershing e viceversa, il surf-mondo era come una dimensione parallela al real-mondo. Visto che siamo nella seconda Guerra Fredda sono certo che troverete interessante la storia di Nikolaj Petrovich Popov che è stato il primo surfer russo.

Surfin’ USSR perché oggi il surf in Russia è molto diffuso e, per averne la prova, è sufficiente andare a perdere un po’ di tempo sul WEB.

A tal proposito, durante il primo lockdown, l’amico surfer di Siracusa, Luigi Amato, mi ha mandato un articolo di Ksenia Zubacheva per Russia beyond. Dopo averlo letto, visto che ero in cattività, ho iniziato a documentarmi per saperne di più.

Negli anni ’60 Nikolaj Popov era uno studente della facoltà di Geografia all’Università di Mosca e capitano del squadra di Sci Alpino dell’Università. Era un ragazzo dinamico e curioso che conobbe il surf non attraverso Surfer magazine – rivista appena tollerata negli USA figuriamoci in URSS – ma attraverso The cruiser of the Snark (1911) di Jack London. Essendo, infatti, stato inserito tra i testi filo-comunisti, dagli USA, era accessibile in URSS.

Anche in questo caso abbiamo la conferma che, per quanto abbia poco surfato nella sua breve vita, l’importanza di Jack London nella diffusione del surf sia stata fondamentale… anche per il surfin’ USSR, tra l’altro. 

Il surf è un’attrazione destinata a ripetersi nella storia, a proseguire il suo cammino attraverso le onde, attraverso la letteratura, le arti, la vita ed i luoghi. É così che, leggendo il libro di London, iniziò in Nikolaj l’attrazione per il surf.

Finita l’Università, Nikolaj Popov trovò lavoro presso l’agenzia di stampa sovietica Novostj. Tramite il lavoro, reperì le necessarie informazioni tecniche per assemblare un surfboard. Grazie alla sua laurea in geografia, inoltre, individuò lo spot adatto per iniziare a surfare.

É il 1966 quando Nikolaj, con gli amici Valdimir, Nadja e Nina, a bordo dell’indistruttibile van Uaz 452, chiamato in gergo Buchanka, intraprendono un viaggio con meta Capo Tarkankut, in Crimea.

Si sistemarono in una capanna di tronchi che divenne la loro casa e la prima shaping room russa. Acquistano, da un ferramenta locale, dei pannelli di polistirolo spessi 7″ e lunghi, una volta uniti, poco meno di 8’0”. Fiberglass, resina epossidica e legno di betulla per le pinne. Per 4 gironi si misero alacremente e meticolosamente al lavoro, fino a che non materializzano i primi due surfboard sovietici, che saranno testati un paio di giorni dopo con una swell che durerà un mese.

Surferanno a turni di due. I surfboard, seppure approssimativi, svolgeranno degnamente la propria funzione per un mese di onde, prima di spezzarsi.

Puoi spezzare il surfboard ma non puoi spezzare il surfer! Che sia Surfin’ USA o Surfin’ USSR fa poca differenza!

Quattro anni dopo il tovarich Popov passò alla rivista Soviet Life. Si recò, per lavoro, negli USA. Nella fattispecie, in California, come curatore della mostra fotografica URSS: Country and People in Art Fotography. Ebbe così modo di surfare nei migliori spot tra L.A. e Frisco. In particolare affrontò le non semplici onde di Stinson Beach, in Nor-Cal. Si trovò ad avere a che fare con surfer della piena era hippie, incuriositi ma non ostili.

La Cold War è nel real-mondo e non nel surf-mondo.

Un anno dopo, tornò per lavoro negli Stati Uniti. Questa volta lo mandarono a Washington. Lì troverà l’opportunità di surfare nella costa del Maryland. Ormai era un addict del surf! Acquista due tavole e una muta e torna a casa con l’intento di scoprire nuovi spot nella vasta Unione Sovietica e così diffondere il surf e …non trova ostacoli!

Con la moglie Nadezhda si recarono sulle coste del Mar Caspio e piantarono una tenda nei pressi di Makhachkala a Sulak.

La loro infanzia passata nei Giovani Pionieri (i boyscout sovietici) gli ritornò utile. Iniziarono a condurre una vita frugale ed essenziale. Vivevano in tenda, alla ricerca di spot per surfare, inviando una serie di  articoli alla rivista Tecnologia della Gioventù che riscuotevano notevole successo. Arrivavano migliaia di lettere.

La ricerca di nuovi spot li portò a nord di Sulak nelle riserva naturale protetta nel Daghestan che, in quanto tale, è inaccessibile senza permessi.

Nikolaj non si arrese. Insieme al direttore della rivista Tecnologia della gioventù, a furia di pressare con lettere indirizzate al Comitato Centrale dei Giovani Marxisti Leninisti della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma del Daghestan, ottennero non solo il permesso ma anche una idonea assistenza e supporto di mezzi necessari per proseguire nell’impervio territorio. La loro spedizione, infatti, venne classificata come ricerca sportiva e scientifica.

La prima coppia del surfin’ USSR tornò spesso nel Daghestan, dov’era diventata una leggenda tra i nativi, con i quali avevano instaurato rapporti di solida amicizia.

Nikolaj ha surfato con assiduità fino al 1987. I cambiamenti epocali e la non più giovane età (più di ottant’anni) lo hanno portato a interrompere la propria passione. Sembra, però, che qualche onda di piccole dimensioni la surfi ancora, ogni tanto, laggiù, nel selvaggio Daghestan, dove gli alti picchi scoscendono nel Mar Caspio.

L’affermarsi del surf in Russia è stato lento. Non è uno sport olimpico, quindi utile per l’incetta di medaglie, e non ha mai ottenuto sovvenzioni. D’altronde, ai tempi non c’erano sponsor, ma non è neanche mai stato ostacolato dal Kosmomol.

Anzi, in Russia, al surf è stata riconosciuta una dignità propria.

Cosa che non ha mai fatto il CONI, che ha accorpato il surf sotto una Federazione di Sci Nautico. Cosa che non fanno la Capitaneria di Porto e le amministrazioni della Liguria di Ponente, che vietano la pratica del surf da maggio a settembre, da quando si sono accorti che il surf esiste.