Abbiamo scelto 10 Album appena usciti per questa settimana di ferragosto da vivere ad alto volume come scrisse John Lennon sul lato del 45 giri di Instant Karma! (We All Shine On).
Spotify ha cambiato le nostre vite in meglio o in peggio? Questo è difficile da dire, per un appassionato di musica forse al 50% perché a volte l’algoritmo fa veramente dei casini assurdi e le playlist importanti sono pilotate. Il buon vecchio metodo di ricerca che si usava in negozio di dischi aiuta sempre. Ricerca artisti, produttori, etichetta discografica e i punti uno dopo l’altro si uniscono nel quadro di una playlist perfetta.

1/ 10 Album: Sons Of – Sam Prekop / John McEntire
Siamo al primo disco del duo, compagni di band di lunga data, i Sea and Cake, il miglior post-rock con influenze jazz che possa esistere dal 1994 ad oggi.
I lavori di John hanno accordi dolci e le voci sospirante possono evocare pigri pomeriggi mediterranei, Campari con ghiaccio, vecchie barche a vela eppure i loro ritmi rimangono impeccabilmente senza rughe. Al contrario, i lavori di Sam Prekop sono sempre stati giocosi, irrequieti, forse anche un po’ sconsiderati. Rinchiuso nel suo studio di casa, il musicista di Chicago si avvicina ai suoi sintetizzatori modulari come un geniale scienziato hollywoodiano sgualcito, con il camice macchiato di sostanze chimiche dai colori strani.
La musica di Prekop è sperimentale nel senso più letterale, incarna la frase: cosa succede quando spingo questo pulsante?
L’apertura è meravigliosa grazie “A Ghost at Noon”, quando una grancassa gigantesca si fa strada a palafitte attraverso campi elisiani di sintetizzatori. La dimensione ritmica della musica di Prekop non è mai stata così importante: ha iniziato a giocare con le drum machine in Comma del 2020 , ma ogni traccia di Sons Of è ancorato dal tonfo costante di tamburi grassi e dichiarativi con charleston elettronici nitidi. Per gli appassionati di dischi nuovi, freschi questo è il disco del mese da introdurre in classifica per la top 5 dell’anno.

2/ 10 Album: NOT TiGHT – DOMi & JD BECK
C’è un video (clicca qui) di Thundercat che esegue “Them Changes” con Ariana Grande, e due ragazzi si siedono dietro di loro. Uno ha un maglione azzurro e suona le tastiere. L’altro è sopra la batteria, la fronte è racchiusa in un peloso cappello di procione. I due giocano dapprima casualmente, poi si scatenano e iniziano a dimenarsi, così veloci e fitti che è quasi straziante – nel frattempo, Ari vibra, annuendo. Preso all’Adult Swim Festival 2020, è uno dei tanti clip di YouTube che hanno contribuito a catapultare i prodigi del jazz degli zoomer Domi Louna e JD Beck alla fama di Internet. I commenti al video sono: il futuro del jazz! Due miracoli alieni dallo spazio!
Domi (22, tastiere) e Beck (19, batteria) comunicano in modo soprannaturale nel loro disco di debutto, scolpendo blocchi e catene di architetture ritmiche con cui l’altro può collegarsi.
DOMi intreccia melodie intricate di basso e pianoforte suonati in modo ambidestro. Potresti scambiare Beck per un cyborg; i suoi tamburi risuonano con la ferocia controllata delle pause nella giungla. Come molte giovani star online, la fama del duo ha superato la loro produzione. I frenetici live set e le jam session sponsorizzate hanno raccolto loro una considerevole base di fan e il rispetto di persone come Thundercat e Anderson .Paak, che li hanno firmati per la sua impronta Blue Note Apeshit. Avevano tutto. La viralità. Le abilità. Tutto ciò che mancava era un album, o qualsiasi tipo di pubblicazione.
Una parte fondamentale dell’appeal online di Domi e JD Beck è stata l’emozione dal vivo. NOT TiGHT non cerca di replicare la magia di un esperimento di improvvisazione in tilt spinto sull’orlo del delirio. È innegabilmente virtuosistico ma ottimizzato per un ascolto fluido per abbagliare un pubblico più ampio possibile, come uno spettacolo di 44 minuti di fuochi d’artificio al neon più luminosi sul mercato. Sembra che parte del loro progetto sia quello di portare la fusione jazz a una nuova generazione di iper-cervelli.
“Space Mountain” mi ricorda Pokémon Mystery Dungeon musica reinventata come hyper-jazz. Ignorando l’imperativo implicito nel titolo, “Take a Chance” è interpretato da versi setosi di Anderson .Paak e si presenta come un’esca stridentemente inoffensiva, mentre “Louna’s Intro” evoca il tipo di colonna sonora di un film Milquetoast che sentiresti durante un orientamento di lavoro Disney.
La domanda fondamentale però è: 15 tracce sono riuscite a far salire di livello il Jazz?

3/ 10 Album: What I Breathe – Mall Grab
Questo disco è il disco della settimana perché solo Jordon Alexander mette in scena rave travolgenti e meditazioni notturne in un debutto che ha davvero poco da dire. Tra elettronica è dance l’australiano Mall Grab non è mai stato un produttore particolarmente sottile.
Le sue prime tracce erano rudimentali e caratterizzate da tasti a blocchi e classici suoni dalla Roland drum machine e schiacciati attraverso effetti di compressione. Per gli hook, in questo disco si affidava a voci basse che annuiscono all’hip-hop ma qui è andato oltre il modello house lo-fi.
Oggi ha potenziato il suo sound, diventando un fornitore affidabile di cibo per club da big room. Pieno di grandi tamburi e charleston implacabili, la sua programmazione di batteria è un vero colpo; così fanno i suoi sintetizzatori, che rievocano le pugnalate rave di un tempo. I suoi campioni vocali non sono molto più sfumati.

4/ 10 Album: Don’t Rush the Process – Kaidi Tatham
Questo è il disco più ampio mai registrato dal polistrumentista britannico, che va oltre il ritmo spezzato per incorporare il boogie, la disco, il boom bap, il jazz e altro ancora. Dalla metà degli anni ’90, Tatham è stato uno dei pionieri centrali del ritmo spezzato, uno stile di musica beat essenziale e buggata forgiata nella fornace della metropolitana di West London. È un ex membro del collettivo di produzione Bugz in the Attic e il suo catalogo di sessioni e remix include tagli dei Slum Village, Mulatu Astatke, Marcos Valle e Henry Wu. Ma la carriera da solista di Tatham è aumentata di velocità da quando ha trovato una casa in First Word Records, una compagnia che ha creduto in lui abbastanza da ristampare In Search of Hope del 2008.
In questo disco Kaidi è in un ritmo tutto suo e nessuno può indovinare dove ti porterà.
Le dolci armonie vocali ba-ba-ba di “Knocknee Donkey” richiamano Sergio Mendes & Brasil ’66. La title track è costruita con il tipo di sintetizzatori e bassi striduli che potrebbero dare a un lowrider il suo rimbalzo mentre percorre i viali di Los Angeles.
Tra i tagli beat più ombrosi, come il sudicio “Funky Fool” che adora Dilla, Tatham asseconda il suo gusto per il jazz. In “Any Flavour”, il suo vivace modo di suonare il pianoforte è abbinato a una linea di basso prominente e alla batteria a mano che gli conferiscono un po’ di swing latino. “Runnin’ Tru” resta la nostra preferita
L’apertura “Hand in Hand Through Wonderland” è elettronica scintillante, pad galleggianti irti di charleston. “I Can Remember It So Vividly” è un riempitivo da pavimento a 140 bpm con una linea di basso gommosa e un groove insistente. E “Love Reigns” è un grande, esuberante inno piano house indebitato degli anni ’90 progettato per suscitare sorrisi vertiginosi. La prima grande palla curva, per citare il campionato di MLB in corso appare in quattro tracce, in “Understand”, in cui Brendan Yates di Turnstile presta la sua corteccia sabbiosa. Disco d’ascoltare tutto d’un fiato.

5/ 10 Album: LOGGERHEAD – Wu-Lu
Nel suo primo album per Warp, il musicista del sud di Londra mescola chitarre grunge con pause drum’n’bass e atmosfere claustrofobiche, cercando una catarsi inquieta. Nel 2021 è esploso come quando salta una diga nei film hollywoodiani, solo che al posto dell’acqua sono arrivate tutte le sue emozioni in 12 tracce.
L’artista di Brixton ha organizzato un potente blitz grunge-rap, un cambiamento sorprendente ma gradito per un musicista le cui prime uscite come Ginga erano sotto l’influenza della musica beat di Los Angeles. In questo disco sono le emozioni contuse delle canzoni che hanno mappato una mente irrequieta in continuo mutamento.
Wu-Lu con questo debutto nella Warp non è interessato ad essere il profeta punk del movimento anti-gentrificazione. Invece, incanala la sua energia verso l’interno, imbrigliando il tumulto nel cuore del “Sud” per scacciare i suoi demoni. Soffuso di breakbeat tagliati, linee di basso luccicanti e atmosfere claustrofobiche, è il suono del tuo amico brillante ma tranquillo che impara a urlare con tutto il petto per la prima volta, anche se si sta ancora esercitando davanti a uno specchio.
Nell’introduzione di “Broken Homes”, recita una breve poesia come diretto a una telecamera, lamentando l’impossibilità di un “pensiero ragionevole” quando gli ansiosi schemi di colpa “limitano la realtà quotidiana”.
“South” rimane il gold standard. Nessun momento lirico offre un pugno allo stomaco così sbalorditivo. Un’immagine viscerale del degrado urbano, come il suo distico di apertura: “Vivevo a sud di Londra / Non ne è rimasto molto”. Nessuna esplosione vocale taglia così profondamente come l’urlo agghiacciante che forma il ritornello della canzone.
Dopo aver composto un album con la guardia alzata, c’è qualcosa di decisamente umano in lui, persino dolce, nella sua vulnerabilità. Poi però fin dal primo ascolto un ribollente groove post-punk solleva nuvole di polvere, e lui si lancia in una meditazione libera associativa sul dubbio e sulla resilienza. Anche se la musica infuria intorno a lui, è chiaro che ha finalmente abbassato lo scudo.

6/ 10 Album: Intros, Outros & Interludes – Domo Genesis
Interamente prodotto da Evidence dei Dilated Peoples e parte del duo Step Brothers, Domo, continua ad affinare la sua creatività su loop che segnano il tempo della sua originalità lirica.
Questo secondo lavoro è il riflesso del precedente No Idols prodotto da Alchemist, l’altro del duo Step Brothers.
Ci troviamo nel lato più hip-hop e leggermente meno gangstar di Los Angeles. Raramente Domo fa riferimento a difficoltà specifiche, ma nelle tracce vende qualunque lezione abbia raccolto negli anni.
In “Trust the Process”, non canta solo con il “peso del mondo sulle mie spalle”, ma si avvicina con la forza di un Super Soldato della Marvel Comics.
È un disco difficile per le teste boom bap ma il sound è un sound che solo loro su quel lato della costa posso fare. Quindi se sei stufo della solita solfa trap o a cassa dritta commerciale, questo è il disco che fa per te. Lo dicevano sempre a Ray Charles prima che scrivesse la sua prima hit: «O hai un sound tuo… o non sei nessuno».
Domo ha decisamente il suo di sound, ha un modo per cospargere di rapide allusioni i testi che tracciano il suo stato mentale nel minor numero di mosse possibili. La malinconia si mescola al trionfo per creare un’atmosfera disorientante ma invitante.

7/ 10 Album: Pastlife – Day Wave
Se cerchi un album pop fatto di chitarre spensierate e incisive come morsi d’amore sulle labbra allora sei nel posto giusto. Pastlife è un album per trentenni, preoccupati di ritrovati impegni e ambizioni sbagliate ma con l’amore dietro l’angolo come risposta anche se incompreso.
Sei nella California dove Dio con la sua ultima pennellata gli è scappata un po’ la mano, nel senso che i colori qui e la luce è completamente diversa dal resto del mondo.
Ascolta una qualsiasi canzone Day Wave e sei destinato a sentire la stessa formula collaudata, a parte una o due modifiche: riff di chitarra scintillanti, batteria al galoppo e voci confuse che trasmettono gioia anche quando la scrittura tradisce il contrario.
Quando Jackson Phillips, nativo della Bay Area, pubblicò il suo EP di debutto, Headcase, nel 2015, le sue influenze rock alternative fluttuarono così vicino alla superficie che era difficile dire cosa, esattamente, lo differenziasse da tutte le altre band che emulavano i New Order e i Phoenix.
In questo disco uno dei pochi momenti in cui Phillips prova qualcosa di nuovo è “Great Expectations”, un’elegante canzone acustica che ricorda Sufjan Stevens dell’era di Carrie & Lowell. Sintetizzatori invertiti e fingerpicking sgattaiolano dietro le chitarre raddoppiate mentre Phillips canta alcuni dei testi più toccanti dell’album: “Sembra che non sia quello che volevo”.
Un disco che decisamente può rappresentare la vostra estate ma mi raccomando è obbligatorio ascoltarlo in compagnia.

8/ 10 Album: Guilt – Guilty Simpson
Detroit! From Where? From the D. For who? For the D! Non c’è niente da fare, in questa fetta di terreno dimenticata da Dio e dal mondo, la musica suona in maniera diversa. Viene composta e ascoltata in maniera diversa. Sono diverse emozioni, diverse composizioni per esprimere magari un concetto che a 614,4 miglia di distanza lo direbbero in tutt’altro modo. Questo è il sesto EP di uno dei più grandi MC di Detroit: Guilty Simpson.
Nato come membro del collettivo Almighty Dreadnaughtz e collaboratore assiduo del compianto J Dilla, ha iniziato la sua carriera da solista solo nel 2008. È riuscito a far risplendere la Stones Throw Records con il suo incredibile debutto Ode to the Ghetto.
Da allora ha seguito una manciata di progetti altrettanto grandiosi. Possiamo contare il suo secondo album prodotto da Madlib “OJ Simpson” e “Dice Game” prodotto da Apollo Brown. “Simpson Tape” prodotto da Oh No e, più recentemente, “EGO” prodotto da Gensu Dean solo per citarne alcuni. Consiglio vivamente anche il disco con i Random Axe (Guilty Simpson, Black Milk, Sean Price. Comunque il veterano della città natale sta cercando di fornire un portale tra l’ascoltatore e la sua realtà di Detroit sotto quest’album intitolato Guilt.
“Looking for More” è un’apertura di synth per dire sayonara a tutti i falsi. “Make It Count” con Jason Rose trova i 2 su una strumentale jazz boom bap che parla di bruciare un’oncia, si! Ma di cosa? Scopritelo.
Bronze Nazareth e Oh No ci accompagnano nella polverosa “Off Herb” per mostrare le loro abilità liriche che portano a “Linch Pins”. Principe Po nella traccia successiva risplende in maniera trionfante. La canzone “Go Where I Please” funziona da paura nella sua linea di basso funky che entra nel suo rap da battaglia. La penultima traccia “Dark Night” ha un’estetica più lucida che parla di avere il riscaldatore pronto. “For the Real Only” chiude però l’EP con alcuni archi dedicandolo a tutti quelli autentici.
Se qualcuno ha apprezzato EGO tanto quanto me, allora consiglio vivamente di ascoltare Guilt prima o poi perché questo è un EP davvero impressionante. Attenzione alle produzioni di Kount Fif, ex producer di Killah Priest (Wu Tang Clan e altro), Copywrite & Planet Asia…
Il desiderio che ha di crescere artisticamente è davvero stimolante e il cast di produttori che Guilty porta con sé per il viaggio porta più strumentazione dal vivo nell’immagine questa volta con alcuni risultati molto interessanti.

9/ 10 Album: My Name Is Hell – Kal Marks
Dopo lo scioglimento del trio di Boston, Carl Shane riassembla il gruppo come un quartetto e spinge al limite il suo suono denso e irascibile.
Prima di spegnersi all’inizio del 2020, Kal Marks ha scosso le fondamenta di Boston dal sottosuolo. L’album del 2018 Universal Care ha definito il trio noise-rock al suo picco spinoso. Il cantante-chitarrista Carl Shane incarnava un proletariato uomo qualunque sull’orlo del collasso. Il suo ululato gutturale era il suono di un uomo che precipita in un panico violento e viscerale.
Shane, ora è accompagnato da Christina Puerto dei Bethlehem Steel alla chitarra, Dylan Teggart di A Deer A Horse alla batteria e il bassista John Russell. Ha usato la nuova formazione per allungare le proporzioni del gruppo, aggiungendo strati di melodie di chitarra ispirate agli anni ’90 e un’interazione sciolta a un suono tremante, incentrato sul ritmo. La musica ronza con la più armonica reciprocità che la sua discografia abbia mai visto. La turbolenta apertura “My Life Is a Freak Show” segnala un cambiamento simile a Swans e Harvey Milk dopo le loro prime uscite stridenti.
I giorni della malinconica violenza “Fuck That Guy” di Universal Care sono finiti. La curiosità pungente di sé e l’accettazione sono dentro la strofa “La mia vita è uno spettacolo da baraccone/Non ho un posto dove andare!”.
My Name Is Hell è una cronaca di fortezza. “Non lascerò vincere l’inferno”, ripete Shane nella spugnosa title track dell’album, alludendo al suo incontro più intimo con il suo creatore. Che questa banda venisse soffocata dall’età adulta della classe operaia sarebbe antitetico al suo stesso scopo. Invece, Shane e compagnia affrontano ancora una volta le realtà che li affliggono di più.
È questa persistenza, questo stile di gestione del trauma da bootstrap, che consolida Kal Marks come lo stoico caposquadra del movimento post-hardcore di Boston.

10/ 10 Album: The Fragility Of Life – Wordsworth
L’ultimo ma non il meno importante anzi… probabilmente anche disco del mese per le teste hip-hop. Wordsworth insegue il successo di entrambi i suoi libri più venduti su Amazon: What Words Are Worth Vol. 1. Di successo c’è anche la sua apparizione nella serie animata Netflix Peabody & Sherman e ora arriva il suo nuovo album The Fragility of Life.
Nato a Brooklyn, noto per le sue apparizioni come ospite negli album di Blackstar al secolo Mos Def e Talib Kweli, A Tribe Called Quests con l’LP The Love Movement e ha co-creato lo spettacolo di MTV, The Lyricist Lounge. Questo disco prodotto interamente dall’inglese Kelzwiththeheat è l’hip-hop più puro che potrete ascoltare oggi. Words è anche un membro del gruppo eMC, assieme a Masta Ace, Punchline e Strick, forse in pochi li ricorderanno quando divisero il web il due nel 2007.
L’album presenta ospiti come: Masta Ace, Jessica Care Moore, Supastition, Erv Ford (produttore di Flee Lord), Xperience (Macklemore), Adanita Ross, Pearl Gates, JSoul, Finale, Jacqueline Constance, Pav Bundy e l’imminente gruppo di talento dei Baton Rouge ossia Zues and B.E.A.N..
PER ASCOLTARE TUTTI
GLI ALBUM – CLICCA QUI –
Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato