Nemo’s Garden è la prima coltivazione subacquea di piante terrestri. Si tratta di un sistema di agricoltura alternativo, dedicato soprattutto a quelle aree dove condizioni ambientali, ragioni economiche o morfologiche rendono estremamente difficile la crescita delle piante. L’obiettivo di Nemo’s Garden è creare un sistema che utilizzi le risorse naturali già disponibili, la più importante delle quali sono gli oceani e altri corpi idrici.
Nemo’s Garden non è solo uno sforzo tecnologico, volto a rendere l’agricoltura subacquea una forma di agricoltura alternativa economicamente sostenibile e a lungo termine, ma è soprattutto un progetto ecosostenibile e self-sustainable. L’utilizzo dell’energia rinnovabile sfruttata dal sole e dell’acqua dolce ottenuta dalla desalinizzazione dell’acqua di mare, infatti, fanno di Nemo’s Garden un sistema autosostenibile.
Il microclima e le condizioni termiche all’interno delle biosfere sono ottimali per la crescita delle piante e la resa delle colture, non diversamente da una serra convenzionale, ma non richiede ulteriori fonti di energia. L’allevamento subacqueo determina un’interazione minima, se non nulla, con l’ambiente marino e i relativi ecosistemi, fatta eccezione per un positivo effetto di rifugio al fine di sostenere il ripopolamento delle aree marine circostanti. Li abbiamo contattati per farci dire tutto riguardo a questo incredibile progetto.
Come è nata questa idea?
Federico Giunto: «Il progetto nasce come progetto di ricerca nel 2012 dalla mente di Sergio Gamberoni, appoggiandosi a Ocean Reef Group, per quanto riguarda la tecnologia subacquea. Essendo lui appassionato di sub e si giardinaggio ha avuto l’idea di far crescere le piante sott’acqua. Si tratta di una provocazione che ha alla base una visione a lungo termine: il pianeta è coperto d’acqua e, per creare cibo ci vuole sempre più spazio, quindi perché non sfruttare l’oceano per creare cibo a km zero?
Ci sono vantaggi effettivi: sott’acqua l’ambiente è chiuso, quindi privo di parassiti, la temperatura rimane costante, non ci sono gelate né sbalzi repentini. La vasca può essere più fredda o più calda, ma rimane comunque un ambiente più protetto.

Il progetto ha visto un vero e proprio sviluppo nel corso del tempo. Dai primi esperimenti rudimentali con dei palloni, siamo passati a strutture sferiche fino ad arrivare alle biosfere in policarbonato che ci permettono di avere uno spazio interno dove lavorare».
Quante sono le biosfere ad oggi?
Federico Giunto: «Attualmente le biosfere sono sei, tre più profonde e tre più a galla. Vanno dai 6 ai 10 metri di profondità, e una è situata più in profondità in quanto fa da sentinella. All’interno, oltre alle piantine, che crescono attraverso un sistema idroponico, c’è una vasca che contiene acqua dolce recuperata grazie alla condensa. Il sistema idroponico non prevede l’utilizzo di terra, anche perché la terra viene sfruttata fin troppo, stiamo cercando di trovare sempre più sistemi alternativi.
Oggigiorno questo progetto può sembrare futuristico, ma a livello pratico potrebbe essere molto utile in determinate parti del mondo. Ci sono alcune isole dove non sussiste la possibilità di coltivare, in quanto il terreno non è coltivabile. Gli isolani sono costretti a importare tutto quanto! Questo sistema gli permetterebbe di sviluppare un sistema agricolo subacqueo e risparmiare in termini di approvvigionamento. Inoltre le piantine che abbiamo cresciuto sott’acqua hanno dimostrato di avere una quantità di oli essenziali maggiore rispetto a quelle ‘terrestri’».

Che piantine state coltivando?
Federico Giunto: «Le erbe aromatiche sono quelle che crescono meglio, la prima che abbiamo testato è stata una piantina di basilico genovese, abbiamo notato che cresceva più velocemente nella sua fase iniziale. Poi, oltre al basilico abbiamo aggiunto la maggiorana, l’aloe vera e ora contiamo più di 100 specie di piantine. Le ricerche sono specifiche e riguardano determinate coltivazioni, però possiamo affermare che tutti gli esperimenti hanno avuto successo. L’unico limite è quello fisico, non possiamo piantare ancora piante con il fusto troppo alto o ingombrante, comunque ogni biosfera riesce a produrre chili di verdura e frutta.
L’unico problema legato alla loro ubicazione sono state le mareggiate, ce n’è stata una particolarmente violenta che ha danneggiato le biosfere più in superficie… Comunque abbiamo resistito bene».
E per quanto riguarda la luce?
Federico Giunto: «Il sole non è un problema, perché i raggi riescono a penetrare benissimo fino a 10 metri sott’acqua. La problematica non è tanto quella dei raggi, quanto la possibilità che ci siano incidenti, delle perdite di una petroliera potrebbero compromettere tutto il progetto. Stiamo cercando di portare avanti progetti che coinvolgano anche i più giovani, in modo da educarli all’etica e alla collaborazione».
L’installazione inquina?
Federico Giunto: «Le biosfere sono state installate in un punto dove non c’è niente e non inquinano, anzi… hanno creato un piccolo ecosistema con grande biodiversità. Sull’Albero della Vita e sulla piattaforma sono cresciute delle alghe che attirano tanti pesci e animali marini, abbiamo portato un po’ di vita dove prima non c’era niente».
Quando una persona entra, l’aria non esce?
Federico Giunto: «No, perché il volume della singola persona non è maggiore dell’aria presente nelle biosfere, l’acqua entra se esce l’aria. Inoltre l’aria viene sempre controllata e monitorata ed è sufficiente per respirare e per far respirare le piantine. Nel caso in cui non fosse sufficiente possiamo riempire le biosfere con dell’aria».
Come portate fuori il raccolto?
Federico Giunto: «Usiamo delle buste sigillate. A volte un operatore lascia che i sacchetti risalgano da soli sbucando sulla superficie dell’acqua in modo da essere raccolti».

Progetti per il futuro?
Federico Giunto: «Sicuramente sviluppare ulteriormente il progetto. Un’idea che stiamo sviluppando è quella di utilizzare le alghe come concime, in modo da non dover più portarlo da terra. Vorremmo ingrandire il progetto rendendolo il più scalabile possibile e vorremmo anche toccare il discorso turistico. Le biosfere sarebbero attrazioni turistiche uniche per collegare le attività più ricreative ad attività lavorative».
Tipo una merenda sott’acqua?
Federico Giunto: «Sì, questo ogni tanto capita. Ci facciamo portare un panino nella biosfera e ci dimentichiamo di essere sott’acqua. L’anno scorso un banco di acciughe ha fatto una danza molto suggestiva, è come se ti trovassi all’interno di un acquario e loro fossero gli spettatori… Spettatori noncuranti a dire il vero».
Perché nessuno ci ha pensato prima?
Federico Giunto: «Nessuno lo credeva fattibile, è folle pensare di cambiare il mondo. Questo progetto sembra una cosa molto lontana dal nostro presente, ma non è più così in fin dei conti».
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