Cenerentola è una metafora del consumismo?

Cenerentola, insieme a Belle, si trova a pieno titolo tra le principesse più controverse della storia della Disney. E se da un lato l’amore a prima vista fa storcere il naso al partito femminista, l’importanza che viene data all’abito e all’aspetto mostra la genesi della società consumistica in cui ci troviamo immersi oggi. Tuttavia è doveroso fare un passo indietro.

Come nasce la storia di Cenerentola?

Le origini di questa storia sono antichissime. Cenerentola inizia la sua vita come un racconto popolare, tramandato oralmente di casa in casa. La prima copia scritta risale alla Cina del 850-860, il che ci fa pensare che questa versione della storia sia entrata nella società europea dalle donne che lavorano sulla grande Via della Seta. L’ideale di bellezza femminile legato ai piedi piccolissimi, chiamati anche “gigli d’oro” o “loto d’oro”, è presente in Cina sin dall’epoca pre-imperiale e il rimando alla storia di Cenerentola è abbastanza lampante.

Da storia raccontata da donne per le donne Cenerentola passa nelle mani di Perrault che introduce la famosa zucca e la scarpetta di vetro, conferendo al racconto le sue due caratteristiche più iconiche. I fratelli Grimm invece rendono brutte le sorellastre e rimuovono la fata madrina in favore di un albero dei desideri magico. Questi adattamenti riflettono una misoginia inconscia e spogliano la storia di gran parte del suo potenziale femminista.

Poi la principessa raggiunge il grande schermo. Succede per la prima volta nel 1899 con il corto di Georges Méliès che apre le porte a Walt Disney che ne fa un mito col cartone del 1950.

Cenerentola e il consumismo

La film di Cenerentola è una grande mossa economica da parte della Disney. L’impero nascente si trovava in crisi, con un debito di 4 milioni di dollari e decide di puntare tutto su questa principessa che speravano sarebbe diventata la nuova Biancaneve (1938). E non mi tolgo dalla testa l’idea che il film rifletta questo bisogno di soldi della Walt Disney Company.

Partiamo dalla figura della matrigna che sposa il padre di Cenerentola (in palese crisi di mezza età) che è chiaramente interessata a sistemare economicamente se stessa e le due figlie, perché lavorare è out of question. Questa villain rappresenta ciò che tutti i bambini figli di separati temono, che uno dei due genitori si risposi e che loro finiscano nel dimenticatoio. Non possiamo dire che questa paura sia totalmente ingiustificata, però viene portata all’esagerazione. Cenerentola diventa schiava nella sua stessa casa e in un delirio inizia a parlare con gli animali che la circondano.

cenerentola

La questione della ricchezza ricompare anche prima del ballo. La protagonista ci vuole andare a tutti i costi e si prepara un vestito che puntualmente viene distrutto dalle sorelle. Disperata dalla perdita, l’unica cosa che può venirle in aiuto è la magia. In questo caso la magia diventa la metafora del denaro. In due secondi la fatina fa comparire un vestito, le scarpette di cristallo e un’incredibile carrozza. Ma tutto questo è a noleggio, quindi a mezzanotte dovrà essere riportato in negozio.

Il principe l’avrebbe notata se non fosse stata vestita di tutto punto?

Questa è l’altra grande questione che mi lascia perplessa. Se fosse arrivata alla festa vestita come sempre non l’avrebbero nemmeno fatta entrare, eppure Cenerentola vuole disperatamente far parte del mondo che l’ha ripudiata. Arriva dunque al punto di mascherarsi dietro un incantesimo in modo da dimostrare il suo valore economico.

Non è proprio questo ciò su cui si basa l’industria della moda? Quando dobbiamo andare a un evento magicamente non abbiamo niente da metterci. Ci sentiamo nudi se non indossiamo qualcosa che è stato approvato da qualcuno che nemmeno conosciamo, un circolo senza fine che ha origine proprio nell’insospettabile mondo delle fiabe.

Il principe l’avrebbe notata se non fosse stato per le sue scarpe favolose? Vi lascio questa domanda, perché ho anche qualche dubbio sull’eterosessualità del principe.