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Miles Davis in Electric: A Different Kind Of Blue (1970)

Miles Davis lo troverete di sicuro sul vocabolario o sulla vostra enciclopedia di fiducia sotto la parola arte. Non so’ voi cosa intendiate per forme d’arte, ma per arte sonora s’intende Miles Electric Davis. Perché electric? Piano, piano e con calma che ora si argomenta il tutto anche con la di musica.
Che Miles Davis sia una leggenda del Jazz, con tutte le lettere maiuscole, lo si sapeva già ma quello che la sua carriera ci mostra è tutt’altro. La sua creatività nell’ottica dell’innovazione e nella ricerca del suono, quasi come uno scienziato, è imparagonabile.

Tutti i musicisti che lo hanno affiancato confermano la frase: «uno così… passa solo una volta non nella vita, ma nella storia umana».

Durante le registrazioni dei suoi dischi, essendo solo trombettista, si faceva affiancare o da turnisti o da artisti con cui formava un’ alchimia da gruppo. Persone con cui istaurava una sinergia con la sua idea di suono. Difatti nella sua carriera abbiamo due sezioni di tempo sonoro divise in: First Great Quintet/Sextet insieme a Sonny Rollins sostituito poi da John ColtraneRed GarlandPaul ChambersPhilly Joe Jones;  Second Great Quintet invece con Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al basso, e il prodigio Tony Williams alla batteria

Nella seconda formazione inizialmente cominciò con George Coleman o Sam Rivers al saxma il pezzo finale del puzzle sarebbe arrivato poi nel 1964 con Wayne Shorter.

Il cambiamento sonoro in maniera quasi drastica per i puristi però avvenne quasi definitivamente quando sposò Betty Marby, letteralmente la donna che inventò il fusion. Tenete l’icona aperta su di lei perché il suo matrimonio con Miles Davis ha bisogno di un capitolo a parte. Infatti Filles de Kilimanjaro, forse suo il disco più criticato, vede proprio Mademoiselle Mabry in copertina. Il sound espresso su ogni traccia fu il primo seme di un Jazz moderno, lontano dalle ritmiche from New Orleans.

Miles Davis
Betty Davis & Miles Davis – Festival dell’Isola di Wight

Tra l’altro proprio lei introdusse Sly Stone Jimi Hendrix a Miles, ed il quadro dell’unità sonora fu subito intuito da Chick Corea che nel disco sostituì Herbie Hank e Ron Carter con Dave Holland.

Tornati negli U.S.A. per un nuovo disco, dopo questa piccola parentesi, il Second Great Quintet si ritrovò in studio con una nuova visione della musica, tranne per gli assenti del disco su citato. Infatti nella prima sessione di registrazione Harbie entrò nella sala di ripresa e la girò a lungo senza mai trovare il piano a corde che doveva suonare.

La scena fu bellissima Herbie domandò a Miles: «What do you want me to play?». Miles rispose con un: «play that over there» indicando un electric piano fender rhodes. Hank basito esclamò: «He wants me to play that toy… ?!?!?».


Ecco, sappiamo benissimo poi com’è finita per entrambi nelle loro carriere. Ne seguirono vari dischi ma quando uscì Bitches Brew, nel 1970, Miles Davis ha aperto un nuovo angolo della fonia per il jazz. Quest’ultimo ha suscitato emozioni come nessun disco prima e ancora oggi mantiene il podio tra i gradini più alti della musica. 

Fino ad oggi, Bitches Brew, vale la pena la ripetizione, è uno dei più venduti album jazz di tutti i tempi. 
Miles elettric: A Different Kind of Blue, esamina il passo successivo nel suo processo creativo. L’esecuzione di questi brani dal vivo.
Il Festival dell’Isola di Wight, prettamente rock!!! Che ospitò artisti dai The Who, ai Jethro Tull fino a Joni Mitchell, creò attorno a Miles, uno sfondo romantico che riuscì a togliere tutte le etichette di genere al suo suono. Lasciò solo l’amaro in bocca ai critici delle sue visioni.
Durante l’esibizione fu affiancato da Jack DeJohnette, Chick Corea, Keith Jarrett, Gary Bartz e Dave Holland.
Irripetibile come pochi eventi nella storia mondiale.
Persino Carlos Santana riconobbe l’arte che bruciava all’interno dell’anima blue di Miles Electric Davis. Come direbbe lui con la sua voce roca prima di poggiare le sue labbra sulla tromba: Stop Talkin’, Just play.

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