L’inizio seppur plumbeo di una parvenza di normalità, mi ha permesso di tornare a vivere tra le persone di Milano. Mi ha permesso di ascoltare i discorsi e di parlare con vari tifosi. Qualche battuta anche sui social, giusto per prendere qualche spunto interessante. L’analfabetismo è alto ma ci sono anche belle persone. Ho imparato un sacco di cose settimana scorsa su Genova, durante una conversazione virtuale. Spiace che il Grifone abbia salutato la Serie A. Soprattutto perché, come mi capita di dire spesso, il Derby di Genova è, con quello di Roma, una partita che mi piace sempre vedere. Non è razionale, non so perché. Saranno forse i colori o le atmosfere.
Grifone condannato a salutare la Serie A dagli amici Napoletani che salutano Insigne. Eterna promessa e mai campione vero. Nonostante sia Campione d’Europa.
HIGHLIGHTS SERIE A
Nei bar, nei vari luoghi di discussione che, pian piano si ripopolano, si parla sempre più di VAR e meno di calcio. I Milanisti dicono che il campionato è falsato per i torti subiti e i favori all’Inter. Gli Interisti reclamano per l’opposto.
Il VAR da strumento di giustizia è diventato il vero protagonista di una Serie A tanto avvincente nella corsa all’ultimo secondo, quanto povera di contenuti.
Serie A è ricca di VAR e povera di campioni
Ieri sera, rientrato dal Mikkeller Beer Celebration a Copenhagen, di cui vi parlerò domani qui su RIS8, ho sbirciato un po’ di trasmissioni prima di rivedere le due partite scudetto.
Al netto della discussione sulla regolarità dell’azione che porta al primo gol del Milan, a tenere banco è stata la cavalcata di Theo Hernández, che Mike Maignan ha definito degna di Messi.
Ha fatto gridare al fuoriclasse, esattamente come l’exploit di Leão in questo finale di Serie A, oppure il vetro sfondato da Ibrahimovic: sempre meno calciatore e sempre più Nedved.
Francamente, rivedendo il gol, mi sono chiesto perché quelli dell’Atalanta si scansino invece di fermarlo. Non mi azzarderei a paragonarlo ad altre vere prodezze come il gol di George Weah contro l’Hellas; Adriano contro l’Udinese o Berti contro il Bayern Monaco. Tutt’altra roba.
Capisco l’entusiasmo durante la diretta, una cavalcata del genere con al tensione della partita, ecc. ecc. A mente fredda non lo definirei un gol da fuoriclasse o da campione, ecco.
I fuoriclasse, per loro stessa definizione, sono fuori dalla classificazione. Mbappè oggi è un fuoriclasse, a mio avviso. Pedri o Camavinga. Gente che, a parità di età, non ha, appunto, eguali. Ne ha più le sembianze Tonali, per restare nel Milan, rispetto a Leão o Theo. Calciatori estrosi e dallo strapotere fisico, con buona qualità di palleggio. Come dicevo per Tonali settimana scorsa: all’estero affinerebbero le loro doti e potrebbero esplodere, in Italia fanno la differenza e la faranno anche in Europa, ma senza eccellere. Nel Milan, perché in Nazionale non giocano tantissimo. Cinque partite per entrambi, un gol per il francese, a 22 anni Leão e 24 Hernandez. Non è un bottino da campioni. Mi sbaglierò, ma oggi la vedo così. Credo sia quasi più colpa della Serie A che loro.
Saranno Campioni d’Italia? Probabilmente sì, dovranno poi dimostrare di esserlo in campo, sempre di più.
Lo stesso discorso vale per i Vlahovic, i Chiesa, gli Zaniolo. Non starei a esaltare neppure Barella o Lautaro, visto che segna tanto in un campionato in cui segna parecchio anche Ciro Immobile, da tutti criticato. Lui, certo, è un Campione d’Europa, ma quanti tra i campioni d’Europa è davvero un campione? Io penso davvero pochi. Hanno talento, qualcuno davvero, ma gli manca la testa oppure se hanno testa a sufficienza gli manca qualcosa tra i piedi. I vari Lukaku, Hakimi, Verratti o altri pseudo-campioni scippati al campionato italiano in questi anni, non si sono confermati tali.
Proseguo nella mia battaglia per convincere le persone ad allargare gli orizzonti, nelle vita come nel calcio e a osservare quello che accade fuori.
Non perché sia necessariamente meglio o debba piacere di più, ma aiuterebbe a capire che le cose si possono fare meglio; che fuori i ragazzini giocano meglio, hanno più personalità, più qualità e più testa, spesso ben mixati.
Qui siamo fermi alle bischerate di Cassano, Adani e della Bobo Tv. Sky, da quando non ha più grande interesse per la Serie A, riesce a essere, a tratti, vagamente più obiettiva, ma resta nell’aria la sindrome del Marchese del Grillo. Nobiltà decaduta che non si rende conto del tempo che passa.
Resta che, di questa serie A, si parla quasi sempre di VAR e ben poco di giocatori.
Ci si aggrappa a giovani talenti caricandogli sulle spalle valori e titoli che non gli competono. Si cerca di uscire attraverso il condottiero singolo e non grazie al cambiamento del sistema. Cerchiamo sempre il capo-popolo cui affidare le responsabilità, per poi usarlo come capro espiatorio quando le cose non vanno come sarebbero dovute andare. Esattamente come nella Politica, da sempre, tra l’altro.
Se vogliamo tornare ad avere campioni e fuoriclasse bisogna cambiare il sistema e avere l’umiltà di mandare i talenti a imparare all’estero.
Oggi, in Serie A, ci sono talmente pochi campioni, c’è talmente penuria di fuoriclasse, che neanche gli allenatori possono nulla. Così ci si aggrappa al VAR, che diventa il capro espiatorio e protagonista indiscusso. Il problema del calcio italiano è culturale, lo sostengo da anni.